Milano, rimodulare l'illuminazione pubblica rispetto a quella privata. I risultati dello studio Seety
Lo studio Seety, condotto dal Laboratorio Luce del Politecnico di Milano, ha analizzato l'illuminazione del centro cittadino sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo, misurando quantità e qualità delle emissioni luminose ed indagando la percezione dei cittadini. Eco dalle Città ne parla con Daria Casciani, autrice dello studio
04 July, 2013
Quanto e come è illuminato il centro di Milano? Lo studio Seety Milano, condotto dal Laboratorio Luce del Politecnico, ha cercato di rispondere a queste domande, analizzando la situazione sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo, misurando quantità e qualità delle emissioni luminose (pubbliche e private) ed esaminando al contempo la percezione di cittadini e turisti. Eco dalle Città ha discusso dei risultati con Daria Casciani, PhD student e collaboratrice presso il Laboratorio e autrice della ricerca.
Ci spiega gli obiettivi dello studio?
Lo studio si è focalizzato sull’esplorazione del complesso e stratificato tessuto luminoso del centro di Milano, con l’obiettivo principale di comprendere i diversi contributi dell’illuminazione pubblica e del sistema di illuminazione privata, fatta di oggetti luminosi non convenzionali e spesso incontrollata. In secondo luogo, lo studio puntava a rendere visibile il livello esperienziale e sociale della città illuminata attraverso esperimenti basati sull’osservazione e la partecipazione delle persone: qual è l’immagine luminosa del centro della città di Milano per i suoi cittadini? Quali variabili luminose contribuiscono a rendere lo spazio urbano più ospitale e sociale anche di notte? È l’illuminazione pubblica o privata che definisce per larga parte l’impressione luminosa del centro della città?
Come è stata condotta concretamente l'indagine?
L’analisi è stata effettuata in due fasi: da una parte un’osservazione oggettiva e analitica dell’illuminazione urbana; dall'altra un’investigazione soggettiva dell’illuminazione rispetto all’esperienza dei suoi abitanti. L'osservazione analitica è stata condotta utilizzando diversi strumenti: un luxometro portatile, per registrare la quantità di luce sulla superficie orizzontale del pavimento o della strada; un luminanzometro portatile, ovvero una fotocamera calibrata per misurare la distribuzione della luce riflessa verso l’osservatore nello spazio della scena fotografata e uno spettroradiometro, che ha permesso di analizzare le varie sorgenti di illuminazione, individuandone la temperatura di colore e la resa cromatica. Inoltre, ci siamo avvalsi di macchina fotografica e mappe.
E per quanto riguarda la percezione degli abitanti?
La lettura delle impressioni luminose degli abitanti è stata effettuata attraverso un questionario basato su immagini e video, somministrato inizialmente online a 15 soggetti scelti tra cittadini, turisti e visitatori della città di Milano (46% uomini e 54% donne con 39 anni di età media). Basata sull’osservazione di stimoli fotografici di alcune aree del centro della città di Milano, la survey si è poi tradotta in uno strumento di studio più esteso e partecipato ancora attivo sul sito di Seety Milano.
Quali sono i risultati principali della ricerca?
I luoghi che abbiamo esplorato rappresentano quelli che Oldenburg definisce “The Great Good Places” ovvero contenitori urbani a cavallo tra l’interno e l’esterno, gallerie coperte e semiaperte dei portici, dove l’illuminazione pubblica e privata diventano complementari e si sovrappongono determinando un’atmosfera altamente luminosa. Dalle analisi effettuate, infatti, sono stati rilevati livelli di illuminazione particolarmente elevati, con alcuni picchi misurati sul piano di calpestio dei portici che oscillano tra i 300 e gli 850 Lux (illuminamento orizzontale) in corrispondenza di bar, negozi con vetrine aperte, ristoranti e cinema. Il contributo delle insegne luminose, ma soprattutto delle vetrine e dei sistemi di illuminazione privata che abbondano sotto i portici di Corso Vittorio Emanuele, determina la percezione di uno spazio illuminato come se fosse un ambiente interno.
Troppa luce, in definitiva?
Diciamo che i livelli minimi mantenuti di illuminazione urbana consigliati dalle norme solitamente si aggirano intorno ad un intervallo di 7,5 – 50 Lux. Nessuno vieta di aggiungere luce ma, in un periodo di crisi e di risparmio energetico potrebbe essere utile riflettere su un modo intelligente di gestire la luce, grazie alla cooperazione di sistemi pubblici e privati.
La situazione cambia nel corso della notte?
Non molto. Dall’osservazione dello spazio urbano nelle tarde ore notturne, quando non ci sono più persone e la città diventa praticamente deserta, sembra che l’illuminazione pubblica e privata non seguano in maniera logica e razionale le attività della città. L’illuminazione pubblica rimane staticamente accesa per tutta la notte, senza essere ridotta o parzializzata anche se potrebbe essere semplicemente programmata per farlo. Diversamente, l’illuminazione privata, una volta che ristoranti e bar sono chiusi viene parzialmente spenta ma si tratta di un comportamento disomogeneo: infatti sono molte le vetrine, i proiettori privati e le insegne che restano accesi lungo durante l’intera notte. Un ulteriore spunto di riflessione deriva dall’aumento diffuso di display luminosi a LED all’interno delle vetrine dei negozi del centro.
Si spieghi meglio.
I display luminosi o media surfaces delle vetrine del centro di Milano contribuiscono all’atmosfera luminosa della città e sono una delle poche forme di illuminazione dinamica di puro stampo privato: i contenuti si trasformano su cicli orari, giornalieri e stagionali, la colorazione dei portici e delle strade si modifica, come anche la distribuzione luminosa. Da notare che, nella stessa zona non esistono display luminosi dinamici pubblici in grado di fornire informazioni e servizi pubblici relativi alla città e che allo stesso tempo contribuiscano all’illuminazione variabile della stessa.
La “percezione” della gente corrisponde alla effettiva quantità di luce presente sulle strade?
Dal punto di vista soggettivo, il contributo di illuminazione extra determina la percezione di una atmosfera vivace e animata. L’atmosfera luminosa del centro è generalmente percepita in maniera positiva: la sovrapposizione del contributo di illuminazione pubblica e privata rende lo spazio più interessante da esplorare perché più ricco, vario e più animato. In generale l’atmosfera luminosa è percepita come “calda e accogliente”, ma viene descritta da commenti contrastanti: da un lato interessante e piacevole e dall’altro senza particolare identità, tradizionale. È infatti definita sia come un luogo “Pieno di vita in cui trovi sempre qualcosa che suscita il tuo interesse” ma allo stesso tempo come caratterizzato da un’atmosfera “anonima, non particolarmente suggestiva”. Inoltre, le luci brillanti dei negozi del centro sono associate ad un'atmosfera vivace ma generano anche sensazioni di fastidio.
Contribuiscono alla sovrailluminazione soprattutto vetrine e insegne, o c'è anche un problema legato ai lampioni stradali?
Dalle osservazioni e misure è evidente che il contributo di illuminazione urbana deriva dal sovrapporsi dell’illuminazione pubblica con quella privata: laddove un confine netto di proprietà esiste nello spazio fisico, dal punto di vista dell’illuminazione, il contributo dell’illuminazione e informazione privata invade lo spazio pubblico. Soprattutto le vetrine, spesso con faretti orientati in maniera scorretta, e gli impianti di illuminazione privata installati nei portici contribuiscono a creare zone di alta luminosità ed un ambiente visivamente più ricco. Nella corsa per avere la vetrina o il gazebo ristorante più affollato, è facile che, in un contesto città già abbastanza luminoso, i livelli da raggiungere per diventare più visibili e appetibili debbano crescere in maniera incontrollata. Le insegne e i display luminosi contribuiscono alla vivacità dello spazio con colori e forme inconsueti e con messaggi e forme di comunicazione grafiche mutevoli, che però spesso rischiano di caricare lo spazio di informazioni puramente commerciali poco utili e confusionarie. Da questa analisi emerge un’immagine notturna illuminata molto interessante per una potenziale nuova illuminazione urbana in cui possano coesistere, in maniera controllata, bilanciata e progettata, le due anime, pubblica e privata.
In che modo?
È possibile pensare ad un sistema globale di illuminazione che riduce e controbilancia l’illuminazione pubblica grazie al contributo privato, quando questo attivo, oppure accesa e aumentata quando l’illuminazione privata non è presente, al fine di assicurare comfort, atmosfera, identità e allo stesso tempo ridurre i consumi energetici. Al di là di una riduzione intelligente dell’illuminazione, sia pubblica e privata, quando le persone non utilizzano la città, come peraltro sta accadendo in Francia, è dunque possibile immaginare una nuova forma, adattiva e collaborativa di illuminazione urbana sia in relazione al contesto e al tempo, alle attività sociali e ai pattern di utilizzo: un’illuminazione pubblica e privata parzializzata che lavori in maniera concertata contribuendo all’illuminazione, alla comunicazione pubblica e privata, alle spese di gestione e manutenzione degli impianti. Un’illuminazione per luoghi pieni di vita che però cambiano dal tramonto all’alba le cui variazioni siano generate dai flussi di gente e dai pattern di utilizzo.
E sul piano del comfort e della sicurezza?
La porzione di città analizzata risulta un luogo sicuro e confortevole grazie alla presenza di altre persone e di numerose attività durante la notte ma anche dall’atmosfera luminosa, calda e accogliente che permette una corretta visione dei volti e dello spazio. Come precedentemente evidenziato, un miglioramento generale potrebbe essere quello di ordinare e armonizzare il contributo dell’illuminazione pubblica e privata in una visione unica. In particolare, pensiamo ad un generale controllo dei sistemi di illuminazione privata che risultano particolarmente invasivi e non progettati con criterio: sarebbe infatti utile una rimodulazione dei livelli di illuminazione sia per la creazione di gradienti di ombra (che non vuol dire spegnere l’impianto) sia per rendere più efficacemente percepibili i passaggi e gli elementi salienti dello spazio sociale della città. Dall’altro, pensiamo anche che l’illuminazione pubblica possa imparare dal linguaggio dinamico e mutevole dei display luminosi privati che possano diventare utili strumenti di comunicazione, informazione e servizi rispetto agli utilizzatori della città stessa oltre che a modificarne l’atmosfera luminosa.
In conclusione, direbbe che l'area del centro di Milano sottoposta a indagine è troppo illuminata?
I risultati delle indagini mostrano livelli di illuminazione che ci hanno sopreso in quanto molto elevati: questo tuttavia non inficia in alcun modo la percezione di comfort dello spazio urbano. Se è vero che l’illuminazione urbana deve assicurare un livello di luce minima da mantenere per rendere possibile la percezione visiva, in questo contesto, sarebbe utile anche limitare i livelli di illuminamento massimo. Una soluzione semplice potrebbe essere quella di utilizzare l'illuminazione privata per ridurre quella pubblica laddove i livelli sono effettivamente elevati, limitando insieme consumi e costi! Non si vuole certo ridurre l’uso della città di notte da parte dei suoi abitanti, ma al contrario incentivarne un uso più intelligente ed efficace per una più ricca esperienza.