Diario afghano. I ragazzini e la raccolta dei rifiuti
"La raccolta dei sacchi di spazzatura va avanti per ore. I ragazzini rufolano a lato dei cancelli delle ville patrizie protette da fili spinati e telecamere, negli angoli dei cantieri delle case in costruzione, scavalcano muri, si arrampicano sui tetti piatti spesso usati come discarica temporanea..." - da L'Unità del 03.04.2011
04 April, 2011
di Rachele Gonnelli, inviata da Kabul
La domenica è giorno di raccolta differenziata a Kabul, se così si può dire. Funziona nel seguente modo. Un uomo in tuta arancione di una tonalità più fosforescente di quelle di Guantanamo, con barba folta e nera e cappello di lana scuro, evidentemente il titolare del servizio, organizza e dirige squadre di ragazzini tra i 15 e i 17 anni attorno a due rugginosi contenitori che hanno tutto l'aspetto di residuati della guerra contro i sovietici.
La raccolta dei sacchi di spazzatura va avanti per ore. I ragazzini rufolano a lato dei cancelli delle ville patrizie protette da fili spinati e telecamere, negli angoli dei cantieri delle case in costruzione, scavalcano muri, si arrampicano sui tetti piatti spesso usati come discarica temporanea. Racimolano tutto ciò che trovano e lo caricano su cariole. Per i carichi più ingombranti si fa ricorso ad un carretto trainato da un asino. Tutto viene scaricato e vagliato sui contenitori "sovietici", le bottiglie di plastica da una parte, i cartoni dall'altra e così via. I cassoni vengono poi pestati per ridurre il cumulo come uva matura.
Altri ragazzi si avvicinano in bicicletta intabarrati in kefie e vestiti polverosi e caricano il bottino di fili elettrici e cose più preziose o ancora utilizzabili dietro al sellino dentro grandi sacchi azzurri di yuta simili a quelli delle Nazioni Unite. Dopo un attenta cernita un ragazzino estrae una giacca con sulla schiena il logo di una marca molto "trendy" con un puma rampante (forse il ministro La Russa lo giudicherebbe un falso povero, ndr) e se lo infila.
Sulla strada viene acceso un piccolo fuoco che diffonde l'acre odore di diossina, un rogo considerato igienico forse, mentre passano in continuazione camion di materiali edili, cisterne, le jeep nere o metallizzate con vetri oscurati e luccicanti cromature. Passa anche una donna a piedi con il burqa aperto che le incornicia il viso, si avvicina al contenitore fa una rapida ispezione come fosse una bancarella, alza un cartone distrattamente, poi decide di passare oltre.
Verso mezzogiorno all'uscita delle scuole si fermano dei ragazzini più piccoli, di sei o sette anni, e si caricano sulle spalle dei bustoni trascinandoli. Nel frattempo si è unito all'andirivieni delle cariole anche un anziano con la barba bianca e il turbante. Attraversa l'incrocio un venditore ambulante di occhiali da sole con la mercanzia in mostra su una tavola verticale montata sulle spalle e un venditore di uova dal guscio bianco in un elegante cestino di ferro nero. I ragazzi continuano a lavorare nella scelta dei rifiuti, concedendosi solo una pausa per ascoltare e vedere qualcosa con un telefonino. L'uomo in tuta arancione interviene solo per ripulire con la pala le minutaglie cadute a terra.
Al tramonto i ragazzi si salutano in cerchio dandosi la mano come adulti. La stessa scena, con il carretto trainato dall'asinello e le bici con i sacconi grigi o blu, si ripete in ogni quartiere. Sono loro i ragazzi i cacciatori di acquiloni nei cieli di Kabul. Questo è il loro dopolavoro, naturalmente.