Consumi in cucina e a tavola le prime risposte ai vostri dubbi
Le spiegazioni dell'esperta del Wwf Eva Alessi alle tante domande dei nostri lettori - da La Repubblica del 05.02.2009
05 February, 2009
Ecco i primi quesiti sulla sostenibilità dei consumi e l'impronta ecologica arrivate dai nostri lettori. A rispondere è l'esperta del Wwf Eva Alessi. Nei prossimi giorni potete continuare a mandare le vostre domande via posta elettronica all'indirizzo v.gualerzi@repubblica.it
Mi ha molto colpito il fatto che in un caffè siano contenuti 140 litri di acqua (consumo virtuale, ndr). Questi indicatori lasciano un segno molto più di campagne ambientaliste ed ecologiste che - purtroppo - non riescono ad intaccare le abitudini di chi già si dimostra poco sensibile in materia. E' possibile avere una sorta di "tabella" dei consumi nascosti nei generi che utilizziamo di più o nelle azioni che più frequentemente facciamo? Federica Corso Talento
Gentile Federica, il Wwf, infatti, da anni promuove l'applicazione di indicatori di sostenibilità ambientale che misurino l'impatto ecologico prodotto dal nostro modello di sviluppo e dai nostri stili di vita calcolando quanto consumiamo in termini di risorse naturali utilizzate. In tal senso, un'interessante e relativamente nuova declinazione dell'impronta ecologica (che misura la dimensione della domanda umana su ecosistemi planetari) è l'impronta idrica che quantifica, in metri cubi, l'acqua complessivamente utilizzata per produrre beni e servizi consumati all'interno di una nazione o dal singolo individuo.
L'impronta idrica può essere applicata anche a singoli prodotti e, in questo caso, rappresenta il volume totale, comprendente l'intera catena di produzione, di acqua dolce impiegata per produrre il prodotto stesso.
Di dati e tabelle come quelli da lei richiesti ne esistono diversi; di seguito le riporto una tabella estrapolata dalle ricerche di Hoekstra A. e Chapagain K., autorevoli scienziati del Water Footprint Network sul cui sito le consiglierei di andare per ulteriori approfondimenti.
Contenuto medio di acqua virtuale in alcuni prodotti (da Hoekstra A. e Chapagain K., Water footprints of nations: Water use by people as a function of their consumption pattern. Water Resour Manage, 2007, 21, 35-48.)
Nel bagno dell'azienda presso cui lavoro posso scegliere di asciugarmi le mani, sia con la carta (salviettine) che con il ventilatore. Qual è il più ecologico tra i 2 metodi?
Andrea
Caro Andrea, la tua domanda non è affatto banale, dal momento che sono molte le variabili da considerare. Per quanto mi è dato sapere al momento non esiste uno studio indipendente (ossia non finanziato da una delle 2 controparti produttori di salviette e produttori di asciugatori elettrici) sul ciclo di vita dei due prodotti. Per tale motivo il dibattito sull'impatto ambientale è aperto. Quello che posso fare è descriverti alcune, senza alcuna pretesa di esaustività, delle variabili che pesano nella valutazione.
Carta
Numero delle salviettine utilizzate ogni volta che ci si asciuga le mani (1 o quante?); Tipo di carta (riciclata o non?); Tipo di gestione dei rifiuti cartacei (si avviano forme di recupero o la carta è direttamente smaltita in discarica?); Ciclo produttivo operato dalla cartiera (che tipo di energia utilizza? Che tipo di carta impiega? Che metodologie e prodotti usa per lavorare la carta? Che tipo di veicoli utilizza - aerei, treni, navi, camion - per approviggionarsi della materia prima e per distribuire i prodotti? ecc.)
Asciugatrice elettrica
Caratteristiche tecniche dell'asciugatrice elettrica (potenza, durata del getto d'aria calda, ecc.); Numero di cicli di asciugatura necessari alla percezione di "mani asciutte", aspetto con forte margine di soggettività (1 o quanti?); Origine dell'energia elettrica utilizzata dalle asciugatrici (da carbone o da fonti rinnovabili?); Ciclo produttivo delle aziende di produzione delle asciugatrici (che energia e materiali utilizzano? ecc.); Grado di riparabilità dell'asciugatrice e di recupero delle singole parti (il prodotto è facilmente riparabile? Sono facilmente recuperabili i suoi componenti? ecc.)
La combinazione di queste variabili porta a risultati molto differenti in merito all'impatto ambientale delle due soluzioni. Non potendo dare dunque una risposta univoca ed esaustiva mi limito a suggerire, ove possibile, l'uso di asciugamani a rotolo di cotone che non sono usa e getta o qualora questo non fosse disponibile all'uso più moderato possibile delle soluzioni da lei presentate.
Che differenza di impronta ecologica c'è tra un maschio adulto italiano vegetariano e uno con dieta onnivora media, ovviamente a parità di altre abitudini e comportamenti?
Massimo
Caro Massimo, il consumo degli alimenti incide in maniera significativa sul calcolo dell'impronta Ecologica e dunque esiste una forte differenza tra le tipologie di alimentazione. È dimostrato che un'alimentazione vegetariana è caratterizzata da impronta più bassa di una onnivora con una certa percentuale di prodotti carnei. Questo perché, come ci insegna l'ecologia, ogni volta che si passa da un livello all'altro della rete alimentare si verifica una perdita di energia. Ad ogni passaggio (es. pianta-erbivoro-carnivoro) viene perso quasi il 90% dell'energia che viene degradato in calore (in linea con il secondo principio della termodinamica).
In quest'ottica appare chiaro come la zootecnica e l'acquacoltura oltre ad un elevato consumo di suolo, richiedano apporti esterni di energia e materia per infrastrutture, alimenti, acqua, medicinali, energia termica, energia elettrica, combustibili per i trasporti, energia per la trasformazione e la conservazione (compresa la catena del freddo) e per la gestione dei rifiuti (deiezioni, resti di macellazione, ecc.). E ancora, alla zootecnia è imputabile un pesante ruolo nell'emissione di gas a effetto serra, secondo dati Fao, addirittura superiore a quello del settore dei trasporti.
Tutto ciò determina l'elevata l'impronta ecologica della carne. Ad esempio, volendo considerare esclusivamente il consumo idrico associato alla produzione, in Italia una tonnellata di carne bovina richiede 21.167 metri cubi, quella ovina 7.572 metri cubi, quella suina 6.377 metri cubi; di contro la stessa quantità di riso richiede circa (dipende dalla varietà) 2000 metri cubi, di soia 1.500 e di latte 861 metri cubi (fonte Hoekstra A. e Chapagain K., Water Resour Manage, 2007, 21, 35-48).
In generale occorre anche tenere presente che l'impronta ecologica dell'alimentazione è ulteriormente condizionata dalla scelta dei prodotti: optare per alimenti di stagione e di provenienza locale permette di ridurre il loro impatto sugli ecosistemi.
E' vero che la lavastoviglie fa risparmiare acqua e energia?
Alessandro Caselli
Caro Alessandro, le cose sono in realtà più complesse. È potenzialmente vero che una lavastoviglie moderna ed efficiente (classe A) possa permettere di risparmiare acqua, ma lo stesso non è sistematicamente detto si possa affermare anche per l'energia. Questo perché, per ogni ciclo di lavaggio, una lavastoviglie consuma quasi 1 kWh (1 chilowatt l'ora), quantità non trascurabile di energia che equivale più o meno al consumo di 10 ore di un televisore tradizionale da 29 pollici.
Il consumo della lavastoviglie varia, inoltre, a seconda dei programmi, e dunque delle temperature, scelti dal momento che la maggior parte dell'energia consumata da questi elettrodomestici serve proprio a riscaldare l'acqua. In tal senso impostando lavaggi a più bassa temperatura si possono ridurre i consumi. Va però detto che nel lavaggio delle stoviglie a mano non si raggiungono mai, per ovvi motivi, temperature particolarmente elevate e questo comporta consumi limitati in termini energetici.
Il consumo di acqua, nel lavaggio a mano, è invece fortemente legato alle modalità personali di insaponamento e risciacquo delle stoviglie. Per ulteriori informazioni su un corretto utilizzo della lavastoviglie e sulla scelta dell'elettrodomestico più efficiente si rimanda al sito di Top Ten Italia che rappresenta uno strumento messo a punto dal Wwf Italia per orientare le scelte dei consumatori.
E' possibile evitare di ingerire sostanze tossiche, o devo rassegnarmi e cercare al massimo di limitare i danni, considerando anche le sofisticazioni illegali di cui spesso si sente parlare, collegate anche a volte con la criminalità organizzata?
Daniele Girardi
Caro Daniele, l'alimentazione rappresenta una delle principali vie di esposizione dell'organismo a una vasta gamma di sostanze che possono derivare sia dall'ambiente sia da processi industriali quali la produzione, lo stoccaggio e il trasporto. La migrazione di composti chimici dai materiali di imballaggio o dai contenitori è altrettanto nota così come la presenza di additivi (emulsionanti, conservanti, antiossidanti) che può influenzare la qualità dei cibi.
Il Wwf, con la campagna Detox/Svelenati, ha cercato di sensibilizzare e informare l'opinione pubblica sulle conseguenze di queste sostanze di sintesi che i sistemi naturali hanno difficoltà nel metabolizzare una volta che esse siano state diffuse nell'ambiente. Questo non vuole assolutamente essere allarmistico per i consumatori, infatti la presenza in tracce di questi contaminanti dal punto di vista della salute fa si che non ci siano effetti né diretti né immediati, i rischi semmai sono quelli da accumulo dovuto all'esposizione cronica anche a basse dosi di cocktail di contaminanti.
In tal senso la lettura delle etichette, ammesso si riesca a decifrare l'infinita gamma di sigle, costituisce una buona regola sebbene non esaustiva e per la presenza di sostanze indesiderate (diossine, metalli pesanti, pesticidi, ecc.) e perché esistono delle soglie al di sotto delle quali le sostanze per legge non devono essere dichiarate.
Per ulteriori informazioni sui diversi contaminanti e loro effetti sulla salute le suggerisco di prendere visione del rapporto "Dal mercurio alla diossina: viaggio alla scoperta dei pericoli nel piatto" che, seppur non recentissimo, offre una serie di spunti di riflessione e approfondimento.
Il cibo biologico rappresenta una possibile via per ridurre il carico di sostanze inquinanti a cui siamo sottoposti ma non permette certo eliminare totalmente il rischio nel momento in cui è l'ambiente a essere contaminato. Di qui la necessità di disporre di una normativa efficace che ci tuteli a monte. La regolamentazione Reach approvata dall'Ue in questo senso disegna un nuovo modello su cui l'Europa deve fare affidamento: per legge l'industria e le attività produttive dovranno essere rispettose dell'ambiente e della salute umana.
Il cambiamento però dall'attuale e consolidata situazione verso sostanze chimiche più sicure è ancora una battaglia tutta da vincere. Reach è un regolamento che necessita di un ulteriore rafforzamento per essere davvero efficace; come Wwf continueremo la nostra azione per la promozione di una chimica più sostenibile