Orti urbani e smog: i pomodori di città sono sani?
Sempre più cittadini si appassionano all’agricoltura urbana: coltivare la città è un modo intelligente per condividere spazi, aumentare la quota di verde, e la qualità della vita. Ma i prodotti degli orti urbani ci fanno bene o lo smog li avvelena? Gli studi in circolazione e il parere di Fabio Dovana (Legambiente Piemonte)
20 June, 2013
Guerrilla gardening, giardini verticali, orti in città – comunali, autogestiti, abusivi e privati – balconi condominiali in cui i gerani lasciano il posto a salvia, rosmarino, basilico, menta ed erba cipollina: le città vogliono tornare verdi. E ormai da qualche anno è orto mania. Sempre più cittadini si appassionano all’agricoltura urbana: ne sono una prova le decine di eventi e manifestazioni che si moltiplicano giorno dopo giorno in tutta Italia: a Roma gli orti in condivisione sono aumentati del 50% in un anno, Milano ha appena aperto un nuovo bando per assegnare 171 piccoli appezzamenti, Torino è stata premiata da Legambiente per il suo regolamento sugli orti in città... Insomma, coltivare la città è ormai qualcosa di più di un semplice hobby. Anche perché l’orto, se lavorato con cura, produce molto. E non solo piante aromatiche da balcone: pomodori, cavoli, melanzane, rape, patate, insalata, carote, gli appezzamenti metropolitani non hanno nulla da invidiare ai "cugini di campagna" in quanto a risultati.
“Per il 2025 – afferma la FAO - le proiezioni demografiche indicano che più di metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo, circa 3,5 miliardi di persone, vivrà in agglomerati urbani. Per i governanti e gli urbanisti dei paesi poveri che dovranno confrontarsi con questa sfida, città più verdi potrebbero rappresentare una possibilità reale per assicurare alimenti sani e nutrienti, mezzi di sussistenza sostenibili e migliori condizioni di salute.”
Sani e nutrienti. Ma la qualità degli ortaggi cresciuti in città è la stessa? Uno studio ucraino-tedesco sulle condizioni della verdura coltivata nel centro di Berlino sta facendo, da un anno ormai, il giro del web. O meglio, la notizia dello studio ad essere precisi, perché il documento completo è a pagamento, ed è ragionevole aspettarsi che non siano in molti i lettori che hanno speso 30 dollari per fare il check up a un pomodoro. Il succo dello studio comunque è questo: la quantità di metalli pesanti riscontrata negli ortaggi è decisamente più alta in città che in campagna, con percentuali che variano moltissimo a seconda del tipo di esposizione al traffico, dei metodi di coltivazione e delle strutture ospitanti. Tanto da spingere gli autori ad interrogarsi sull’effettiva opportunità di mangiare i frutti degli orti urbani, perlomeno quelli più esposti agli inquinanti.
Prudenza o allarmismo? Lo chiediamo a voi con il sondaggio in home page e l’abbiamo chiesto a Fabio Dovana, Presidente di Legambiente Piemonte, associazione che ha deciso di sostenere l’agricoltura in città già molto tempo prima che diventasse di moda: “Francamente siamo più preoccupati dagli effetti che hanno i pesticidi e i terreni inquinati sulle coltivazioni piuttosto che dallo smog che si deposita, e che almeno in parte si può eliminare lavando con cura ciò che si mangia. E poi bisogna vedere se i metalli pesanti sono la conseguenza dello smog o delle sostanze assorbite dal terreno, o dalle falde acquifere, e questo è un problema che riguarda anche l’agricoltura tradizionale purtroppo. Uno studio dell’ISPRA ha evidenziato come nel 70% delle acque sul territorio nazionale si sia riscontrata la presenza di pesticidi. Per non parlare dei troppi casi in cui la campagna è il luogo prediletto per interrare rifiuti, come denunciamo da anni con Ecomafie. Ma poi c’è una considerazione importante da fare: le piante servono anche a contrastare l’inquinamento atmosferico, ed è anche per questo che noi sosteniamo gli orti urbani: migliorano la vita, l’aria e l’ambiente. Direi che dovremmo soprattutto cercare di fare in modo che le città siano meno inquinate, perché oltre agli orti quella stessa aria la respiriamo anche noi, e i danni lì sono provati. Insomma, invece di chiederci se sia il caso di coltivare in città, impegnamoci per avere delle città in cui non si ponga il problema!”.
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