Piccole Case crescono
Il fenomeno degli impianti di distribuzione dell'acqua pubblica cresce un po' dappertutto. Oltre 400 i distributori presenti nel nostro Paese, la maggior parte nel Nord Italia. Negli anni sono cambiate le tipologie e le modalità di approvvigionamento. I vantaggi ambientali di una scelta di sostenibilità
17 July, 2012
Anche se non esiste un censimento ufficiale, le case dell’acqua in Italia superano oggi le 400 unità. Un dato in costante aumento. Le hanno contate sia i gestori del sito http://www.casadellacqua.com/ (Cap Holding, Ianomi, Tam e Tasm tutte della provincia di Milano) sia il gruppo di lavoro creato da Federutility, la Federazione delle società pubbliche e private che si occupano di energia, gas e acqua. Le due stime coincidono, anche se i dati non sono aggiornati e, soprattutto, mancano delle fonti ufficiali di riferimento. A variare, oltre i numeri, sono anche le denominazioni: c'è chi le chiama “case dell'acqua”, chi “fontane”, chi “punto acqua”, chi ancora “fontanelli”, che infine “H2O”. I nomi cambiamo secondo le latitudini, ma la sostanza rimane quella. Stiamo parlando degli impianti pubblici che distribuiscono acqua naturale e frizzante in sostituzione di quella in bottiglia. Piccoli impianti voluti dai singoli comuni e realizzati per lo più dalle società, anch’esse pubbliche, che gestiscono il servizio idrico integrato di un determinato territorio. Un’idea che ha preso corpo una decina di anni fa, specie in provincia di Milano, e che ben presto si è diffusa, pur a macchia di leopardo, in altre realtà del Paese, la maggior parte concentrate nel Nord Italia.
Non esiste una tipologia di impianto standard: c'è chi le ha pensate e continua a realizzarle in muratura, chi invece ha scelto un disegno minimalista (un muro verticale con alcuni rubinetti), chi ha puntato al design e alla ricercatezza dei materiali, chi si è orientato, dopo alcuni tentativi per ridurre i costi di realizzazione, alla prefabbricazione e al montaggio in opera degli elementi. Insomma, le tipologie edilizie e impiantistiche variano da soggetto a soggetto, ma la sostanza non cambia.
Ciò che negli anni è cambiato è il costo: inizialmente il prelievo era gratuito sia per l'acqua naturale sia frizzante; poi col tempo, su richiesta dei sindaci preoccupati anche dei costi manutentivi e dalle ristrettezze di bilancio, numerosi comuni hanno scelto la formula a pagamento per quella addizionata con CO2. Sempre nel tempo si è affinato anche l'aspetto della modalità di pagamento delle quantità prelevate: dai centesimi di euro alle tessere magnetiche prepagate alle tessere sanitarie regionali (è il caso della Lombardia).
I benefici sono facili da comprendere e ben l'hanno compreso i molti cittadini che, da curiosi sono diventati utenti fedeli del servizio idrico pubblico: risparmio dei costi di acquisto dell'acqua imbottigliata, qualità del prodotto e vantaggi ambientali. Questi ultimi meno facili da percepire, ma presenti nell'analisi costi-benefici dell'operazione: meno bottiglie di plastica acquistate al supermercato vuole dire meno plastica prodotta, meno CO2 emessa, meno automezzi pesanti in giro per l'Italia per rifornire i negozi e ancora meno CO2 prodotta dai tir, meno costi di acquisto, più vantaggi per il portafoglio e il bilancio familiare. E poi, più socialità (le case sono luoghi di incontro) e consapevolezza ambientale.
Insomma, un esempio e una formula di sostenibilità (ambientale, economica e sociale) riuscita.