Clima, conferenza di Doha: l'accordo che non entusiasma
Moderata la soddisfazione espressa dal segretario delle Nazioni Unite all'indomani della conclusione del vertice internazionale sul cambiamento climatico che si è tenuto a Doha. Scarso entusiasmo anche da Clini e Ue. Più ottimistica la reazione dell'Unep, ma la strada da percorrere appare in salita
10 December, 2012
Moderata soddisfazione, unita alla consapevolezza che occorre impegnarsi molto più a fondo. È questo l'atteggiamento prevalente rispetto all'esito della Conferenza dell'Onu sul cambiamento climatico che si è tenuta nelle scorse settimane a Doha. Secondo il portavoce di Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, Doha ha concluso «con successo il precedente ciclo di negoziati sul clima, aprendo la strada a un accordo globale giuridicamente vincolante entro il 2015».
Un motivo di indubbia soddisfazione, ma lo stesso Ban si è detto consapevole del fatto che sono necessari sforzi più decisi, invitando «i governi, insieme con le imprese, la società civile e i cittadini, ad accelerare la lotta sul campo, in modo che l'aumento della temperatura globale possa essere limitato a 2 gradi Celsius». Oltre a varare misure di contenimento delle emissioni e di adattamento al cambiamento climatico, secondo il Segretario generale dell'Onu occorre che i governi proseguano senza indugi sulla strada degli accordi vincolanti per la riduzione della CO2. Un obiettivo per il quale lo stesso Ban Ki-moon intende impegnarsi in prima persona, aumentando il proprio coinvolgimento personale nel processo diplomatico che precederà i negoziati del 2015.
Più ottimistica la reazione dell'Unep, il Programma ambientale delle Nazioni unite, che giudica «un successo» il fatto che gli Stati abbiano concordato un preciso calendario di impegni e un percorso comune di contrasto degli effetti del cambiamento climatico. Secondo l'Unep, addirittura, l'esito del vertice del Qatar rappresenta «un passo avanti fondamentale nella risposta globale ai cambiamenti climatici». Decisamente contenuta, invece, la soddisfazione di Christiana Figueres, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). «Doha è un altro passo nella giusta direzione, ma abbiamo ancora molta strada da fare – ha commentato - La porta di rimanere al di sotto di due gradi rimane a malapena aperta. La scienza lo dimostra, lo dimostrano i dati».
Dello stesso tenore, venendo in casa nostra, il commento del ministro dell'Ambiente Corrado Clini. «Sarebbe eccessivo dire che il bicchiere è mezzo pieno. I paesi Ue, la Norvegia, la Svizzera e l’Australia si sono impegnate a ridurre le emissioni del 18%, ma insieme contano per il 20% delle emissioni globali, mentre gli altri non hanno impegni. Si sarebbe potuto ottenere di più se gli Usa, dopo la rielezione di Obama, avessero preso degli impegni, ma loro ci dicono che sono bloccati dal Congresso a maggioranza repubblicana». Stessa opinione anche da parte della Commissione europea, secondo la quale l'accordo di Doha rappresenta solo «un passo in avanti modesto verso un accordo globale nel 2015». Secondo Connie Hedegaard, commissario Ue per l'azione per il clima, «non è stata una passeggiata nè comoda né veloce. Quello di cui abbiamo bisogno ora è più ambizione e velocità».
Una certezza condivisa anche dal movimento Italian Climate Network, secondo il quale il negoziato di Doha rappresenta un passo necessario ma non già la soluzione al problema del cambiamento climatico. «Sebbene siano insufficienti a garantire l’aumento di temperatura media globale al di sotto dei 2°C (e tantomeno a risolvere la crisi climatica), gli impegni di riduzione previsti dal “Kyoto 2” soddisfano le aspettative minime riposte sulla COP18 non solo per mantenere in vita l’unico strumento vincolante esistente, ma soprattutto per garantire una fase di transizione regolamentata fino al raggiungimento del nuovo accordo globale (previsto per il 2015) sotto la guida della Durban Platform», commenta Federico Brocchieri, presente in Qatar per l'associazione.
L'accordo raggiunto a Doha – che non è stato sottoscritto da Cina e Stati Uniti – prevede un secondo periodo di impegni dopo la scadenza del Protocollo di Kyoto. Questa seconda fase durerà 8 anni, a partire dal 1 gennaio 2013, ma l'entità delle riduzioni obbligatorie di gas serra sarà decisa solo il prossimo anno. Bisognerà attendere invece il 2015 per conoscere i dettagli dell'accordo più ampio che coinvolgerà tutti i paesi delle Nazioni Unite e che entrerà in vigore solo nel 2020, al termine del “Kyoto 2”. Secondo i climatologi, in ogni caso, gli obiettivi che i governi nazionali hanno già comunicato sono di gran lunga inferiori a quanto occorrerebbe per contenere l'aumento di temperatura globale entro i 2 gradi centigradi.