Petrolio. E se davvero domani finisse? - Speciale de la Repubblica del 13/10
È il motore dell´economia ma anche la più micidiale condanna
14 October, 2004
E se davvero domani finisse? le contraddizioni dell´occidente Un´arma a doppio taglio che ha cambiato il pianeta Petrolio, olio di roccia: per milioni e milioni di anni si è andato formando nelle viscere della Terra attraverso il decadimento di residui organici che avevano sottratto all´atmosfera l´eccesso di anidride carbonica che la rendeva inadatta agli organismi superiori. Per altre migliaia di anni era rimasto dove si era formato, indisturbato e inosservato, fino a che, nel 1859, per sostituire il grasso di balena usato per l´illuminazione, scomparso dal mercato per uno sciopero dei balenieri, Edwin Drake aprì il primo pozzo da cui il petrolio cominciò a zampillare rigogliosamente. Presto sostituito, nel business appena scoperto, da Rockefeller, Drake non immaginava certo che quello sciopero avrebbe aperto una nuova epoca storica. A diffondere nel mondo l´uso del petrolio non sarebbero state comunque le lampade a petrolio, ma la sua applicazione alla movimentazione delle carrozze (cioè all´automobile) e al volo umano (cioè all´aereo). Con carbone e macchina a vapore, protagonisti indiscussi della rivoluzione industriale, non sarebbe stato possibile: ci voleva un motore molto più leggero (il motore a scoppio) e un combustibile altrettanto compatto: la benzina. Così, proprio mentre i progressi realizzati nella produzione dell´energia elettrica facevano sperare agli utopisti dell´ultimo Ottocento di poter finalmente liberare le città e le fabbriche da quella coltre di smog - generata da treni, stufe e caldaie industriali a carbone - che le soffocava, petrolio e motori a scoppio, con le loro emissioni inquinanti, cominciavano la loro conquista di cielo, terra e mare. La mobilità del Ventesimo secolo non conoscerà altro nutrimento: dagli alianti di stoffa dei fratelli Wright ai Jumbo-jet di oggi; dalle prime automobili costruite per il diletto di pochi miliardari eccentrici ai seicento milioni di veicoli che oggi congestionano città e strade del pianeta; dai primi piroscafi a olio combustibile alle petroliere da un milione di tonnellate e al formicaio delle barche da diporto che infestano i mari. Oltre alla loro versione bellica: jeep e carri armati; caccia e bombardieri; sottomarini e portaerei. E siccome il petrolio sgorgava a fiotti e si prestava alle più diverse manipolazioni, il suo uso non si è fermato all´alimentazione dei motori: i materiali sintetici derivati dal petrolio, con una gamma infinita di impieghi e gadget usa e getta sono penetrati fin nei più intimi recessi del nostro corpo: gomma e fibre sintetiche, lubrificanti e bitumi per asfaltare le strade, cavi elettrici e tubi di scarico; e barche, e gommoni, e divani, e infissi, e giocattoli, e detersivi, e protesi, e chi più ne ha più ne metta. E insieme a loro, montagne di rifiuti, coltri di bitume spiaggiate dai naufragi delle petroliere, ingolfamento dell´atmosfera terrestre con il CO2 e dell´aria delle città con il PM10, e il benzene, e i policiclici aromatici, e gli ossidi di azoto. E per garantire che il petrolio continuasse a fluire a fiotti, si è spianata la strada ai più grandi macelli della storia umana: lo smembramento dell´impero ottomano per impadronirsi dei campi petroliferi del Medio Oriente (obiettivo non secondario della prima guerra mondiale); l´invasione dell´Unione Sovietica ad opera delle truppe hitleriane (la cui vera meta erano i pozzi petroliferi del Caspio); e, a seguire, il conflitto arabo-israeliano spalleggiato dalle allora contrapposte superpotenze, le guerre in Afganistan, in Cecenia, in Kwait, in Iraq non avevano e non hanno altro scopo che il controllo dei serbatoi mondiali del petrolio. Per chi ritiene che il modello di consumo dell´Occidente non sia "negoziabile" non esiste altra strada. Ma l´era del petrolio non ha forse i giorni contati? E che cosa ci si può aspettare in un mondo senza petrolio? Molto dipende da come si arriverà a quel punto: se in modo graduale e guidato, o in forma improvvisa e traumatica. Potremmo superare - o aver già superato, senza accorgercene - l´apice della curva di Hubber: quel punto al di là del quale l´estrazione del petrolio residuo si farà sempre più ardua e costosa. Oppure vedere governi e imprese, convertite improvvisamente all´ambientalismo, imporre limitazioni improvvisate e inefficaci all´utilizzo dei combustibili fossili, nel tardivo tentativo di contenere le devastazioni provocate dall´effetto serra: che anni fa aspettavamo come un graduale innalzamento del livello dei mari e un altrettanto graduale spostamento verso i poli dei climi tropicali e temperati, mentre ormai si manifesta con cataclismi metereologici imprevedibili. Ma potremmo anche trovarci di fronte a una diffusione incontenibile di Ogm, capaci di metabolizzare il petrolio e i suoi derivati; quelli che oggi si utilizzano in ambienti confinati per bonificare le aree inquinate (bioremediation) e che domani - liberati dall´incuria dei tecnologi o da nuove forme di terrorismo - potrebbero attraversare il mondo nutrendosi dei residui petroliferi che ricoprono la superficie dei mari, dei fiumi e delle strade, fino a incontrare - divorandoli - gli scafi in resina delle imbarcazioni, il rivestimento dei cavi elettrici, i tubi del sistema fognario, i polimeri dei nostri elettrodomestici, dei nostri computer, dei nostri telefoni, del nostro arredamento, dei nostri abiti: con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Tuttavia, la cosa più probabile è che la guerra "preventiva" e "infinita" contro un terrorismo che di essa si alimenta renda rapidamente impraticabili i campi petroliferi e costringa le economie che di petrolio si nutrono a farne improvvisamente a meno. Certo resta sempre - cioè per qualche secolo - il buon vecchio carbone, molto più inquinante, anche se più abbondante e più ubiquo; oppure il metano: ma non basta; e viene quasi tutto dai campi petroliferi; oppure il nucleare (con la prospettiva di trasformare il pianeta in un´unica grande Cernobyl); ma se il problema di oggi è il terrorismo - scorie e incuria tecnologica a parte - moltiplicare le centrali nucleari sarà come buttarsi in bocca al lupo; oppure le energie rinnovabili: ma l´idea di far marciare con l´idrogeno prodotto con il vento o con il sole una flotta di seicento milioni di veicoli (o di un miliardo e mezzo come dovrebbe essere, secondo le previsioni correnti, il parco macchine di qui a dieci anni) è un puro non senso. E´ molto più probabile che ci ritroveremo costretti a lasciare arrugginire la nostra auto là dove l´avremo posteggiata per l´ultima volta; a rinunciare per sempre ai viaggi aerei, accalcandoci come sardine su autobus sgangherati e treni sempre in ritardo per la scarsa cura che abbiamo loro dedicato negli anni delle vacche grasse; o a traversare gli oceani in nave come gli emigranti all´inizio del secolo scorso. E poi? E poi, magari, passeremo inverni al freddo, tutti riuniti nella stessa stanza come nel medioevo, per non esagerare con il consumo di carbone e non turbare ulteriormente un´atmosfera già satura; e giornate intere a rimestare nelle discariche per recuperare tutta quella plastica che con tanta leggerezza avevamo gettato nella pattumiera per anni. E magari si tornerà anche a rivestire i cavi elettrici con il lattice che oggi si usa quasi solo più per produrre diaframmi e profilattici; e a vestirci solo più di fibre naturali o al massimo di viscosa; e a costruire giocattoli e involucri di telefoni, computer e televisori con la bakelite - qualcuno sa ancora che cos´è? - o con la più italica galalite - una plastica ricavata dal latte; risolvendo così una volta per sempre il problema eminentemente padano delle quote latte - e a far giocare i bambini con bambole di gesso e pupazzi di stoffa. Naturalmente, niente di tutto questo potrebbe succedere - è solo un incubo. Ma nondimeno il petrolio potrebbe finire da un giorno all´altro. C´è qualcuno che sta veramente pensando al da farsi? Guido Viale SILLABARIO di JEAN BAUDRILLARD La temperatura, il prezzo della benzina, il corso del dollaro: triangolo d´oro della nostra estate. Dati incontrollabili che noi speriamo solo di veder salire indefinitamente. A volte le cifre si mescolano in una confusione profetica, così nell´estate del 1980 nei deserti americani il prezzo del gallone, 1.18, 1.20, 1.25, variava da un luogo all´altro riflettendo esattamente le curve della temperatura, 100, 110, 120 gradi Fahrenheit. E sempre tra le righe la questione della fiducia: fino a che punto accettereste di veder salire il prezzo della benzina? Fino a dove pensate che il dollaro possa salire (sottinteso: prima di provocare il crollo mondiale delle economie)? Che record può raggiungere il caldo (sottinteso: prima di provocare una volatilizzazione delle energie e l´inizio di un´insonnia mondiale)? Il nostro destino artificiale si iscrive in queste curve asintotiche. NEL NOME DEL GREGGIO E DELLE SUE ESIGENZE SI RISCRIVE LA MAPPA GEOPOLITICA ORA CHE CINA E INDIA RINCORRONO L´AMERICA futuro Ben oltre il mondo arabo, il petrolio avvelena ovunque i rapporti tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente, esso è la droga che uccide il pianeta Il mondo è cambiato poco da El Alamein e Stalingrado: le due battaglie decisive della seconda guerra mondiale, combattute per l´accesso strategico alle regioni più ricche di petrolio. La mappa geopolitica dei conflitti armati, delle guerre civili, dei terrorismi che insanguinano il pianeta coincide in larga misura con quella delle riserve energetiche. Ben oltre il mondo arabo, il petrolio avvelena ovunque i rapporti tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente. La nostra dipendenza non è veramente diminuita, il petrolio resta la droga che sta uccidendo il pianeta. Nel 1971 un celebre rapporto del Massachusetts Institute of Technology per il Club di Roma, intitolato I limiti dello sviluppo, profetizzò per la prima volta che la scarsità di petrolio avrebbe fermato la crescita economica. L´allarme fu tempestivo. Due anni dopo scoppiava la prima crisi energetica provocata dall´embargo Opec nella guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur. Ma in realtà "i limiti dello sviluppo" si sono dimostrati meno stringenti di quanto si poteva immaginare. Malgrado le gravi recessioni mondiali provocate dagli shock petroliferi, malgrado la spirale di violenza collegata con la lotta per il controllo dell´energia, il nostro modello di sviluppo non è cambiato molto. Continuiamo a vivere in un´economia mondiale fondata sul petrolio. La saggezza convenzionale degli economisti dice il contrario: il nostro modo di produzione oggi è meno energivoro che ai tempi delle "domeniche a piedi", nell´inverno del 1973-74. Per produrre una tonnellata di acciaio o un´automobile, la quantità di petrolio necessaria è diminuita sensibilmente. L´industria reagisce all´inflazione energetica adottando tecnologie più efficienti. Inoltre le economie dei paesi ricchi si sono rapidamente evolute verso il modello post-industriale, sono fondate sui servizi anziché sulla produzione materiale, quindi sono meno voraci di greggio. Ma questa descrizione è parziale e pecca di ottimismo. Non dà conto del fatto che gli Stati Uniti - pur essendo la società più opulenta, tecnologicamente avanzata e post-industriale del mondo contemporaneo - continuano ad avere anche il più alto consumo di petrolio pro-capite e vantano il primato nelle emissioni carboniche. Questo perché il caro-benzina non ha sempre quegli effetti virtuosi che ci si attende dalla legge del mercato. Anche oltre i 50 dollari il barile (un prezzo che comunque non ha ancora eguagliato i picchi degli anni ´80, se lo si depura dall´inflazione), i consumi non scendono sensibilmente. In mancanza di politiche pubbliche che spostino gli investimenti verso le fonti di energia rinnovabili, il petrolio rimane indispensabile per mantenere uno stile di vita a cui non siamo disposti a rinunciare. Paradossalmente, anzi, l´aumento delle quotazioni del greggio ha l´effetto di rendere redditizi gli investimenti delle compagnie petrolifere per l´esplorazione e l´estrazione dei giacimenti "marginali" finora trascurati, quelli dove il petrolio è più difficile da raggiungere e quindi più caro. Per produrre una tonnellata di acciaio, è vero, le nuove tecnologie consentono di consumare meno energia di trent´anni fa. Ma intanto l´aumento del benessere ha fatto entrare nello stile di vita dell´americano e dell´europeo medio il gigantesco fuoristrada, l´aria condizionata, il viaggio frequente in aereo. Inoltre è successo che la tonnellata di acciaio oggi la produciamo sempre meno noi; la importiamo da paesi come la Cina dove le tecnologie industriali sono più arretrate, energivore ed inquinanti. La Cina per certi versi è addirittura allo stadio pre-petrolifero: essendo ricca di carbone, finora ha bruciato in prevalenza questa materia prima nelle sue centrali elettriche, nelle sue fabbriche e per riscaldare le abitazioni. Ma il carbone è ancora più inquinante del petrolio. Per ridurre lo smog e modernizzarsi, la Cina durante un certo arco di tempo dovrà diventare ancora più dipendente dal petrolio (già oggi ha sorpassato il Giappone come secondo importatore mondiale). Senza contare che in gran parte dell´Asia il boom della motorizzazione di massa è appena iniziato. Si stima che la Cina passerà da 25 a 140 milioni di automobili in 15 anni. L´India segue un percorso di sviluppo simile. Le emissioni carboniche intanto provocano danni irreversibili: non solo il buco dell´ozono e il surriscaldamento climatico, ma prima di tutto l´intossicazione degli esseri umani che causerà un aumento esponenziale di malattie respiratorie. Prima ancora che con il cancro ai polmoni, il petrolio uccide alimentando la guerra e il terrorismo. Il caso di Osama Bin Laden e Al Qaeda, finanziati dai petrodollari sauditi, è solo l´ultimo in una lunga scia di tragedie che hanno il loro epicentro nel Golfo Persico, cioè la più grande concentrazione mondiale di riserve petrolifere: dove già si sono combattute nell´arco di vent´anni la guerra Iran-Iraq, l´invasione del Kuwait e l´operazione Desert Storm nel 90-91, l´attuale guerra irachena ma anche genocidi (Kurdistan), guerre civili, rivoluzioni fondamentaliste, stragi terroristiche. La mappa che lega petrolio, instabilità e violenza è ancora più ampia. Dal Caucaso alle repubbliche ex-sovietiche dell´Asia centrale, dalla Nigeria al Venezuela, pochi paesi si sottraggono alla regola: il petrolio corrompe le classi dirigenti locali, crea rendite che soffocano lo sviluppo anziché promuoverlo, fomenta l´odio di popoli frustrati, eccita gli appetiti dei paesi vicini e delle potenze straniere. In questa spirale di violenza finisce invariabilmente coinvolto l´Occidente, come cliente ricattabile e come protettore di regimi, come guardiano armato o come bersaglio. La sete di petrolio è uno dei caratteri della civiltà che abbiamo costruito, e una delle sue possibili cause di estinzione. Federico Rampini INTERVISTA A WILLIAM LANGEWISCHE SE IL MARE DIVENTA FUORILEGGE Con il suo ultimo libro "The Outlaw Sea: a world of freedom, chaos and crime" William Langewische ha puntato l´indice sui disastri ecologici causati dagli incidenti che hanno visto coinvolte imbarcazioni di paesi di ogni parte del mondo, ed in particolare dall´uso sconsiderato di un bene prezioso e pericoloso come il petrolio. La pubblicazione americana del libro ha posto lo scrittore al centro di un´infinità di polemiche, alle quali Langewische risposto con la raggelante ineluttabilità dei dati: «i continui incidenti causati da petroliere che non reggono all´infuriare di una tempesta o si arenano per insipienza del comandante e della ciurma hanno creato dei danni ambientali irrimediabili. Tuttavia ciò rappresenta una parte drammatica, ma in realtà minoritaria e concentrata del problema. Gran parte dell´inquinamento è causato tuttora dagli scarichi di carburante e residui che vengono effettuati continuamente e illegalmente in mare». Cosa intende? «Che il problema è l´irresponsabilità con cui viene gestito normalmente il trasporto. Nulla sul nostro pianeta è maggiormente ingovernabile del mare, e l´uomo di ogni cultura e parte del mondo ha studiato come aggirare ed ignorare le leggi che si illudono di regolamentarne la fruizione». Le sue ricerche hanno verificato che soltanto il due per cento dei container delle navi sono regolarmente ispezionati. «Negli anni Novanta un grande sforzo congiunto dei maggiori paesi marinari riuscì ad alzare la percentuale al tre per cento. È facilmente comprensibile che si tratta di un controllo assolutamente illusorio, ed in questo caso non si può neanche indicare un immediato colpevole: il controllo accurato di un container è estremamente complicato e dispendioso. L´obbligo di ispezioni accurate e complete paralizzerebbe il mercato, ma nello stesso tempo lo statu quo lascia immutati i pericoli, a cui vanno aggiunti i rischi recenti di terrorismo: provi ad immaginare una nave cargo che arriva nel porto di una grande città con delle armi di distruzione di massa nascoste in un container». Perché ancora si trasporta il petrolio per mare? «Perché gli oleodotti sono estremamente vulnerabili, e soggetti più facilmente a controlli di tipo geopolitico». In contrapposizione alla forza ambigua del petrolio, lei identifica nel mare una frontiera connotata da una essenza libera e selvaggia. «È l´ultima frontiera del pianeta, nella quale non a caso, insieme ai disastri ambientali avvengono circa 300 atti di pirateria ogni anno. Negli oceani viene scaricato e disperso il petrolio estratto dalla terra, e nello stesso tempo trionfa incontrastato l´idea di mancanza di controllo e di stato, che porta a situazioni paradossali: la più grande nazione marinara è Panama, seguita dalla Liberia». Antonio Monda I PREZZI CHE SALGONO E L´INSTABILITÀ GEOPOLITICA IL MONDO INVASO DALL´ORO NERO Al Qaeda ha dichiarato la guerra del petrolio. Prendendo di mira le infrastrutture dell´oro nero, essa pone una lama mortale sulla carotide dell´Occidente. Svanisce l´aurea certezza del petrolio a buon mercato. Mai più niente sarà come prima per gli Stati Uniti e i loro alleati, posti di fronte alla presa in ostaggio della banca centrale dell´oro nero mondiale da parte del peggiore dei nemici: la guerriglia islamico-terroristica adulata dalle popolazioni arabe. Con i suoi 262 miliardi di barili di riserve, l´Arabia è la cassaforte del petrolio. Il prezzo lo fissa lei. Chi detiene una simile quantità di riserve dispone dell´arma assoluta. E oggi la mano sul rubinetto è quella di Osama bin Laden. Durante tutto questo periodo il prezzo del barile non ha fatto che aumentare. Sconvolti dall´incertezza geopolitica e dall´irruzione della minaccia terroristica sui campi petroliferi dell´Arabia, gli operatori hanno perso la testa. Non essendo affatto pazzi, gli speculatori si sono subito impadroniti del mercato, come ogni volta che il rischio legato al controllo e alla circolazione di una merce mette in crisi le vecchie certezze. Scommettendo su una lunga crisi e sull´eventualità di una nuovo shock petrolifero, hanno alimentato artificiosamente la tensione, come se non bastasse l´oggettività dei fatti (l´approvvigionamento in pericolo). Anche l´aumento del prezzo del greggio si traduce in un salasso per il portafogli del cittadino americano. A due dollari il gallone, negli Stati Uniti il prezzo della benzina è diventato un argomento di campagna elettorale, e il candidato democratico John Kerry accusa il presidente Bush di aver messo in pericolo la sicurezza energetica del paese con l´attacco all´Iraq. Le vendite dei fuoristrada sono già in calo. I titani dell´asfalto sono in declino. Si ricomincia a parlare di auto a idrogeno e, intanto, si vendono benissimo le macchine giapponesi a propulsione ibrida (benzina-elettricità): in Europa si devono aspettare quindici mesi per entrare in possesso di una Toyota Prius. Un po´ dappertutto, la lobby nucleare rialza la testa, quando non sono le energie rinnovabili del vento e del sole a guadagnare consensi. L´orizzonte petrolifero, invece, si incupisce, e non solo perché il prezzo al distributore è in ascesa. Liquido diabolico, l´oro nero fa impazzire i futurologhi, che hanno ripreso servizio per annunciare l´apocalisse energetica. Così, in questi ultimi tempi, le pagine dei giornali si sono infittite di commenti sulla «fine del petrolio nel 2010», la penuria incombente e la guerra all´orizzonte. Perché la guerra è tutto ciò che resta ai potenti quando l´angoscia della carenza li tormenta. Così va il pianeta petrolio, una sorta di vulcano in cui ribolle un magma politico imprevedibile. Il prezzo del barile rende di nuovo possibili i progetti più onerosi e assurdi. In Texas, intorno a Midland, sta decollando una nuova generazione di trivellatori "microindipendenti". Che vuol risuscitare vecchi pozzi spariti, abbandonati da mezzo secolo. In Canada sfruttano già le sabbie bituminose dell´Alberta. Di che cosa si tratta? Di vaste zone (estese quanto l´Italia) ricoperte di scure sabbie catramate. "Distillandole" più volte, e dopo trasformazioni chimiche miracolose, si ottiene un greggio di buona qualità, anche se un po´ troppo denso per scorrere in una pipeline... D´altronde, nel golfo del Messico si scava sempre più in profondità nelle viscere della terra nella speranza di estrarne qualche goccia di sangue nero. Una fuga in avanti? Senza alcun dubbio. Ma al ritmo con cui i cinesi si drogano di idrocarburi, bisogna fare alla svelta: alla fine del 2004 avranno inghiottito quanto si immaginava avrebbero consumato nel 2010. E basta dare un´occhiata alle strade di Shanghai o Shenyang per convincersene. Alle centinaia di milioni di individui che costituiscono la nuova classe media cinese manca solo una cosa per somigliare in tutto e per tutto alla classe media occidentale: un´automobile, se possibile di grossa cilindrata. Ma il problema è che la Cina non produce abbastanza petrolio per abbeverare centinaia di milioni di veicoli e la sua ingorda industria. Consapevoli della situazione, i signori di Pechino hanno lavorato a lungo per mettere a punto una nuova strategia imperniata, anch´essa, sulla «sicurezza energetica». Così, mentre un tempo curavano con particolare attenzione i rapporti con Vietnam e Corea, oggi i diplomatici cinesi fanno la corte al Venezuela, al Gabon e al Kazakistan. Paesi che non hanno alcun legame con l´Impero di Mezzo. Eccetto uno: dispongono tutti di petrolio nel sottosuolo. Ma non ce ne sarà per tutti. Serge Enderlin Serge Michel Il testo del Sillabario di Jean Baudrillard è tratto da Cool memories. Diari 1980-1990 (Sugarco Edizioni 1991). Serge Enderlin e Serge Michel sono autori del volume Pianeta Petrolio. Sulle rotte dell´oro nero, in uscita dal Saggiatore, da cui è tratto il testo che pubblichiamo. William Langewische ha pubblicato di recente The Outlaw sea. Guido Viale, economista e sociologo, si occupa da tempo di questioni ambientali.