Bioplastiche: da dove vengono e dove stanno andando
Il mercato dei biopolimeri continua a crescere, per quantità e gamma di prodotti. Alla Bioplastics Conference di Torino gli esperti del settore fanno il punto della situazione: focus sulla provenienza dei materiali “che non sottraggono risorse alimentari”, sullo smaltimento finale, e sull’importanza delle definizioni. E’ ancora polemica sugli additivi
21 September, 2011
Piatti, bicchieri, posate, sacchetti e contenitori per il cibo in bioplastica: e questi li conoscevamo già. Poco alla volta stanno arrivando anche i flaconi di bagnoschiuma, shampoo, cosmetici, e addirittura giocattoli, fermagli per capelli (a base di alghe) e mouse per il pc. Chi solo dieci anni fa riteneva quello della bioplastica un mercato senza futuro dovrà ammettere di aver preso una cantonata. La produzione e la gamma di articoli in biopolimero continuano a crescere, e secondo i dati presentati oggi a Torino dalla dottoressa Kristy-Barbara Lange di European Bioplastics la diffusione dei biopolimeri potrebbe raddoppiare entro il 2015.
Anche la ripartizione del mercato per continenti subirà qualche modifica: nel 2010 la produzione di biopolimeri era divisa quasi equamente tra Sud America (27,6%), Nord America (26,7%) ed Europa (anche qui 26,7%); seguivano l’Asia (18,5%) e l’Australia (appena lo 0,5%).
Secondo il rapporto dell’Università di Hannover, che ha curato lo studio per European Bioplastics, nel 2015a dominare il mercato sarà il Nord America (32,9%); seguirà l’Asia (28,1%), poi il Sud America (20,5%), poi l’Europa (18,3%) e infine l’Australia, che cala ancora (0,2%).
Complessivamente la produzione globale dovrebbe passare dalle attuali 725.000 tonnellate a 1.710.000 tonnellate nel 2015.
Ma le materie prime? Non c’è il rischio che un simile aumento produttivo dei biopolimeri tolga risorse all’agricoltura destinata al consumo alimentare? No, secondo Michael Carus (Nova Institut GmbH). “Di tutte le biomasse agricole raccolte, il 74% viene utilizzato per la produzione di mangimi destinati agli animali; il 18% serve a produrre cibo per gli umani; il restante 8% è diviso esattamente a metà fra produzione di energia e di materiali. Dunque il settore della bioplastica utilizza appena il 4% delle risorse agricole mondiali. La polemica food versus non food non ha davvero molto senso”.
Sappiamo da dove vengono, cerchiamo di capire dove devono andare “quando muoiono”. Il fatto che questi prodotti siano biodegradabili non significa che sia una buona idea lanciarli nei prati: inquinamento è e inquinamento resta, anche se bio. Il conferimento corretto del biopolimero è l’umido organico, destinazione centro di compostaggio. Che come dice il nome, accetta solo prodotti compostabili, e cioè conformi alla famosa normativa europea 13:432.
Dunque niente plastiche additivate. Ovviamente su questo punto non mancano le polemiche, tra chi sostiene l’assoluta esclusività della norma e chi ritiene invece che i prodotti additivati non danneggino la qualità del compost, ma impieghino semplicemente più tempo a portare a termine il processo di degradazione. Sull'argomento il Direttore del CIC, Massimo Centemero non ha dubbi: “Per noi i rifiuti in ingresso negli impianti devono essere compostabili, la biodegradabilità non basta. Ad oggi il CIC ha messo il bollino su 45 prodotti (NdR: consultabili a pagina 2 del documento 1 in allegato). Abbiamo scelto di occuparci delle certificazioni principalmente per due motivi: il primo è che se il trend di crescita delle bioplastiche continuerà come da previsioni, sarà sempre più importante che le persone imparino il giusto conferimento di questo “nuovo” prodotto. In secondo luogo, dobbiamo preoccuparci della qualità del compost, evitando il più possibile le impurità. Ad oggi il 75% delle frazioni estranee che riscontriamo nelle analisi merceologiche deriva da plastica non compostabile (il 30% di questa è rappresentata dai sacchetti). Ogni anno ci troviamo a dover smaltire da 100.000 a 150.000 tonnellate di plastiche da imballaggio che non sarebbero dovute finire nei nostri impianti: la comunicazione è fondamentale”.
Difficile parlare di bioplastica in questa sede senza pensare al bando dei sacchetti. Abbiamo chiesto un parere ai due ospiti tedeschi che hanno aperto il convegno. “Capisco perfettamente il disagio dei produttori di sacchetti in Italia – ci ha detto la dottoressa Lange – ciò che penso, e che sostiene anche EuBP, è che i bandi non siano mai una soluzione. Sono strumenti troppo aggressivi per il mercato. Credo invece che sia giusto applicare una tassa sui sacchetti di plastica, per responsabilizzare i consumatori. La polemica fra oxobiodegradabili e compostabili non è solo una questione italiana. Anche nel resto d’Europa c’è molta confusione. Io non ho nulla contro gli additivi, ma non possono essere inclusi fra i biopolimeri. E’ plastica, plastica additivata”.
Al dottor Carus abbiamo chiesto se in Germania sarebbe immaginabile un bando come quello italiano. “No, sicuramente no. Ma noi non abbiamo un problema con la plastica dispersa: la ricicliamo praticamente tutta”.
La Bioplastics Conference è stata organizzata da Proplast, Plastica Verde e Polimerica.