Durban, D'Alessio (A21): «Un grosso passo avanti, ma sul ruolo degli enti locali siamo tornati indietro»
Eco dalle Città a colloquio con Emilio D'Alessio, ex presidente di Agenda21 Locale, sulle conclusioni della Conferenza Onu di Durban sul cambiamento climatico e sul ruolo degli enti locali nella lotta alle emissioni di gas serra
13 December, 2011
La conferenza Onu sul clima di Durban si è conclusa con un accordo a sorpresa che prevede l'impegno, da parte anche di governi che non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, a formalizzare un nuovo trattato internazionale entro il 2015. Per molti osservatori si è trattato di una vittoria insperata, anche se diverse associazioni ambientaliste non sono soddisfatte del risultato. Eco dalle Città ha intervistato Emilio D'Alessio, architetto, esperto internazionale di sostenibilità ed ex presidente del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane (del cui direttivo è tuttora membro).
Qual è il suo giudizio sull'esito della Conferenza sul Clima di Durban?
A me pare che la Cop17 sia finita molto meglio di come tutti pensavano alla vigilia. C'erano aspettative molto basse, nessuno pensava che si sarebbe riusciti a mantenere in vita il Protocollo di Kyoto e invece inaspettatamente si è creata una condizione per cui per la prima volta, grazie alla formula che prevede impegni “comuni ma differenziati” al tavolo ci saranno tutti, e non solo i famosi paesi dell'allegato I (quelli più industrializzati, ndr). Secondo me si tratta di un grosso passo avanti.
D'accordo. Però bisognerà aspettare il 2015 per mettere nero su bianco i nuovi impegni...
In realtà il nuovo accordo dovrà essere varato entro il 2015, quindi potremmo anche aspettare meno. In ogni caso, credo che alla vigilia tutti avrebbero messo la firma su una conclusione del genere, anche alla luce delle condizioni al contorno, dalla crisi finanziaria alla presenza della Polonia, il paese più conservatore dell'Unione sul piano energetico, alla presidenza di turno dell'Ue. Per non parlare della condizione di Obama, che si trova in minoranza al Congresso ed è alla vigilia delle elezioni presidenziali, per cui si sapeva che non sarebbe stato disponibile a prendere impegni vincolanti.
Come si spiega questo successo in extremis?
Intanto, la presidenza sudafricana, che nei primi giorni della Conferenza sembrava inadeguata, si è rivelata molto utile per giungere al compromesso finale. E poi, come già in altri appuntamenti precedenti, è stato fondamentale il ruolo delle donne: la commissaria europea per il clima, Connie Hedegaard, la solita Christiana Figueres (il segretario dell'United Nations climate change conference, ndr) e la presidente della Cop17, la sudafricana Maite Nkoana-Mashabane.
Fondamentale il ruolo delle donne, dunque. E quello degli enti locali? Come esce da Durban?
Purtroppo da questo punto di vista le cose sono peggiorate, o per lo meno non sono migliorate. A Cancun (in occasione della precedente conferenza, ndr) era stata prodotta una Decisione che riconosceva esplicitamente il ruolo dei governmental stakeholder, intesi come governi locali ma anche parlamentari, nella lotta al cambiamento climatico. Stavolta, invece, non c'è molto nei documenti: nessun riferimento nel documento sul protocollo do Kyoto e solo qualche citazione qua e là. Il ruolo dei governo locali, in altri termini, non è stato esplicitato, ma il loro coinvolgimento viene demandato alle autorità nazionali.
Vale anche per le politiche di adattamento agli effetti del climate change?
Da questo punto di vista, nella documentazione c'è qualche riferimento maggiore al livello locale, anche se sempre “paludato”. Il passo avanti, in materia di adattamento, riguarda soprattutto la Decisione che chiede agli stati di elaborare dei Piani nazionali sull'adattamento.
Come spiega questo passo indietro nel coinvolgimento degli enti locali?
Credo che la Cina abbia avuto un ruolo importante in questo senso, perché il governo di Pechino è molto restio al demandare compiti e competenze alle autorità locali.
Alla luce delle conclusioni della COP17 e della crisi internazionale, come vede il futuro delle politiche climatiche, soprattutto in Italia?
Io sono ottimista, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. Abbiamo un governo di persone che dovrebbero capirne di economia e un ministro dell'Ambiente che crede molto nelle politiche di mercato e ha sempre detto di non condividere le posizioni troppo ideologiche, per cui immagino che cercheranno di favorire il settore delle rinnovabili e del retrofiting, che in questo momento sono gli unici che funzionano. Laddove non arriviamo con l'ambientalismo, magari ci arriveremo con le logiche di mercato.