Parla Zorzoli, presidente uscente di Ises Italia: "Basta piangere sul latte versato"
“Basta piangere sul latte versato, cambiamo vocabolario e puntiamo sulla green economy”: questa in sintesi la posizione del presidente di Ises Italia che, alla vigilia dell’assemblea per il rinnovo delle cariche dell’associazione, spiega come le rinnovabili modificheranno il mercato e saranno centrali in qualsiasi politica energetica che guardi al futuro
07 July, 2011
È drastico G.B. Zorzoli, il Presidente che ha guidato la sezione italiana dell’International Solar Energy Society durante quasi tutto il triennio che, proprio questo pomeriggio, volgerà al termine per il consueto rinnovo delle cariche. Di sicuro un triennio non troppo roseo da ricordare, non solo a causa dei mancati interventi, ancor più per gli interventi che hanno ostacolato lo sviluppo delle rinnovabili, ma anche per una mancata consapevolezza comune fra gli addetti ai lavori sugli obiettivi da raggiungere.
Di qui l’invito definire una comune piattaforma per il futuro, tema che sarà affrontato oggi a Roma, durante la Tavola Rotonda “Le prospettive delle rinnovabili dopo il decreto legislativo 28/2011 e il Quarto Conto Energia”, partendo dall’ipotesi che le FER sono in grado di soddisfare una quota crescente dei consumi finali di energia, già nel 2020 presumibilmente superiore a quella (17%) concordata con la Commissione europea.
Presidente Zorzoli, che cosa sono oggi le rinnovabili?
Martedì scorso la tavola rotonda organizzata in concomitanza con la presentazione della relazione annuale del GME aveva come tema “L’impatto delle rinnovabili sul disegno e sul funzionamento del mercato elettrico” e, contrariamente alla vulgata corrente, non ha dato luogo alle consuete recriminazioni sulle perturbazioni che il loro sviluppo sta provocando all’ordinato procedere delle cose, bensì all’esplorazione interessata (e interessante) delle profonde trasformazioni che il loro apporto non più marginale provocherà nel modo d’essere e di operare del mercato. Questo, in un’ottica europea del processo, dando per (positivamente) acquisito che il contrasto ai cambiamenti climatici comporta un impegno di tutti gli stati del continente in una trasformazione nel modo di produrre e di consumare (in una parola, di “vivere”) di cui l’efficienza energetica e le rinnovabili rappresentano un insostituibile strumento. In un siffatto contesto e davanti a simili prospettive, non possiamo continuare ad asserragliarci nella difesa del nostro ridotto dagli attacchi sconsiderati di chi non sa guardare al di là del proprio naso. Uscirne comporta però un cambio di paradigma, che significa anche un cambio di linguaggio.
In che senso?
Nel senso che è necessario dare una nuova connotazione ad alcune parole. Per esempio, ai termini “Diversificare, diversificazione” bisogna attribuire il significato prevalente di arricchimento dell’apporto delle rinnovabili al fabbisogno energetico sia mediante nuove tecnologie, sia in applicazioni diverse da quelle tradizionali o in settori finora poco penetrati. Non si tratta di una questione meramente lessicale. Finora, infatti, nel gergo energetico diversificare (diversificazione) di norma ha significato più carbone e meno gas, oppure meno idrocarburi e più nucleare, oppure gas non convenzionali in sostituzione di quelli convenzionali. Fare viceversa diventare di uso comune queste parole nelle opzioni interne alle rinnovabili contribuisce a trasformare in senso comune il concetto che le rinnovabili saranno centrali in qualsiasi politica energetica che guardi al futuro (cioè al di là del proprio naso). Si badi bene, senso comune che latita anche all’interno del nostro mondo, altrimenti non si spiegherebbero le persistenti diatribe volte a riaffermare che il proprio verde è più verde degli altri.
Secondo lei “incentivo” è sinonimo di “sussidio”?
Va fatto ogni sforzo per rimuovere il convincimento diffuso che “incentivo” sia sinonimo di “sussidio”. Non giovano certo a cancellarlo le critiche, assai frequenti all’interno del mondo delle rinnovabili, a incentivi che, a parità di risultato, hanno la colpa d’essere più onerosi di quelli relativi ad altre tecnologie. In realtà per le rinnovabili stiamo parlando di incentivi ad innovazioni all’inizio così radicali da non poter essere sopportate all’interno dei normali processi innovativi propri delle aziende. Allora il problema diventa stabilire se l’incentivo è quello appropriato al livello di innovazione raggiunto da una determinata tecnologia e di conseguenza introdurre meccanismi il più possibile automatici che lo riducano al crescere dello sviluppo della tecnologia stessa; meccanismi, quindi, tali da decretarne anche la fuoriuscita dal mercato per manifesta impossibilità a diventare competitiva. A questo approccio va conferita ulteriore credibilità, accettando ritorni degli investimenti ragionevolmente inferiori a quelli tipici in attività che devono affrontare tutti i rischi della competizione sul libero mercato. A questo proposito alcune posizioni emerse durante il travagliato passaggio dal Terzo al Quarto Conto Energia dovevano essere più apertamente criticate ed emarginate dalla parte maggioritaria del settore fotovoltaico.
E riguardo al territorio e all’ambiente, quale dovrebbe essere il giusto approccio?
Dobbiamo fare nostro lo statement posto a premessa del recentissimo “Energy National Policy Statement” britannico: lo sviluppo di qualsiasi nuova infrastruttura energetica avrà degli effetti negativi sulla biodiversità, sul paesaggio, sul territorio, sull’ambiente e sui beni culturali. Si tratta dunque di privilegiare quelle, come le rinnovabili, che questi effetti oggettivamente li minimizzano, ma anche in questo caso occorre mitigarli al massimo. Dato che siamo in Italia e non nel Regno Unito e le fonti energetiche primarie di alcune tecnologie sono principalmente abbondanti là dove storicamente domina la criminalità organizzata, il territorio e l’ambiente vanno salvaguardati anche sotto questo profilo. In proposito molto è stato detto e qualcosa è stato realizzato, ma occorre fare di più, consapevoli che in molte zone del Paese il successo nella difesa fisica del territorio e dell’ambiente è illusorio senza il contestuale contrasto deciso all’illegalità. Questa scelta presuppone da un lato la denuncia di ogni installazione che non rispetti al meglio il contesto in cui è realizzata, dall’altro la ricerca esplicita dell’alleanza e del supporto delle istituzioni (forze dell’ordine, magistratura, enti locali) e delle associazioni (a partire da Confindustria) già impegnate nel contrasto alla criminalità organizzata.
Alla luce di queste considerazioni, quali sono le prospettive aperte e quelle che aprono le fonti di energia rinnovabili?
Innanzi tutto anche a questo insieme di parole occorre cambiare connotazione. Le FER non sono un fine, ma solo uno degli strumenti necessari alla realizzazione della green economy, cioè di un assetto economico-sociale capace di garantire uno sviluppo sostenibile, dove, accanto alla dominanza delle rinnovabili nel soddisfacimento della domanda di energia, sia realizzata una gestione più razionale, efficiente ed efficace di tutte le risorse: materie prime e residui, ma anche territorio, beni culturali, tempo libero, ecc. Gestione che per essere tale deve necessariamente coinvolgere in presa diretta i cittadini: quindi realmente partecipata. Se non si procede in questa direzione, prima o poi, inevitabilmente, ne risentirà anche lo sviluppo delle rinnovabili. Green economy e rinnovabili simul stabunt vel simul cadent.
(Intervista di Chiara Zaccherotti)