Fotovoltaico: l'Europa introduce dazi sui pannelli cinesi. Comitato IFI: «Non basta»
Il Comitato IFI non è del tutto soddisfatto dei dazi anti-dumping introdotti dall'Unione europea su moduli e altri componenti fotovoltaici di fabbricazione cinese. Secondo l'associazione, l'entità delle misure decise dall'Ue non è sufficiente a compensare la concorrenza sleale perpetrata dalla Cina
05 June, 2013
L'Unione europea ha varato dei dazi anti-dumping a protezione di moduli e altri componenti per il fotovoltaico dalla concorrenza sleale dei produttori cinesi. Si tratta, per il momento di una misura provvisoria con due scadenze temporali diverse: una tassa dell'11,8% in vigore fino al prossimo 6 agosto, e altri dazi del 47% o del 67% per i successivi 4 mesi. Il provvedimento, appena pubblicato sulla Gazzetta dell'Ue, è stato introdotto al termine di una investigazione condotta dalla Commissione per valutare se, nel periodo 2011 e fino a giugno 2012, i produttori e gli importatori di moduli made in Cina avessero posto in essere pratiche illegali di dumping nelle vendite dei loro prodotti in Europa.
L'inchiesta ha rivelato l'effettiva esistenza di pratiche di concorrenza sleale, alle quali l'Unione ha deciso di reagire con i dazi protettivi. Una scelta accolta con soddisfazione «parziale» dal Comitato IFI (Industrie fotovoltaiche italiane), l'associazione che riunisce oltre l’80% dei produttori nazionali di celle e moduli fotovoltaici. A lasciare perplesso il Comitato, in particolare, è la moderazione delle misure varate dalla Commissione europea, ben lontane, secondo Ifi, dal margine medio di dumping accertato dall’indagine, pari all’88%.
«Non credo ci sia un caso nella storia delle precedenti investigazioni condotte dalla Commissione che presenti modalità analoghe di progressività nell’imposizioni di dazi – dichiara Alessandro Cremonesi, presidente dell'associazione - È altresì sintomatico come, dopo la mano tesa offerta la settimana scorsa dalla Germania alla Cina nel dirimere la disputa sui dazi, metà degli Stati Membri abbiano invertito espressione di voto, a suo favore». Secondo il Comitato Ifi, in particolare, la prima “ripresa” dei dazi (quella all'11,8%) non produrrà alcun effetto benefico sulla manifattura europea e nazionale, anzi potrebbe portare a massive importazioni di prodotto dalla Cina. «La seconda (47% o 67%), ben al di sotto del margine di dumping medio rilevato dalla Commissione pari all’88% - aggiunge Cremonesi - è altresì poco rispettosa del disastro industriale che il dumping cinese ha generato in Europa negli ultimi tre anni».
La necessità di misure più drastiche, secondo l'associazione, si deve al fatto che, oltre alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro nella manifattura fotovoltaica, il perdurare del dumping ha prodotto «un’oggettiva impossibilità per le nostre imprese di poter investire, crescere e potenziarsi». In ultimo, il Comitato IFI sottolinea la «coerenza di condotta tenuta da alcuni Stati Membri, tra i quali l’Italia, nell’aver promosso fin dall’inizio l’indagine, fino a sostenerne i provvedimenti punitivi generati dall’evidenza dei fatti.Coerenza che non ha trovato egual riscontro in altri numerosi Stati Membri, tra cui la Germania, i quali, a ridosso della decisione della Commissione, hanno invertito atteggiamento e modificato l’espressione di voto circa la punizione delle accertate pratiche illegali, spinti solamente dalla promessa di accordi commerciali bilaterali vantaggiosi e/o da minacce di ritorsione commerciale avanzate dall’alta diplomazia Cinese nelle ultime settimane.