Riciclo, si ricomincia dalla prevenzione
Negli anni novanta, quando già la tecnologia degli incerenitori dava discrete garanzie, l'Italia è rimasta indietro.
29 June, 2004
Il paradosso è che ora tutto ciò potrebbe essere un vantaggio perché i nuovi orientamenti della Ue mettono l'accento sulle soluzioni a monte di Antonio Cianciullo Di tutta la grande partita rifiuti l'elemento che domina le cronache è la battaglia sugli incerenitori: il ritardo italiano e la rivolta degli abitanti dei paesi coinvolti nei vari progetti di "termovalorizzazione", secondo la direzione politicamente corretta che non è ancora riuscita a scacciare la vecchia immagine degli inceneritori anni sessanta, veri e proprio pozzi di diossina troppo a lungo tollerati. Ma vista da Bruxelles, con l'occhio dell'Unione Europea, la questione assume contorni più ampi ed anche la posta economica in gioco cresce fino a prendere una dimensione assai più significativa del reddito che può venire da un inceneritore. L'assieme delle direttive approvate e in discussione (da quelle sugli imballaggi a quella sulle categorie di prodotti da coinvolgere) disegna un progetto ambizioso cui l'Europa tenta di assumere la leadership come ha fatto per la battaglia sul protocollo di Kyoto. Si tratta di incrociare due debolezze per trasformarle in una forza: da una parte le risorse decrescenti a causa di un prelievo che in alcuni casi (vedi combustibili fossili) sfiora il saccheggio, dall'altra la produzione montante di rifiuti inutilizzabili. "Roma è seduta su una miniera che sforna oltre 64mila tonnellate di materiali l'anno, ma li chiamano rifiuti e li usano solo al venti per cento" , afferma Giancarlo Longhi, direttore di Conai, il consorzio per il recupero degli imballaggi. "Una percentuale decisamente troppo bassa, che è destinata a crescere alimentando un mercato in cui l'Italia può assumere un ruolo di tutto rilievo visto che già oggi le nostre industrie di riciclo sono tra le più quotate". Un'Italia ecologicamente all'avanguardia potrebbe sembrare un'immagine un po ' troppo ottimista dato che in campo ambientale siamo spesso costretti a inseguire l'Europa in maniera scomposta ed affannosa. Eppure uno dei paradossi dello sviluppo industriale ha regalato una grande opportunità al nostro paese. Negli anni Novanta, quando la tecnologia dell'incenerimento dava già discrete garanzie di affidabilità (a patto di costruire impianti di alto livello) l'Italia è rimasta al palo, schiacciata dal suo sistema pubblico. In quel periodo i paesi del centro e nord europa hanno invece spostato una quota consistente dei loro rifiuti verso l'incenerimento. Una scelta che al momento è sembrata opportuna, ma che oggi potrebbe farli trovare spiazzati dal nuovo orientamento europeo che, virando in senso ecologista, sta chiedendo sempre più nettamente di pigiare sul pedale della prevenzione. Cioè sul risparmio in partenza di materie prime e su merci ideate pensando già nella fase di progettazione alle loro vite successive: materiali da usare e riusare, da far passare attraverso vari cicli in modo da ridurre la pressione sull'ambiente. In questa prospettiva la combustione non è l'ideale: anche se condotta utilizzando il calore per produrre elettricità comporta comunque un alto dispendio di materie prime. Per questo il recupero energetico (cioè l' energia che si può ottenere bruciando i rifiuti selezionati) resta una della quattro "erre" raccomandate da Bruxelles, ma è l'ultima e il distacco tende a crescere: la prima erre è la riduzione dei rifiuti; poi viene il riciclo dei materiali dopo un trattamento che li renda nuovamente disponibili; solo a questo punto arriva il recupero energetico ottenuto da una combustione controllata. Per un momento, durante il dibattito sull'aggiornamento delle direttive che riguardano i rifiuti, era sembrato che il ripensamento sul ruolo dell' inceneritore potesse essere ancora più netto: ma un ulteriore presa di distanza dal recupero energetico ottenuto bruciando rifiuti avrebbe messo in difficoltà proprio i paese che hanno complessivamente la maggiore sensibilità ambientale (dalla Germania alla Scandinavia) impedendo loro di raggiungere l'obiettivo fissato ad esempio dalla nuova normativa europea sugli imballaggi: entro il dicembre 2008 si dovrà arrivare al recupero e riciclo di almeno il 60 per cento degli imballaggi e a un riciclaggio compreso tra il 55 e l'80%. Dunque la combustione con recupero energetico resta nella lista delle misure utilizzabili per raggiungere queste percentuali, ma con qualche distinguo. Una crescita del rigore che bilancia la tendenza all'aumento dei rifiuti (la produzione di spazzatura urbana crescerà del 43 per cento tra il 1995 ed il 2020) con la moltiplicazione dei vantaggi ambientali richiesti al ciclo di produzione e smaltimento delle merci. Da una ricerca promossa dal Conai, ad esempio, risulta che il sistema europeo di riutilizzo di imballaggi contribuisce alla riduzione delle emissioni serra evitando la produzione di 13-17 milioni di tonnellate di anidride carbonica: un valore analogo a quello delle emissioni derivanti da tutti i trasporti su gomma in Austria. "Se si seguono con rigore le indicazioni europee si azzera il dibattito sugli inceneritori perché da bruciare resta ben poco" commenta Fabrizio Fabbri, responsabile delle politiche ambientali dei Verdi. "Per questo suona come un controsenso anche economico il faraonico progetto di inceneritori che si vuole fare in Sicilia: per alimentarlo bisognerebbe di fatto bloccare la raccolta differenziata".