Italia, la qualità contro il declino
Il rapporto annuale di Legambiente, Ambiente Italia 2005: l'economia è ferma ma crescono gas serra, consumi energetici. Pubblichiamo l'introduzione del Rapporto
15 April, 2005
<b>Ambiente versus declino. Qualità ambientale come antidoto alla perdita di dinamismo socio-economico</b>. E’ tutto centrato su questa antinomia Ambiente Italia 2005 di Legambiente, l’annuale rapporto sullo stato di salute del Paese curato dall’Istituto di ricerche Ambiente Italia e pubblicato da Edizioni Ambiente. Come è prassi sono i numeri a innescare i ragionamenti. Il lungo periodo di stagnazione economica ha perniciosamente paralizzato l’Italia ma non ha ridotto – come ci si poteva attendere – la pressione sull’ambiente. C’è una eccezionale crescita dei consumi energetici (+2,6% da un anno all’altro con il carbone che in 10 anni ha fatto un balzo in avanti del 25%) a tassi largamente superiori a quelli del Pil. C’è una eccezionale crescita della mobilità su gomma del +43% nell’ultimo decennio che, nonostante il miglioramento dell’efficienza del parco auto, ha determinato un maggior impiego di combustibili (+6% tra 2000 e 2003). C’è una crescita costante (+6% a partire dal 1990) dell’urbanizzazione del territorio: cinque chilometri quadrati su 100 sono oggi completamente artificiali con un picco lombardo del 10%.
Una discrescita che non serve – come gli italiani hanno avuto modo di verificare – alla ripresa, ma che anzi ripropone le distorsioni di una economia vecchia (il carbone ottocentesco, i combustibili fossili, l’assenza di efficienza energetica, la mobilità quasi monomodale, il 61% delle ferrovie ancora a binario unico), incapace di cambiare pelle, di innovarsi, di diventare competitiva nello scenario globale. La medaglia però mostra anche la sua altra faccia. Dove si è puntato sulla coppia innovazione-ambiente i risultati sono arrivati. Lo sviluppo della <b>raccolta differenziata</b> e della capacità di trattamento tecnologica dei rifiuti ha fatto decrescere (dal 67% del 2000 al 44% del 2003) la quantità di spazzatura abbandonata in discarica, generando (anche se quasi esclusivamente al nord) un sistema più razionale, più efficiente economicamente, con un maggior tasso di occupazione. Il <b>fenomeno dell’agriturismo</b> è andato acquisendo rilevanza sempre maggiore sia per il settore agricolo che per quello turistico: oggi è forte di 12.600 aziende, il 10% in più rispetto al 2002. L’Italia è il Paese europeo a più alta concentrazione di prodotti tipici con 145 Dop e Igp pari al 21% dei riconoscimenti comunitari e anche il luogo dove, da soli, Colosseo, Pompei e Uffizi attirano circa sette milioni di turisti l’anno.
Tutto questo, e molto di più, dice Ambiente Italia 2005. La sedicesima edizione del Rapporto di Legambiente (244 pagine, 19,80 euro, già disponibile in libreria) è stata presentata oggi a Roma in una conferenza stampa cui hanno partecipato Roberto Della Seta (presidente nazionale di Legambiente), Ermete Realacci (presidente onorario), Maria Berrini (presidente di Ambiente Italia), Edoardo Zanchini che ha curato il rapporto insieme a Duccio Bianchi. Precede il consueto set di 100 indicatori, la parte monografica dedicata quest’anno ad approfondire il peso che può e deve giocare l’ambiente nelle strategie contro il declino. Una riflessione realizzata con il contributo di molti autorevoli interlocutori: Anna Maria Artoni, Fabrizio Barca, Guglielmo Epifani, Roberto Formigoni, Luciano Gallino, Emilio Gerelli, Gianmaria Gros Pietro, Alberto Majocchi, Claudio Martini, Giovanni Valentini, Gianfranco Viesti. In più Ambiente Italia 2005 non produce impatto sul clima: le emissioni di gas serra, grazie al progetto Azzero CO2, saranno infatti neutralizzate finanziando progetti internazionali legati alle fonti energetiche rinnovabili.
Tornando alle parole chiave – ambiente/declino – e tornando ai numeri: <b>l’urbanizzazione del territorio</b> – fenomeno irreversibile e di quelli a maggiore impatto – è proseguita nel corso degli anni ’90. Nel 2000, secondo i satelliti del progetto europeo Corine Land Cover, le superfici artificializzate erano pari al 4,7% del territorio nazionale (1,43 milioni di ettari).
Nel corso degli anni ’90 vi è stata una ulteriore crescita del 6%, concentrata soprattutto in aree industriali, grandi vie di trasporto (+11%), cave e discariche (+10% sul 1990). I picchi sono in <b>Lombardia (10,4% di territorio costruito) e in Veneto (7,7%)</b>. Le aree con la maggiore crescita negli anni ‘90 sono <b>Sardegna (+21%)</b>, Friuli e Calabria. Nel 2003 si è interrotto anche quel forte processo di riduzione dell’abusivismo che aveva portato l’illegalità dal 29,5% del 1994 (ultimo condono del primo governo Berlusconi) all’11,9% del 2002. In valore assoluto le costruzioni abusive sono risalite a 40mila unità pari a circa 5,5 milioni di mq e al 15,9% del totale delle costruzioni.
Nel 2003, complice anche un anomalo andamento climatico, i consumi energetici sono eccezionalmente cresciuti del 2,6% (del 2,9% quelli elettrici) a un tasso largamente superiore alla crescita del Pil e concentrato principalmente nel settore civile e nei trasporti. <b>Complessivamente nell’ultimo decennio i consumi energetici sono cresciuti del 15%</b>, leggermente meno della crescita economica nello stesso periodo (18%). L’Italia ha anzi perso uno dei suoi pochi primati di efficienza, quello dell’intensità energetica: in oltre 10 anni dal 1991 al 2002 i consumi di energia per unità di Pil sono scesi nel nostro Paese di appena il 6%, nell’Ue a 15 sono calati del doppio. Il segno “più” nel grafico dei consumi viene soprattutto dalla crescita di combustibili fossili: il carbone sale (+6%) rispetto al 2002 e addirittura del 25% sul 1993, al punto che il suo apporto ai consumi energetici nazionali supera ormai quello delle fonti rinnovabili, rimaste stabili. Le fonti propriamente rinnovabili pesavano nel 2003 per il 4,5% dei consumi totali, -0,2% sull’anno precedente. La conseguenza di queste politiche energetiche si è tradotta in maggiori emissioni di gas serra che nel 2002 sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto al 2001 (in lieve aumento al lordo dei cambiamenti dell’uso del suolo), ma che sono in forte crescita nel 2003. Confrontate con il 1990 – anno di riferimento per l’obiettivo di riduzione del 6,5% entro il 2010 assegnatoci dal Protocollo di Kyoto – la crescita (come emissioni nette) raggiunge il 9,9%, soprattutto a causa dell’aumento dei consumi per trasporti (+23,9% sul 1990) e della stessa produzione energetica (+12,4%). L’andamento dell’Italia è opposto a quello degli altri grandi paesi europei – Germania, Gran Bretagna, Francia – che riducono o stabilizzano le loro emissioni avvicinando o addirittura superando gli obiettivi di Kyoto.
Nel corso di questo decennio si è consolidato il dominio del trasporto su gomma (+43% pari al 77% del totale) mentre stazionarie sono mobilità su rotaia (-5% sul 2001, +12% sul 1993) e cabotaggio (+7% sul 2001, +2% sul 1993). Tra i grandi paesi europei l’Italia è quello che presenta il massimo squilibrio a favore del trasporto su gomma e a più elevata quantità procapite di mobilità motorizzata: 15.200 km/ab annui, +22% sulla media europea, +44% rispetto alla Germania.
I livelli di gestione ambientale del territorio e delle risorse hanno per contro conosciuto un indubbio miglioramento. Anche nell’ultimo anno monitorato, soprattutto a livello locale, sono aumentate le iniziative dirette a migliorare la capacità di controllo e di contenimento delle pressioni ambientali. L’ulteriore miglioramento della raccolta differenziata, la diffusione delle piste ciclabili e l’aumento delle irole pedonali, l’introduzione di politiche di “consumo sostenibile” sono tutti segni positivi. Restano però modesti e discontinui. La raccolta differenziata è al 21,5% (in progresso, ma lontana dall’obbiettivo del 35% che si doveva raggiungere nel 2003) ed è comunque un fenomeno positivo di alcune regioni del Centro Nord, con i casi di successo di Lombardia e Veneto che sono già al 40%. Anche nelle eccellenze segniamo il passo. L’Italia resta il più grande produttore di agricoltura biologica europeo, ma da due anni il settore è in stallo, non cresce più (-0,1% nel 2002, +3% sul 2001) lontano da quell’impennata vorticosa del 44% nel 2000.
Il sistema nazionale della natura protetta, con 777 aree, interessa il 10% del territorio e coinvolge il 22% dei comuni, gran parte dei quali al di sotto dei 5mila abitanti. Negli ultimissimi anni però l’espansione dei parchi è rallentata. La superficie boschiva nel periodo 1985-2003 è aumentata di un ottimo 21,3%. E numeri interamente positivi sono quelli legati alla diffusione della certificazione ambientale. Il tasso di crescita della Iso 14001 è sempre positivo (+48% nel 2004), il gap dell’Italia in questo campo rispetto ai partner europei è completamente colmato. In Italia si può infine parlare di vero e proprio boom nella vendita di prodotti del commercio equo e solidale: il fatturato complessivo delle sei principali centrali d’importazione è più che triplicato negli ultimi tre anni e la quantità venduta è quadruplicata tra 2002 e 2003.
Nella premessa Ambiente Italia 2005 di Legambiente sottolinea come per qualcuno la parola declino sia tabù. In realtà il declino del nostro Paese – come perdita di dinamismo socio-economico e di capacità di innovazione – è una realtà difficile da contestare. Basta citare, un dato tra tanti, la classifica della competitività stilata dal Forum di Davos: in un solo anno tra il 2003 e il 2004, abbiamo perduto otto posizioni scivolando al cinquantunesimo posto. Anche l’ambiente paga un prezzo a questa condizione di disagio, visto che senza un forte investimento in innovazione si allontana anche la prospettiva di “riconvertire” ecologicamente produzione e consumi. Di assoluta evidenza il caso-energia. Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore il protocollo di Kyoto e il nostro Paese è in drammatico ritardo rispetto all’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Ma mentre continuano a mancare atti politici conseguenti sulle due vie maestre del miglioramento dell’efficienza energetica e dello sviluppo delle nuove fonti rinnovabili a partire dal solare e dall’eolico, c’è ancora chi non vede il vantaggio – anche competitivo – che l’economia italiana ricaverebbe dal fatto di ridurre la propria dipendenza energetica e magari ripropone ricette vecchie come il carbone (energia dell’800) o il nucleare. “L’ambiente è vittima del declino – sottolinea Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente – ma l’ambiente è anche parte integrante e decisiva delle strategie più efficaci per contrastarlo. Come? Con l’impegno contro l’illegalità diffusa e la criminalità organizzata che dall’abusivismo edilizio alle ecomafie devastano il territorio e che in particolare nel Sud sono tra i principali disincentivi allo sviluppo economico; con la necessità di promuovere molto di più l’educazione, la formazione, la ricerca, risorse immateriali e dunque squisitamente ecologiche nonché principali fattori competitivi per economie mature come la nostra; sta dentro l’esigenza di spingere, valorizzare quel sistema di capitalismo territoriale che è il primo prodotto tipico italiano e che deve la sua forza a un antico e mai rinnegato radicamento delle risorse locali sia materiali (paesaggio, beni culturali, agricoltura di qualità, turismo) sia immateriali (saperi, intelligenze, legami sociali). Una riflessione che è parte del Dna di Legambiente, grazie soprattutto all’intuizione di Ermete Realacci che tra i primi in Italia ha posto l’esigenza di guardare all’ambiente, all’intreccio inimitabile e non delocalizzabile tra risorse naturali, patrimonio culturale, coesione sociale, saperi e tradizioni locali, come a un irrinunciabile fattore di sviluppo e di competitività e come, anche, alla fonte principale della nostra identità nazionale, di una nuova stagione di patriottismo dolce”.
Materializza questa riflessione la campagna Piccola Grande Italia di Legambiente, iniziativa di successo per la salvaguardia e la valorizzazione dei piccoli comuni che l’8 maggio, con Voler bene all’Italia, celebra la sua seconda giornata nazionale di festa in centinaia e centinaia di borghi di tutta la penisola. O la materializza ancora l’esempio, scelto tra i tanti possibili, della Val d’Orcia che – forte di una buona qualità territoriale, ambientale e sociale – anche senza infrastrutture stradali ha visto crescere il proprio valore aggiunto (tra il 1996 e il 2001) del 28%, ben più del 15% della media della Toscana e dell’11% dell’Italia. La Val d’Orcia cioè è cresciuta ad un tasso più che doppio dell’Italia, mentre gli occupati sono aumentati del 21% rispetto a una media nazionale del 6%.
“L’Italia è a un bivio – afferma Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente – Da una parte la qualità, l’innovazione, la modernizzazione, la competitività. Dall’altra l’attuale economia, il declino, la stagnazione che soffoca nel Paese la gioia e il gusto della sfida. Per combattere le paure degli italiani, né poche né infondate, bisogna definire e presentare un disegno che sappia evocare le energie oggi latenti, mobilitare i talenti che non trovano la forza di emergere, le intelligenze e la creatività che portano gli italiani a occupare le poltrone della city di Londra, le cattedre delle università americane o i laboratori dei più importanti centri di ricerca mondiali. L’Italia deve puntare da una parte sulle risorse più tipiche di tutti i Paesi industrializzati – scommettere cioè sui saperi, sulla ricerca, sulla conoscenza, sull’innovazione – e insieme deve valorizzare pienamente ciò che ci rende un Paese unico al mondo. Questo made in Italy che si declina in forme diverse nei vari territori e che spesso il presidente Ciampi ci invita, a ragione, a considerare la base del nostro futuro è la materia prima per costruire una modernità a misura d’uomo, il punto di partenza irrinunciabile per ridare competitività alla nostra economia e avviare un nuovo ciclo di sviluppo. L’Italia deve ritrovare l’orgoglio, deve tornare a credere in se stessa e nel proprio futuro. Deve tornare a fare l’Italia”.