Irragionevoli paure e sensate precauzioni
06 May, 2004
Si dovrebbe discutere più apertamente di precauzione e di paura, nei confronti del terrorismo come dei disastri ambientali. Qual è il confine tra irragionevole paura e sensato principio di precauzione? Questa è quasi sempre la questione : lo è per molti problemi ambientali, a cominciare dagli impianti di smaltimento. In Campania, ma non solo, spesso l’inceneritore fa più paura della discarica anche se dal punto di vista dell’inquinamento è più vero il contrario. Il tema è comunque regolato da leggi e regolamenti, non è arbitrario. Voglio dire che - anche se ovviamente non tutto funziona a perfezione- ci sono agenzie Arpa, carabinieri, magistrati, vigili che possono continuamente essere chiamati a controllare che le emissioni siano nella norma. Mi fa specie - sto per dire una banalità - che ci sia tanta gente disposta a mobilitarsi contro possibili rischi di inquinamento e molta meno disposta a mobilitarsi contro l'accertato e reale inquinamento fuori norma derivante dal traffico.(Anche la spiegazione è banale: del traffico siamo corresponsabili. Quasi come delle sigarette..) Facendo un parallelo metodologico, trovo che nel dibattito politico pubblico sulla presenza delle truppe italiane in Irak le questioni della paura e della precauzione siano poco presenti, anche se lo sono nei sentimenti popolari. Forse questo deriva da uno storico più o meno inconscio e più o meno infondato senso di inferiorità bellica italiana, per cui ci si vergogna a parlare di paura? Molto prima di una scelta di valori pro-autodeterminazione o pro.nonviolenza, io sento paura per i rischi a cui mi sottopone l’intervento militare in Irak. (E da questo punto di vista non cambia se ha o non ha l’avallo dell’Onu..) Ci sono terroristi islamici che vivono dalle nostre parti e che possono decidere di fare o non fare una strage a Milano o Roma a seconda che siano o non siano presenti soldati italiani in Irak. La strage di Atocha dimostra che la mia paura è fondata, anche se non va sovradimensionata. Se si trattasse davvero di difendere la giustizia, la libertà, la Costituzione, insisterei per mettere da parte questa paura, per superarla. o addirittura per considerarla un moltiplicatore di mobilitazione come quando negli anni 70 si contrastava la strategia della tensione. Ma non è così. Ci devono dimostrare che ci sono motivi importanti per mettere a rischio di strage le grandi città italiane. Mi sentirei più sicuro se invece di imbarcarci nella disperata impresa di garantire l’ordine pubblico in Irak – come se potessimo risolvere noi il conflitto tra Bush e gli estremismi nazionalisti o islamici !- si investissero più risorse nella integrazione e nel controllo (civile garantista, ma controllo) delle presenze straniere in Italia e in Europa. Quello che ho appena espresso non è il pensiero di un pacifismo radicale contrapposto a un semipacifismo “di governo”, ma è espressione di un principio di precauzione. E' una paura, ebbene sì. Rispetto alla quale chi è il massimalista idealista e chi è il prudente riformista? Sembra ogni tanto che il dibattito sia su cosa è meglio per gli irakeni. Ma allora perché non per i sudanesi, gli ivoriani, i ceceni ? Non è convincente questa improvvisa passione per “i poveri irakeni”. A meno che il ragionamento non sia che temiamo lo sbarco saraceno in Italia se i crociati di Bush abbandonano la nuova Terrasanta irakena, e che se gli italiani si ritirano gli Usa si demoralizzano e crolla il fronte orientale della civiltà. In tal caso la posizione ‘combattente’ di chi vuole mantenere i soldati italiani in Irak non si baserebbe sul disprezzo nei confronti della diciamo mia paura di Atocha, ma su una paura ben maggiore, alla Fallaci.