Burgin (A21): «Cancellare le Province? Meglio ridisegnare le competenze degli enti locali, rendendoli più efficienti»
Nell'ambito del dibattito sull'abolizione delle Province, Eco dalle Città ha sentito il parere di Emanuele Burgin, presidente di Agenda 21 Locale e assessore all'Ambiente della Provincia di Bologna. Secondo l'amministratore, per ridurre la spesa pubblica non serve cancellare gli enti, ma riorganizzare le competenze
11 July, 2011
«Piuttosto che parlare di abolizione dell'istituzione in sé, io affronterei il ragionamento da un altro punto di vista, e cioè quello del miglioramento dell'efficienza generale degli enti pubblici». Ha le idee chiare Emanuele Burgin, assessore all'Ambiente della Provincia di Bologna nonché presidente del Coordinamento Agende 21 Locali italiane, che Eco dalle Città ha intervistato a proposito dell'ipotesi di abolizione delle Province, al centro del dibattito politico nazionale negli ultimi giorni.
Assessore, secondo lei quella di abolire le Province è una proposta ragionevole?
Io sono dell'idea che bisognerebbe andare per gradi: prima di abolire quelle esistenti, intanto, sarebbe meglio smettere di istituirne di nuove. Quando sono arrivato in assessorato, nel 2004, c'erano in Italia meno di 100 Province, e ora siamo a quasi 110: se questo numero seguita ad aumentare, evidentemente il sistema politico continua ad istituire nuovi enti, mentre parla di abolire quelli già esistenti. Una cosa che trovo francamente ridicola.
Smettere dunque di creare nuove Province. Ma cosa fare di quelle esistenti?
Credo che sarebbe molto più sensato, piuttosto che continuare a discutere di abolizione, fare un ragionamento sulla riorganizzazione delle competenze tra i vari enti locali. L'approccio per cui i costi sarebbero cancellato tout court semplicemente abolendo gli enti provinciali è davvero demagogico.
In che senso?
Tutte le spese legate al personale, ad esempio, resterebbero invariate, a meno che non si decida di lasciare senza lavoro un sacco di gente. Lo stesso vale per i costi legati alle strutture. Gli unici risparmi effettivi sarebbero quelli relativi ai costi politici, ma si tratta di una cifra di 250-300 milioni di euro, che definirei insignificante rispetto al bilancio di uno Stato.
Secondo lei, quindi, sarebbe meglio puntare a una maggiore efficienza delle amministrazioni locali?
Esattamente. I principali margini di miglioramento ci sono proprio sul versante dell'efficienza, che potrebbe aumentare notevolmente ridistribuendo le competenze ed evitando sovrapposizioni e dicotomie. Nel settore cultura, ad esempio, sono attivi quattro livelli istituzionali: Comune, Provincia, Regione e ministero dei Beni Culturali: è inevitabile che questo generi lungaggini e uno spreco di risorse pubbliche.
Come si potrebbe affrontare la riassegnazione delle funzioni, soprattutto di quelle in campo ambientale?
I servizi ai cittadini, ad esempio, potrebbero essere lasciati per la maggior parte ai Comuni. Mi riferisco a tutte le situazioni che prevedono un lavoro di sportello, come, per restare alle attuali competenze provinciali, i Centri per l'impiego. Altre funzioni che ora sono più sbilanciate verso la dimensione comunale, invece, andrebbero portate a un livello diverso. Penso soprattutto agli aspetti ambientali, che raramente hanno confini comunali. È il caso della gestione dell'acqua, ad esempio, che richiede un approccio di “bacino”, che spesso coincide proprio con il territorio provinciale. Oppure del ciclo dei rifiuti: in una situazione come quella napoletana, tanto per restare all'attualità, senza un ragionamento che coinvolga un territorio più ampio dei singoli Comuni è impossibile arrivare a una soluzione. D'altra parte, il livello regionale o addirittura statale spesso è troppo “alto” perché il cittadino riesca a riconoscere il decisore politico, per cui serve un compromesso tra l'approccio di area vasta e il rapporto con gli elettori.
Stop alle nuove Province, riorganizzazione delle competenze, approccio di area vasta: il quadro che prospetta, in realtà, non sembra molto diverso da quello attuale. Dove sarebbe il vantaggio?
Il salto di qualità ci sarebbe dal punto di vista dell'efficienza dei processi amministrativi. Se ogni ente locale avesse delle funzioni precise e univoche, e ognuno si occupasse solo dei settori che gli competono, l'Italia farebbe dei grandi passi avanti nello snellimento delle procedure burocratiche. Eviteremmo, ad esempio, che ottenere un permesso per la costruzione di una centrale a biomasse richieda, se si è fortunati, almeno un anno, mentre in Germania bastano due settimane. Questo non sarebbe solo un vantaggio per il sistema economico e produttivo, ma comporterebbe anche un taglio significativo della spesa pubblica. Quello che fa lievitare i costi delle amministrazioni, alla fine, non sono gli incarichi politici, che spesso sono legati all'etica del singolo assessore, ma proprio le lungaggini e la complessità dei procedimenti.
Come si potrebbero riorganizzare concretamente le competenze degli enti locali, e quale sarebbe la sede politica adatta?
La risposta, secondo me, sta nella riforma del Codice delle autonomie, che attendiamo ormai da tempi biblici. Da anni girano da una commissione all'altra disegni di legge che poi non vanno avanti, è il Parlamento che deve decidersi ad avviare finalmente la razionalizzazione delle funzioni pubbliche. E magari anche cominciare a varare leggi più comprensibili e di più facile applicazione.
Che c'entrano ora le leggi?
Gli enti locali devono confrontarsi con contenuti normativi molte volte farraginosi, con leggi inconcludenti che, per non scontentare nessuno, rimandano di continuo ai provvedimenti attuativi. Spesso sono i tecnici che devono risolvere i nodi che la politica lascia irrisolti. Anche questo determina errori, allungamenti dei tempi burocratici e un ulteriore aumento dei costi della politica.
E il ruolo delle Città metropolitane, citate da molti suoi colleghi come un possibile primo passo verso la riforma delle istituzioni provinciali?
Il primo riferimento alle Città metropolitane è del 1990, e da allora non si è ancora riusciti a dare attuazione a questi soggetti, ma non si fa altro che parlarne in modo del tutto generico. Per ora, è difficile che possano rappresentare un'alternativa alle Province, se ancora non si è stabilito se dovranno diventare un'alternativa agli enti locali attuali, sostituendo Comuni e Province, o se dovranno essere piuttosto un organo di coordinamento tra le diverse organizzazioni comunali.
Concludendo, ritiene in definitiva che ridurre il numero di province non servirebbe?
In realtà, la diminuzione del numero degli enti potrebbe essere un conseguenza indiretta della razionalizzazione delle competenze. Una volta ottimizzata la distribuzione delle funzioni, è possibile che 80 province siano sufficienti a svolgere tutti i compiti loro assegnati, e anche questo potrebbe naturalmente concorrere alla riduzione della spesa pubblica.