Sidney, salto in alto grazie all'olimpiade
Capitalizzati al meglio i lavori per i Giochi del 2000
18 November, 2003
di Novella Calligaris SYDNEY Sono passati tre anni da quando il mondo si diede appuntamento a Sydney per le Olimpiadi, eppure nell’aria c’è sempre odore di sport e di festa. Nella città della famosa “Opera House” in questi giorni si svolgono le fasi finali della World Cup di rugby e ancora una volta tutte le strade sono inghirlandate dalle bandiere dei vari paesi partecipanti e colorate dai tifosi che indossano le magliette del proprio team. Ma non è solo questo. È che qui la festa non finisce mai, lo sport è sempre in scena e gli stadi non sono cattedrali nel deserto ma impianti a disposizione della gente. Lo sport è nel Dna di questa giovane nazione popolata da centinaia di etnie diverse. E le diversità di razza, di colore, di religione sono la normalità integrata, in barba anche al governo e alla sua politica contro l’immigrazione. Qui sono arrivati tutti dall’estero, da paesi poveri e ricchi, e sono proprio gli immigrati ad aver dato impulso alla crescita di questo paese. Olimpiadi incluse. Tutti hanno conservato l’orgoglio delle proprie origini, pur sapendo che presente e futuro sono saldamente legati al paese dove vivono. I quartieri e i distretti della grande Sydney sono un mix tra una San Francisco senza nebbia, una Parigi con il mare, una Londra con il sole, una Italia ordinata e pulita ed una Pechino senza inquinamento. L’Australia ha lavorato molto per preparare i Giochi del 2000 perché, al di là del grande evento, era consapevole che i riflettori di tutto il mondo si sarebbero concentrati su di lei e un solo intoppo organizzativo avrebbe mandato in fumo quanto di buono fatto. Sydney ha superato la prova olimpica a pieni voti tanto che quella del 2000 è ricordata, se non come la più bella, di certo come una delle migliori edizioni dei giochi moderni. E l’Australia è riuscita a superare anche il dopo Giochi riadattando gli impianti alle esigenze reali dei suoi abitanti, recuperando le aree depresse e valorizzando anche l’entroterra. Si pensi ad esempio al Parco Olimpico che nel 2000 ha ospitato ben quindici discipline; solo pochi anni fa era una zona paludosa e sede di discariche. “Homebush”, appunto, è diventato oggi un quartiere residenziale con tutte le infrastrutture più moderne, come ad esempio la metropolitana che permette di raggiungere il centro della città e la baia in meno di venti minuti. La scelta di costruire il villaggio che ha ospitato gli atleti di tutto il mondo non con palazzoni ma con villette a due piani riproducendo i paesi dell’Outback (il deserto australiano) si è rivelata vincente, così come la vendita di tutte le unità a prezzi ridotti per le giovani coppie ancora prima dell’inizio dei Giochi. A Darling Harbour, altro grande sito di gare, il palazzo dello sport che ha ospitato anche scherma e volley è stato convertito in centro congressi. Tutto attorno negozi e ristoranti, aperti anche la domenica e i giorni festivi fino a tarda sera, fanno di questa area un punto di ritrovo e di incontri. Il sistema dei trasporti, ottimo a prescindere dai Giochi, è stato potenziato con una rete modello di collegamento tra i vari quartieri e comuni della grande Sydney, dove si integrano metropolitana, tram, monorotaia e trasporto via mare. Senza usare mai la macchina si può passare da Bondi Beach , la spiaggia resa famosa dai surfisti, allo stadio Olimpico ad Homebush oppure da Manly, una delle località turistiche più rinomate, a The Rocks la parte più antica della città. Il fiume Paramatta è un’altra risorsa riscoperta nel 2000 come alternativa di collegamento tra l’area metropolitana e i sobborghi, intensificando il trasporto fluviale anche con traghetti passeggeri. È indubbio che i Giochi abbiano offerto a Sydney, ma anche a tutta l’Australia, una grande opportunità di riscatto dal classico complesso di inferiorità che questo paese vive per la sua lontananza da quell’Occidente di cui si sente parte integrante. Gli “Aussie” hanno dimostrato non solo di saper fare e di saper conservare, ma anche di poter offrire un prodotto turistico unico per bellezza naturale che, come ricorda l’inno nazionale, è risorsa fondamentale di questo paese. L’euforia di essere usciti dall’isolamento è stata tale da far produrre cartine geografiche con il mondo rovesciato dove L’Australia fa parte del nord e non del profondo sud. Sono passati i tempi dei “Men at Work” il gruppo rock diventato famoso per la canzone che celebrava “Land down over” (Il paese di sotto) con quel senso di inferiorità. Oggi gli australiani hanno l’orgoglio di appartenere all’altro mondo, quello giovane, quello dove è ancora possibile attuare una politica ambientale vera, quella dove l’aria è pulita ovunque, in città come nelle periferie. Dove i valori dello sport e della correttezza hanno ancora valore. Qui sono tutti pazzi per lo sport perché è il loro biglietto da visita, certo, ma Sydney è anche una delle città al mondo dove l’attività culturale è più dinamica, dove trovano spazio tradizione e novità. La cura olimpica è stato un tocca sana e un esempio da seguire. Tutti prima del 2000 avevano negli occhi il disastro organizzativo e finanziario di Atlanta, temendo un altro fallimento. Ed invece è stato un successo che ha ridato credibilità al grande carrozzone olimpico e a Sydney la dimensione di città internazionale. Nello stato del Nuovo Galles del Sud i cittadini hanno pagato e ancora stanno pagando la tassa olimpica, ma non si lamentano perché consci dei benifici che hanno acquisito. Ora tra meno di un anno andrà in scena Atene, con una eredità pesante sulle spalle. Il vecchio continente, la culla della civiltà saprà non sfigurare rispetto a questo paese in fondo al mondo? Vedremo.