CORTILI: DOVE OSANO I BAMBINI
Le richieste dei bambini di Roma per giocare sul suolo pubblico
16 March, 2004
È accaduto a Roma, ma poteva succedere in qualsiasi altra grande città. I bambini tra i 6 e i 10 anni, riuniti in una sorta di Consiglio comunale dell’infanzia, hanno chiesto al sindaco Walter Veltroni di abolire l’articolo 6 del Regolamento della Polizia Urbana che vieta ai bambini “qualunque gioco sul suolo pubblico”. E non solo, ma hanno chiesto di potersi riappropriare del loro tempo, di avere meno compiti. Il sindaco ha risposto: e ha detto che quell’articolo della Polizia Urbana è ingiusto, e che andrebbe modificato. Non è soltanto una notizia di cronaca, e neppure una richiesta ingenua o infantile. È il punto finale di qualcosa che sta avvenendo in questi anni, qualcosa che ha modificato quasi radicalmente la vita dei nostri figli, e l’idea che abbiamo dell’infanzia. Da molti mesi in un piccolo parco di Roma, che sta di fronte a una scuola elementare, si stanno facendo lavori di ristrutturazione. È un parchetto quello, dove da anni i bambini si fermano a giocare a pallone dopo l’orario di uscita. Oggi sta diventando un “parco contemplativo”: c’è un bellissimo prato all’inglese, vialetti di brecciolino ancora bianchissimo. Solo che il brecciolino è incollato. Ho chiesto ai giardinieri del comune: ma qui se un bimbo cade con la bicicletta non si fa molto male? Risposta: “Sì, ma i bambini non possono andare in bicicletta in questo parco. E naturalmente non possono più giocare a calcio. Perché rovinerebbero il prato”. Mi ha risposto trionfante quel giardiniere. E c’è da chiedersi, a chi serve un parco del genere? A gente che vuole scacciare via i bambini, che sono assai poco contemplativi, come si sa. Circa un mese fa ho accompagnato mio figlio a una festa di bambini. In un grande caseggiato di quelli costruiti a Roma negli anni Trenta e che ricorda certi film di Ettore Scola. All’interno del caseggiato c’è un cortile meraviglioso, palme e piante di almeno sessant’anni. Ho pensato che doveva essere bello per i bimbi che abitano in quel posto, poter scendere in cortile a giocare. Ma mi è stato subito spiegato che lì i bambini non possono giocare. Un regolamento condominiale lo vieta tassativamente. I bambini disturbano. Ma soprattutto i bambini devono rispettare i tempi e i ritmi che hanno gli adulti; che vogliono per loro i tempi organizzati della società adulta. Dunque abolizione dei tempi morti, ovvero dei tempi del gioco e della creatività, e costruzione di una matassa obbligata dove se devi giocare al calcio ti devi iscrivere a un corso. E lo puoi fare solo in certi giorni e in certi orari. E se vuoi passare delle ore a inventarti giochi tutti tuoi, non ti è concesso, perché ogni momento ludico è organizzato al di là del principio di piacere, e al di là delle esigenze dei bambini. Non sono state poche in questi anni le iniziative per liberare i bambini dalle costrizioni delle grandi città. Sempre a Roma si è costituito un comitato per la liberazione dei cortili. Che simbolicamente ha liberato i cortili dalle automobili per farci giocare i bambini.Ma si tratta di iniziative simboliche che lasciano purtroppo il tempo che trovano. La verità è che nell’immaginario organizzato di questa società, i bimbi che stanno nei cortili sono soltanto quelli un po’ abbandonati delle periferie e persino della povertà. Dove l’assenza di un tempo organizzato è sinonimo di incuria, di pochezza e persino di trascuratezza. Più i quartieri sono ricchi, più le strade sono libere da bambini che giocano. E si riempiono palestre, centri sportivi e ludoteche, dove lo spazio del gioco è rigidamente regolato da orari, iscrizioni e scadenze settimanali. Il risultato di questo tempo organizzato è la noia. La noia di dover fare assolutamente qualcosa, la noia di non poter decidere in qualsiasi momento di inventarsi un gioco qualsiasi, perché non ci sono possibilità e perché non c’è il tempo. La noia del non gioco, di quel mondo degli adulti che ha invaso lo spazio dell’infanzia imponendo regole e comportamenti di questa società. Basta solo guardare come sono organizzate le scuole di calcio per bambini. E si capiscono molte cose. È tutto un allenamento, è tutto un non giocare, conta più la borsa, le scarpette e la tuta, che il poter fare una partitella tra pochi amici. E talvolta sono proprio i genitori a obbligarli, oltre che a sperare, che diventino da subito dei piccoli calciatori, che sgomitino più fuori dal campo che dentro per ottenere una piccola convocazione, e avere il ruolo da titolare. Fino a non molti anni fa il rispetto per l’infanzia stava soprattutto nel riconoscimento della diversità dell’infanzia. Nella possibilità che un periodo formativo importante fosse regolato dall’idea della libertà che ti concede quel momento della vita. Una libertà che crescendo non hai più. Oggi che l’attenzione verso l’infanzia è ossessiva e continua; oggi che siamo sommersi da troppi psicologi infantili in libera uscita televisiva; oggi che è tutta una teoria, una sensibilità, un’attenzione mai vista, la vera attenzione verso i nostri figli sta nel fatto che vogliamo farli entrare da subito in quella ideologia della società-azienda che ormai impera ovunque. Dove conta l’ottimizzazione del tempo, il risultato da conseguire, il sacrificio per ottenere il meglio. E dove il tempo della libertà e della casualità, che sono alla base di ogni creatività che si rispetti, è dimenticato da qualche parte. Allora si capisce perché i bambini di Roma chiedono di poter tornare a giocare e di poter vivere le proprie vacanze come un mondo di libertà. Nella società-azienda la produttività dell’infanzia è tarata sul rendimento scolastico. E il rendimento scolastico a sua volta è tarato su modelli adulti. Persino nelle scuole elementari è richiesto impegno, fatica e responsabilità. In piccola parte è giusto, ma negli anni si è esagerato. E oggi il loro è tutto un mondo di responsabilità. E di compiti, e di competizione. Finisce che si cancella il gioco per strada e nei cortili, per sostituirlo con una corsa affannosa verso un modello che viene considerato adeguato per arrivare nel modo migliore nell’universo dei grandi. Cantava Paolo Conte: “era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti”. Troviamo un modo per farli tornare a giocare e a sbagliare, questi bambini, e proteggiamoli da quel mondo adulto che non è così importante conoscere da subito. Perché si impara presto a capire le storture, i cinismi e le ambizioni dei grandi. Perché c’è un tempo per tutto, è vero. Ma per loro, per i bambini, non c’è più il tempo della libertà.