Aumenta la produzione di rifiuti in Italia? Intervista a Roberto Cavallo
Secondo i dati pubbblicati dall'Istat nel luglio scorso, nel 2010 nei comuni capoluogo di provincia è tornata a crescere la produzione di rifiuti urbani dopo tre anni di andamento decrescente: più 0,9% rispetto al 2009 (pari a 609,5 kg abitante). Dobbiamo aspettarci in Italia una ripresa generale della produzione di rifiuti? Intervista di Eco dalle Città a Roberto Cavallo, presidente di Erica ed AICA
08 September, 2011
Secondo gli indicatori ambientali urbani dell'Istat nel 2010 nei comuni capoluogo di provincia la quantità pro capite di rifiuti urbani è tornata a crescere dell'0,9% rispetto al 2009 (pari a 609,5 kg abitante). Il dato è in controtendenza: dopo tre anni di andamento decrescente nel 2010 i valori pro capite sono tornati a aumentare. Come si spiega questo dato?
Intanto occorrerebbe vedere le fonti con cui è stato elaborato il dato. Si tratta pur sempre di una media tra i capoluoghi è dunque abbastanza difficile esprimere un giudizio. Si possono comunque fare delle considerazioni. Una è relativa alla presenza delle persone in città capoluogo, ad esempio è presumibile che ci sia stata una minor mobilità e pendolarismo facendo aumentare le presenze equivalenti. C’è poi una questione cronica e generalizzata legata alla contabilità del dato, basti pensare all’assimilazione di rifiuti delle attività commerciali o produttive ai rifiuti urbani, diversa a seconda dei Comuni o delle Regioni.
La tendenza registrata dall'Istat è attendibile? Dobbiamo aspettarci in Italia una ripresa generale della produzione di rifiuti?
Difficile davvero dare una risposta attendibile, non disponiamo di strumenti statistici e modelli previsionali che consentano di elaborare equazioni affidabili. A fronte di elementi oggettivi, siano essi economici, come il PIL o il potere d’acquisto o l’inflazione, che sociali, migrazione, pendolarismo, classi di età, ecc. c’è comunque un elemento emotivo (E) che non è ponderabile a volte è così influenzante da vanificare le previsioni.
In economia si dice che il fattore E, legato ad esempio alle condizioni di un lavoratore, può sballare completamente un bilancio aziendale.
Quel che posso dirti dal mio osservatorio è che in realtà, come ERICA, registriamo anche nel 2010 una contrazione della produzione dei rifiuti urbani, ma occorre anche evidenziare che noi monitoriamo alcune centinaia di comuni che hanno investito e continuano ad investire su politiche virtuose per la gestione dei rifiuti.
Sempre secondo l'Istat nel 2010 i consumi delle famiglie italiane hanno registrato una leggerissima tendenza al rialzo, dello 0,5% rispetto al 2009 (meno dell'aumento della produzione di rifiuti nei comuni capoluogo). Quanto incide il fattore economico sulla produzione dei rifiuti?
Questa domanda è legata alla riflessione che stavamo facendo sopra. Ovvero se ci fossero solo condizioni oggettive ti direi che in assenza di politiche generali di prevenzione dei rifiuti (come è in questo momento in Italia) ad aumento dei consumi corrisponde aumento dei rifiuti e viceversa.
La realtà non è così, né in un verso né nell’altro.
In senso virtuoso abbiamo Stati Europei che hanno investito su politiche generali di prevenzione e che a fronte di un aumento del PIL e del potere d’acquisto anche 4-5 volte superiore all’Italia hanno ridotto i propri rifiuti come l’Austria o la Germania.
Per quel che riguarda l’aumento della produzione dei rifiuti invece non è detto che questo sia un indicatore della ripresa dei consumi.
Non lo è per almeno due ragioni.
Una sociologica. In tempo di crisi dopo una fase di minor acquisto si cade spesso invece nella fase di acquisto compulsivo, come descrive anche Simone Perotti nei suoi libri e nelle sue interviste. Pare siamo più attratti dalle offerte, quasi a rispondere con un acquisto di tanta roba a basso prezzo alla sensazione di precarietà. Ci si lega maggiormente a cose materiali che sono destinate a produrre rifiuti.
Una di qualità del materiale. Con una diminuzione dei soldi in tasca il comportamento più ricorrente è quello di indirizzarci verso prodotti che costano meno e spesso di scarsa qualità e che a loro volta sono destinati a diventare rifiuti in un più breve tempo, da un piccolo elettrodomestico fabbricato dall’altra parte del mondo, irreparabile senza pezzi di ricambio, ad una maglia destinata ad infeltrirsi al secondo lavaggio.
La combinazione di questi due fattori, che, ripeto, attengono alla sfera emotiva, sono una parte della risposta per cui i rifiuti domestici aumentano anche se il potere d’acquisto resta fermo o addirittura diminuisce leggermente.
Recentemente l'Agenzia europea per l'Ambiente ha stimato in Europa un aumento fino a 558 kg pro capite entro il 2020 (erano 524 kg nel 2008) a meno che non siano messe in atto politiche efficaci per ridurre la produzione di rifiuti. Quali potrebbero essere queste "politiche efficaci"?
Un elenco di politiche è contenuto nella stessa direttiva rifiuti la 98/2008, in particolare all’allegato IV al quale rimando. Nello stesso allegato si distinguono misure che possono incidere sulle condizioni generali di produzione dei rifiuti, misure che incidono in fase di produzione e distribuzione e misure che incidono sulla fase del consumo.
Partendo da queste ultime e dunque ponendosi dal punto di vista del cittadino e consumatore direi che l’efficacia è legata al proprio stile di vita e si misura essenzialmente in termini di comportamento. Senza dilungarsi, e per questo permettimi di consigliare la lettura del mio ultimo libro, occorrerebbe rivolgere l’attenzione a quelle frazioni che in peso rappresentano la maggior quantità di rifiuti e che possiamo schematizzare in tre gruppi: i rifiuti organici biodegradabili, i rifiuti da beni durevoli o ingombranti e gli imballaggi. Azioni come il compostaggio domestico individuale o collettivo, lo scambio e la riparazione, la scelta di prodotti alla spina contribuiscono ad una riduzione che può arrivare al 15%.
Se consideriamo invece la produzione o la distribuzione è ormai dimostrato come siano le misure economiche quelle più incisive (tanto che molti Paesi sono ricorsi o recentemente stanno ricorrendo a nuove tassazioni come la Carbon Tax).
Entrambe questi livelli vanno integrati tra loro e considerati in fase di pianificazione, in modo da evitare di prevedere e realizzare ad esempio un sistema impiantistico o di mobilità che nei fatti poi renda inutili o addirittura antitetiche le stesse misure di prevenzione.
Si avvicina l'edizione 2011 della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (19-27 novembre 2011) durante la quale si svolgeranno migliaia di azioni di riduzione. Ma le buone pratiche di riduzione quale incidenza hanno sulla produzione di rifiuti?
Come ho accennato prima una diffusione su media scala delle buone pratiche incide fino ad un 15% sul peso della pattumiera domestica. Vista singolarmente però una famiglia che dovesse attuare comportamenti volti alla riduzione dei rifiuti si può abbattere la quantità anche del 50 – 70%, basti pensare che ci sono Comuni piemontesi, veneti o campani che hanno una produzione complessiva di rifiuti domestici inferiore ai 200 kg per abitante all’anno!
“MENO 100 kg, ricette per la dieta della nostra pattumiera” di Roberto Cavallo, Edizioni Ambiente, 2011 - Recensione di Emanuela Rosio