Pianeta Terra, malato d’incuria
da l'Unità del 06.09.2005
06 September, 2005
Se vogliamo riuscire a bloccare il degrado dell’ambiente in cui viviamo, dobbiamo ricorrere, come ci chiedono gli attori sociali, istituzionali ed economici più consapevoli, su scala internazionale, al «principio di precauzione». Questa acquisizione di fondo è oggi bersaglio di una sistematica «ecodisinformazione», che mobilita ingenti risorse economiche e mediatiche, generata dal rifiuto delle riforme strutturali che il cambiamento climatico in atto richiede, a partire dalle politiche energetiche per arrivare ai modi di produzione e agli stili di vita e di consumo.
La resistenza al cambiamento è da sempre attitudine tipica di chi detiene il controllo delle leve del potere economico e politico e vuole conservare lo stato di cose presenti, ma i tentativi posti in campo per negare il riscaldamento globale del pianeta ed i suoi effetti raggiungono vette di parossismo scandalose .
Grazie al Government Accountability Project, che negli Stati Uniti offre supporto ai «whistler-blowers» (soffiatori di fischietto), cioè a chi esce allo scoperto denunciando scorrettezze nella gestione del bene pubblico nell’interesse generale , Greenpeace ha reso di pubblico dominio il fatto che il Capo di Gabinetto del Comitato del Presidente Bush per la Qualità dell’Ambiente, tale Philip Cooney, già lobbista per conto delle compagnie petrolifere, avesse sistematicamente manomesso e censurato i rapporti scientifici sul cambiamento climatico globale diretti a Bush stesso.
Già lo scorso anno il britannico Observer, denunciava come la Casa Bianca avesse occultato un rapporto del Pentagono che indicava negli effetti di tale cambiamento climatico, soprattutto in termini di ridistribuzione delle risorse idriche, una causa tendenziale di conflittualità internazionale superiore al terrorismo.
Ancora, sempre lo scorso anno, alcuni premi Nobel statunitensi avevano messo in risalto come l’amministrazione Bush fosse solita «correggere» i dati dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana, soprattutto per quel che riguarda l’impatto dell’industria chimica: al riguardo, ci toccò persino di vedere, la «colomba» Colin Powell, allora Segretario di Stato di Bush, impegnarsi in ripetute missioni per divulgare la contrarietà del suo governo rispetto alla direttiva Reach dell’Unione Europea, che finalmente sfidava la chimica ad innovare misurandosi con i temi della qualità ambientale dei propri processi produttivi e dei propri prodotti.
La vicenda Cooney, però, supera ogni possibile immaginazione: la superpotenza «trucca le carte», irride al bisogno di qualità ambientale, antepone gli interessi economici che hanno portato Bush al potere ad ogni considerazione etica, seppur minima. Sono quegli interessi che investono sulla «fiction alla Crichton» per convincerci che il cambiamento climatico da essi stessi in gran parte causato non esiste, è invenzione di qualche sparuto gruppo di ecologisti paranoici. I paranoici sono loro ed i loro servi, accademici e letterari (e comunque «a libro paga»): si deve dire basta, esprimendo in ogni modo il rigetto per questo scandaloso ricorso alla menzogna.
Il rifiuto di Bush a sottoscrivere il protocollo di Kyoto, nonostante la tragica evidenza del cambiamento in atto come dimostra anche l’uragano Katrina, apre la strada a macchinose elucubrazioni circa il confinamento dell’anidride carbonica a grandi profondità nei mari o nel sottosuolo come unica strategia di mitigazione del cambiamento climatico.
Abbagliate dalla sete di profitto, le compagnie petrolifere, che molto controllano anche delle risorse di uranio e carbone, negano quel cambiamento e al contempo vedono nel nucleare l’unica via per mitigare proprio quel cambiamento, nonostante la diseconomia associata al nucleare, gli irrisolti nodi strutturali della tecnologia, primo fra tutti il destino delle scorie (Scanzano docet) e confidando nella labilità della memoria collettiva degli incidenti di Three Mile Island e Chernobyl.
Perde slancio la prospettiva di un ricorso all’idrogeno, sfida per una nuova, grande rivoluzione industriale capace di innovare in modo potente modi di produrre e consumare, sistemi logistici, modelli insediativi.
Una politica realmente orientata alla sostenibilità oggi non può che prevedere un ruolo importante del gas naturale come fonte fossile di transizione ad un modello che veda al centro l’efficienza negli usi dell’energia e la contemporanea diffusione del ricorso all’energia eolica (alla luce di corrette progettazioni rispettose dell’ambiente e del paesaggio), già oggi commercialmente paragonabile alla tradizionale termoelettrica, a quella da biomasse, alla solare termica ed alla fotovoltaica, ad oggi l’unica ancora bisognosa di incentivi. È perciò decisivo, e a questo Greenpeace vuole dedicare ogni sforzo (e il volume da oggi allegato all’Unità ne è un esempio), diffondere un’informazione indipendente sui problemi e sulle possibili soluzioni, generalizzando il ricorso al «principio di precauzione», in logica di trasparenza e di tutela, nell’interesse di tutti, di un ambiente sano.
*Presidente Greenpeace Italia
CATASTROFI come quella provocata dall’uragano Katrina negli Usa sono frutto della mancanza di nuove politiche globali per l’ambiente. Da tempo sollecitate, tra gli altri, dall’associazione Greenpeace