Quinto conto energia, Ifi: «Ha causato il blocco del mercato»
In occasione di Ecomondo, l'associazione lancia l'allarme sullo stato di salute del fotovoltaico italiano, sottolineando le difficoltà che il settore attraversa dopo l'entrata in vigore del Quinto conto energia. Secondo Ifi sono oltre 2.000 i posti di lavoro a rischio
07 November, 2012
«Il Contatore del Quinto conto energia dà segnali oggettivi di paralisi del mercato e questo si riflette drammaticamente sulla continuità di impresa delle industrie nazionali impegnate nella realizzazione dei componenti principali: celle, moduli, inverter». A lanciare l'allarme, in occasione di Ecomondo, è Alessandro Cremonesi, presidente del Comitato IFI (industrie fotovoltaiche italiane). «Oltre la metà delle aziende associate hanno le linee produttive ferme – dichiara - segnale che il Quinto conto energia, in vigore dallo scorso 27 agosto, ha generato il fermo della domanda, con una ripercussione drammatica sul comparto industriale nazionale, attraverso condizionamenti burocratici eccessivi, l’aleatorietà degli investimenti, il blocco del credito e il crollo verticale degli incentivi stessi».
Una situazione che secondo Cremonesi è ulteriormente aggravata dalla concorrenza sleale da parte di produttori e importatori cinesi. Inevitabili, denuncia Ifi, le conseguenze sull’occupazione «Circa 2.000 posti di lavoro qualificato dell’industria nazionale delle componenti celle e moduli sono gravemente minacciati - prosegue Cremonesi – Alcune industrie a noi associate hanno dato inizio a procedure di liquidazione e/o di concordato preventivo, altre stanno valutando seriamente la possibilità di delocalizzare all’estero, in quei Paesi dove la richiesta di tecnologia e di investimenti industriali è promossa e incentivata».
Per questo il presidente del Comitato Ifi chiede da subito «interventi concreti di tutela e di promozione delle industrie nazionali: quelle che hanno investito meno di cinque anni fa in tecnologia e lavoro qualificato, che hanno riconvertito fiduciose le proprie attività, ma che ancora devono ammortizzare gli investimenti fatti per colpa degli effetti generati da questa politica poco industriale e poco lungimirante per le imprese nazionali del settore».