Aper: le aste per gli impianti rinnovabili rappresentano un rischio
L'associazione affida a un working paper le sue perplessità sul meccanismo di aste al ribasso introdotto dal decreto Romani. Il rischio, secondo Aper, è che si finisca con l'aumentare il costo complessivo del sistema di incentivazione, invece di diminuirlo come ci si proponeva
05 October, 2011
Il meccanismo delle aste per gli impianti a fonti rinnovabili, introdotto dal decreto legislativo n. 28/2011 (il cosiddetto decreto Romani), rappresenta una doppia minaccia per il settore: da un lato il rallentamento, se non il freno, alle nuove iniziative rinnovabili; dall’altro la concentrazione del settore a causa delle difficoltà di accesso al credito delle iniziative soggette ad asta.
A sostenerlo è Aper (Associazione produttori di energia da fonti rinnovabili), che ha appena pubblicato il working paper “Le aste per l’incentivazione alle rinnovabili - Possibili configurazioni e criticità del caso italiano” (vedi allegato).
La discussione avvenuta in seno al centro studi Aper ha infatti evidenziato l’esistenza di numerosi profili di rischio, tra i quali «l’esistenza di costi di sviluppo non recuperabili, la modifica delle condizioni al contorno e l’applicazione di penali, anche alla luce dei lunghi tempi che intercorrono tra l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto, l’acquisizione del diritto all’incentivo e l’effettiva messa in esercizio». Questi rischi, sottolinea l'associazione, rischiano in definitiva di accrescere anziché contenere il costo complessivo del meccanismo. Per questo si chiede al Governo, nel definire i meccanismi delle aste, di «tener conto delle basilari necessità del settore, finanziabilità e tutela della libera impresa, piuttosto che subire il fascino di un modello teorico che, all’atto pratico, già in altri Paesi ha dimostrato di non funzionare».