LETTI PER VOI - Una questione meridionale
La posizione di Legambiente sull'inceneritore di Acerra
14 September, 2004
da Il Manifesto del 14.09.2004 «Gli impianti vanno costruiti in aree industriali, vicino alle città dove si producono più rifiuti: il che significa che Acerra è tra i siti "candidabili" a ospitare un termovalorizzatore. Così la pensa Legambiente, come tutti coloro che cercano di affrontare il problema con onestà intellettuale e senza demagogia» di Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente e Michele Buonuomo, presidente di Legambiente Campania Per dire come dovrebbe funzionare un corretto sistema di smaltimento dei rifiuti urbani, c’è poco da improvvisare. Occorre in primo luogo operare per la riduzione dei rifiuti prodotti (oggi sono 30 milioni di tonnellate all’anno), cominciando dagli imballaggi che ne costituiscono circa la metà. Poi, tra un terzo e la metà dei rifiuti - carta, vetro, alluminio, plastica, frazione organica - va recuperato con la raccolta differenziata (la legge italiana fissa la soglia al 35%, nelle esperienze europee più avanzate si supera il 50%) e avviato al riuso e al riciclaggio, una quota residua va bruciata per ricavarne energia, ciò che resta (rifiuti inerti e inoffensivi) va collocata in discarica. Questa ricetta vale anche, crediamo valga a maggior ragione, per una regione in emergenza come la Campania, dove perciò è necessario realizzare alcuni impianti di termovalorizzazione. Quanti, dipende dalla capacità ma prima ancora dalla volontà di raggiungere gli obiettivi prefissati di riduzione e di raccolta differenziata. Dove, è presto detto: gli impianti vanno costruiti in aree industriali, e preferibilmente vicino alle città dove si producono più rifiuti: il che significa che Acerra, per l’appunto area industriale, è tra i siti “candidabili” a ospitare un termovalorizzatore, così come Napoli e Salerno. Così la pensa Legambiente, così la pensano tutti coloro che cercano di analizzare e affrontare il problema-rifiuti con onestà intellettuale e senza demagogia. Acerra, però, è oggi molto di più di una delle tante vertenze italiane che vedono gruppi di cittadini opporsi, con metodi più o meno condivisibili, alla realizzazione di un impianto considerato dannoso per l’ambiente e la salute. È divenuta un simbolo, il simbolo della malagestione dei rifiuti nell’Italia del Sud. E allora è bene, noi crediamo, andare a guardare cosa vi sia dietro questo simbolo. C’è, intanto, il fallimento della stagione ultradecennale della gestione straordinaria, commissariale, dei rifiuti in quasi tutte le regioni meridionali. Una scelta nata all’indomani di Tangentopoli, allora largamente giustificata dal rivelarsi di un sistema di gestione dei rifiuti sistematicamente illegale e molto spesso criminale: ma un passaggio con tali caratteri di eccezionalità non può durare dieci anni, o serve a creare in breve tempo le condizioni per una gestione ordinaria, efficiente e, naturalmente, legale del ciclo dei rifiuti, oppure ha fallito. E ha fallito, non c’è dubbio: nel Sud la raccolta differenziata resta ai minimi termini (7% in Campania, 6% in Puglia, 5% nel Lazio, 4% in Sicilia; in Lombardia è al 36%, in Veneto al 39%, in Toscana e in Emilia è sopra il 25%), e le ecomafie rimangano stabilmente in campo nel business dei rifiuti. Dietro Acerra c’è poi la latitanza delle istituzioni: sembra incredibile ma in Campania come in Puglia, i “commissari” si sono lavati le mani delle scelte di localizzazione dei nuovi impianti, delegandole alle ditte assegnatarie dei relativi appalti. Come dire: noi amministratori non vogliamo saperne di decidere dove devono sorgere i termovalorizzatori, gli impianti di Cdr (dove si producono le “ecoballe”, il combustibile da rifiuti, che dovrebbero contenere soilo materiali inerti) o quelli di compostaggio, se la vedano i privati. Proprio nel caso del termovalorizzatore di Acerra, questa assenza della politica ha mostrato più che altrove i suoi frutti avvelenati: nessuna preliminare valutazione d’impatto ambientale (che come può capire anche un bambino, andrebbe fatta prima di decidere il sito), “ecoballe” che contengono ogni genere di rifiuto, nessuno sforzo per compensare la percezione negativa del nuovo impianto con serie iniziative di bonifica dell’area industriale. Ancora, Acerra evoca l’assenza sistematica, non soltanto nel Sud, di un impegno prioritario da parte dei decisori politici a confrontare le proprie scelte con le comunità locali da queste direttamente investite: a confrontarle a monte, anche per evitare che poi il confronto assuma i caratteri di una trattativa tra nemici sul “campo di battaglia”. Infine, dietro il simbolo Acerra si nasconde un rischio letale: che passi nell’opinione pubblica, prima di tutto in quella meridionale, l’idea che nell’Italia del Sud sia impossibile una gestione sostenibile e legale dei rifiuti. Un’idea peggio che dannosa, un’idea infondata: lo dimostrano le numerose esperienze di comuni meridionali dove si è riusciti, pure in un contesto di estrema difficoltà, ad attestare la raccolta differenziata su standard europei. E in tema di simboli, un caso si stacca su tutti: quello di Montecorvino Rovella, cittadina di 12.000 abitanti in provincia di Salerno, comune gemello di Montecorvino Pugliano dove poche settimane fa i cittadini si sono rivoltati contro la proroga della locale discarica. Bene: a Montecorvino Rovella si recupera con la raccolta differenziata oltre metà di tutti i rifiuti prodotti. Insomma, la “questione meridionale” dei rifiuti non è figlia di una specie di impronta genetica maledetta. Più semplicemente, in questo come in tanti altri campi, al nostro Mezzogiorno servirebbe una classe dirigente maggiormente consapevole che affrontare con coraggio e responsabilità gli aspetti più spinosi di crisi ambientale è tutt’uno con l’esigenza di promuovere uno sviluppo vero, fondato sul rispetto delle regole e sulla valorizzazione delle risorse territoriali.