Zero controlli, poca informazione e traffici illeciti: ecco tutti i problemi dei Raee
Nell'ambito della manifestazione napoletana EnergyMed, un convegno per fare il punto delle criticità nella filiera dei Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tra la mancanza di isole ecologiche autorizzate, traffici illeciti verso i Paesi emergenti e divisioni tra i vari attori coinvolti, sono ancora molte le difficoltà da risolvere
14 April, 2011
Assenza di controlli e sanzioni; difficoltà logistiche e finanziarie; mancanza di informazione; scarsa collaborazione tra i vari attori della filiera. Sono questi i principali problemi emersi dal convegno “La realtà nella filiera Raee: operatività e criticità”, organizzato a Napoli da Cna e Anco nell'ambito della fiera EnergyMed.
Traffici illegali via mare
«Il sistema di gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche al momento è malato e fallimentare – dichiara senza mezzi termini Dario Pasquariello, presidente del consorzio di recupero dei rifiuti elettronici Craee – e invece se funzionasse potrebbe dare occupazione a molte persone». Pasquariello denuncia soprattutto le gravi difficoltà della filiera dei Raee professionali (quelli, cioè, generati da utenze non domestiche). «Ogni giorno – prosegue – partono dall'Italia navi container piene di rifiuti elettronici, anche pericolosi, dirette verso Paesi come la Cina e il Ghana, dove i materiali vengono accumulati in enormi discariche a cielo aperto e trattati senza alcuna precauzione per l'ambiente e la salute umana». Il danno, in questo caso, è doppio: l'inquinamento nei Paesi interessati dal traffico di Raee e la sottrazione di materie prime alle aziende italiane che potrebbero trattarle.
Il fallimento del ritiro “one to one”
La situazione non è molto più rosea per quanto riguarda il settore domestico, dove brucia soprattutto la mancata applicazione dell'uno contro uno, ovvero dell'obbligo, da parte dei distributori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di ritirare i dispositivi usati o danneggiati quando ne vendono di nuovi. «Dei 300mila soggetti obbligati al ritiro “one to one” - sottolinea Luciano Teli di Ecorit, un altro consorzio per i Raee (a differenza di altre categorie di rifiuti, per quelli elettronici la normativa nazionale prevede l'esistenza di più sistemi collettivi per la loro gestione, ndr) – solo 800, dei quali oltre la metà sono trasportatori e non rivenditori, si sono iscritti nell'apposita sezione dell'Albo nazionale gestori ambientali». Praticamente nessuno. Le cause della totale disattenzione di uno degli obblighi introdotti dal dl sui Raee 65/2010 sono molteplici. «Per il rivenditore si tratta di un servizio molto oneroso – spiega Francesco di Filippo, dell'azienda di trattamento Biocon Spa – perché deve chiedere l'autorizzazione alla Provincia, attrezzare un'area di stoccaggio nel suo punto vendita, iscriversi all'Albo e sobbarcarsi il costo del cosiddetto “ultimo miglio” (il trasporto del materiale dal punto di stoccaggio all'impianto di trattamento, ndr)». La catena della distribuzione, in altri termini, non è ancora attrezzata per far fronte alle esigenze dell'uno contro uno. «In molti casi, i rivenditori non sono neanche adeguatamente istruiti – aggiunge Giuseppe Pirillo, direttore del consorzio Certo – e gli stessi consumatori non sempre sono informati di questa nuova possibilità». A questo si aggiunge la pressoché totale assenza di controlli e di sanzioni. «La mancanza del necessario decreto di finanziamento – denuncia Di Filippo – ha impedito finora l'istituzione del Comitato di vigilanza e controllo previsto dal decreto legislativo 151 del 2005». Anche sui traffici illeciti di Raee verso i Paesi in via di sviluppo, naturalmente, pesa l'inadeguatezza dei controlli. «Per ogni nave container bloccata – ammette Tommaso Campanile, responsabile Ambiente della Cna – molte altre ne salpano indisturbate piene di materiale».
Le isole (ecologiche) che non ci sono
Le difficoltà del ritiro “one to one” non sono l'unica zavorra che impedisce il decollo del sistema dei Raee. «Uno dei problemi principali – sottolinea Pirillo – è che pochissimi comuni sono riusciti ad allestire piazzole ecologiche autorizzate dalla Provincia per la raccolta dei cinque raggruppamenti Raee previsti dalla legge (apparecchiature refrigeranti, grandi bianchi, tv e monitor, piccoli elettrodomestici e sorgenti luminose, ndr)». Le cause vanno ricercate soprattutto nella mancanza di spazio e di fondi. «Fin dal '99 i Comuni avevano ammesso di non avere i mezzi per realizzare le piattaforme – conferma Campanile – e le piazzole private previste dalla legge non sono mai state avviate». Eppure, i soldi ci sarebbero, almeno secondo Pasquariello: «Quando acquistano un apparecchio elettrico, i consumatori pagano una tassa per lo smaltimento dei rifiuti molto più alta rispetto ai costi effettivamente sostenuti, ma il surplus viene usato per tenere in piedi i consorzi».
Tra furti di materiale e speculazioni straniere
Un altro problema, che in realtà prescinde dalle novità introdotte dal decreto del 2010, è quello dei furti del materiale che i cittadini conferiscono al di fuori delle abitazioni. «Sta diventando sempre più difficile reperire lavatrici e altri elettrodomestici – lamenta Antonio Clarizia, titolare a Brindisi di un impianto di trattamento Raee – perché vengono rubati non appena i cittadini li depositano sul marciapiede per il ritiro domiciliare». Pesano negativamente, infine, le sempre maggiori ingerenze dei grandi gruppi industriali europei nel mercato nazionale. «Le imprese straniere sono più grandi e più esperte di noi, quindi non è facile reggere la loro concorrenza – riconosce Di Filippo – Sempre più spesso assistiamo all'acquisto da parte di gruppi esteri di impianti di trattamento italiani, che in realtà non sono altro che dei collettori che inviano il materiale raccolto fuori dal Paese».
La ricetta per migliorare
Tutto da rifare, dunque? Non proprio, secondo Teli, che sottolinea i risultati raggiunti dalla filiera dei Raee in appena tre anni: «Il sistema è nato praticamente dal nulla nel 2008 ed è riuscito a oggi a quintuplicare la raccolta, con una crescita annua media del 27%». Nel 2010 sono state 250mila le tonnellate di rifiuti elettrici avviate a recupero, a fronte di 1 milione di tonnellate di nuovo materiale venduto, e il Centro di coordinamento Raee, che riunisce tutti i sistemi collettivi, conta di arrivare a 300mila entro il 2012. «L'anno scorso sono stati serviti dai vari consorzi di raccolta ben 3.244 isole ecologiche comunali – aggiunge Teli – che comunque ancora non sono sufficienti». Sull'esistenza di problemi evidenti, comunque, gli operatori sono tutti d'accordo. Così come tutti sembrano concordi nel tracciare le possibili soluzioni: un maggiore “spirito di squadra” tra i vari soggetti coinvolti (in particolare, consorzi e imprese), l'introduzione di meccanismi di vigilanza e di sanzioni efficaci; il riconoscimento, da parte del Centro di coordinamento Raee, di piattaforme private di raccolta. «Infine – conclude Campanile – occorre che la responsabilità della gestione dei rifiuti elettronici sia condivisa da produttori, distributori, Comuni, operatori del riciclo e consumatori».