L’arcivescovo e il campione i due volti della Taranto che non si arrende ai veleni Ilva
Il primo è tornato due anni fa dal Brasile per aiutare gli operai, il secondo ha vinto il mondiale di kick-boxing ma dopo gli anni passati in fabbrica si è ammalato di tumore. Le loro battaglie sono un simbolo della città assediata - da La Repubblica del 3.02.2014
03 February, 2014
di Adriano Sofri
Per non tornarmene del tutto a mani vuote, ho parlato con due personalità cittadine: uno è l’arcivescovo, Filippo Santoro, 66 anni, l’altro è stato campione di arti marziali, Mario Amodio, 35 anni.
L’arcivescovo è pugliese, tornò due anni fa dal Brasile. Ne ha ogni tanto nostalgia, delle sfide grandiose di povertà, crescita, giovinezza, magagne. In dicembre ha incontrato papa Francesco, gli ha raccontato Taranto, i bambini del reparto di ematologia al quartiere intitolato a Paolo VI, il primo precetto all’Ilva, l’accoglienza che ricevette all’Altoforno 5, il più grande, nel settembre del 2012, dopo i primi sequestri, e il convegno che la curia, con un certo piglio politico, ha promosso a novembre per mettere assieme ministri e istituzioni, associazioni e persone locali.
Il Papa sapeva della vicissitudine della città, ha detto che desidera
venire, «sarebbe bello che fosse quest’anno, lasciami fare i conti con l’agenda». L’agenda è fitta ma il desiderio è certo, dice. «Uno stile latinoamericano farebbe bene anche qui. Del resto l’esortazione apostolica Evangelii gaudium riprende molto della Conferenza dei vescovi di America Latina del 2007 ad Aparecida, in Brasile, dove l’arcivescovo Bergoglio aveva guidato la redazione finale del testo sull’evangelizzazione. Lì avevamo trascorso un mese indimenticabile, impegnati a un dialogo che senza spacciare soluzioni pronte non lasciasse le persone sole». Il vescovado è in un bel palazzo storico della città vecchia, adiacente alla cattedrale dedicata a San Cataldo, benché nel Borgo Nuovo sia sorta negli anni ‘60 una Concattedrale, progettata da Giò Ponti, che forse preludeva all’abbandono di Taranto Vecchia: l’Italsider a un capo, l’avventurosa concattedrale dall’altro, e l’isola diroccata in mezzo, lasciata all’attaccamento di poveri e topi. Santoro dice di volerle bene, di stare dalla parte dei giovani che vogliono riaffezionare i cittadini a Taranto Vecchia, «e non solo il Venerdì Santo, nella notte del sacro e della vita».
«In un liceo di Grottaglie dopo che ho parlato delle favelas, dei poveri senza casa, un ragazzo in gamba mi domanda: “Ma il cristianesimo non potrebbe essere una nostra invenzione per alleviare l’angoscia della morte?” Gli dico: se hai fame ti piace un panino, e la capisci bene la differenza da un panino virtuale. Pensi che sarei rimasto 28 anni in Brasile per un panino virtuale? Per me decise don Giussani: “Andresti volentieri in Brasile?” Dissi di sì, subito». Alla vigilia di Natale Santoro ha incontrato Bondi e Ronchi, commissari per l’Ilva, e ha raccomandato loro gli impegni che ritiene “prioritari”: «Rispettare e, possibilmente, accelerare i tempi di attuazione del Riesame dell’Aia, cominciando dalla copertura dei parchi minerali. Procedere con le bonifiche senza tralasciare la messa in sicurezza della falda, bloccata dai numerosi ricorsi al Tar, che ha dato ragione all’azienda benché la Conferenza nazionale dei servizi abbia certificato un inquinamento allarmante. Trasformare il processo produttivo tramite l’adozione delle migliori tecnologie esistenti che consentirebbero di eliminare le cokerie e l’agglomerato», eccetera. «Il mio invito a tutti è: almeno parlatevi, capitevi. E la legge che c’è, almeno applicatela».
Poi, nella notte fra l’11 e il 12 gennaio i custodi giudiziari e i carabinieri del Noe hanno compiuto un’ispezione senza preavviso nell’Ilva e hanno trovato gli impianti (quelli che dovrebbero
funzionare a ritmo ridotto) «tirati al massimo. Anomale accensioni delle torce dell’acciaieria non per sicurezza o emergenza ma unicamente per la combustione di gas di scarto... Emissioni diffuse in assenza di impianti
per l’abbattimento delle polveri e dei fumi derivanti dal taglio dei materiali ferrosi o dalla gestione dei materiali incandescenti come nella discarica Paiole...». Mario Amodio lo incontro in un circolo operaio, mi ci accompagna Fulvio Colucci, che ausculta storie umane e se le lega al dito. Mario ha 35 anni, il 2007, l’anno di Aparecida, fu per lui l’anno di Viareggio, dove vinse il campionato mondiale di kickboxing. «Mio padre era disegnatore tecnico di tubazioni, andò in America da trasfertista, ebbe un riconoscimento all’Empire State Building. Siamo stati 8 anni a New York e uno in Virginia».
Mario è esile, ha lineamenti fini, ha lavorato all’Ilva da quando aveva 18 anni con ditte di appalto metalmeccaniche, nel 2004 è diventato dipendente diretto, prima aiutante tubista poi carpentiere, nell’officina generale. Nel 2005 gli hanno diagnosticato la sclerosi multipla. Nel 2008 un carcinoma alla lingua («Prima ero capace di toccarmi il naso, con la lingua»). Intervento al Gemelli, recidiva nel 2009. Nel 2011 un carcinoma all’esofago, asportato con laringe e tiroide. «Fino al giugno del 2011 ho continuato a lavorare. Ho cambiato corpo, perduto le sensazioni di una volta. Ma volevo tornare a mangiare. Sono come un vaso scoperchiato, che trabocca appena mi piego. Rischio di soffocare per una doccia. Pesavo 55-56 kg, era la mia categoria; ora 40. Per la sclerosi non faccio più controlli perché è diventata la cosa meno importante. Le flebo antinfiammatorie mi buttano giù terribilmente. Nel 2012 mi hanno operato di nuovo per un linfonodo, poi una radioterapia molto pesante. Ti brucia tutto. La mia risorsa vera è mia moglie, Felicetta. A 18 anni mi sono innamorato, per un anno ho smesso la palestra per andarle dietro dappertutto, avevo paura di perderla, a 23 ci siamo sposati. Figli non ne abbiamo. Sono sterile, non l’ho mai voluto dire prima di ora. Ho una pensione di inabilità al lavoro, 850 euro. Sono in causa con l’Inail, dopo l’operazione del 2011, per il riconoscimento della causa di lavoro. Sono assicurato, perché devo fare causa e perdere tanti anni?» «Avevo cominciato col karate a 11 anni, per me era il migliore, la precisione: col kickboxing puoi far male, c’è meno controllo. Prima pensavo solo allo sport, era la mia vita. Uscivo dal-l’Ilva con la polvere minerale in gola e sulla pelle, in palestra sudavo nero, anche dopo la doccia, sembravo uno che non si lava. Si ammalano in tanti, i più non lo dicono: occorre confidenza per dire cose così, e si tiene caro il lavoro. N., per esempio, è stato operato a Pisa alla tiroide, ora ha un nuovo problema: gli hanno detto subito che c’entrava l’inquinamento industriale. Anche lui prima pensava che dipendesse dal fisico della persona, o da una predisposizione... Un esorcismo, si spera sempre — non che succeda a un altro, ma che non succeda a sé».
I casi resi noti di tiroide alla carpenteria (280 operai) sono 6, 3 di patologie nodulari, 2 di tumori papillari e 1 midollare. Mario la voce non ce l’ha più. Mi dice queste cose, e molte altre, attraverso un mediocre laringofono appoggiato alla gola. «Uno l’ho buttato via per rabbia, poi mi sono sentito perso. L’ho ricaricato tutta la notte. Ce n’è uno al titanio, costa 800 euro, l’Asl ne dà 250». L’arcivescovo e il campione: mi sembra che qualcosa li riguardi, loro sapranno che cosa. Per giunta, a Mario era stato riconosciuto per tre volte, ogni volta per due anni, l’accompagnamento. Ora, per uno scherzo improvviso, gliel’hanno tolto. Alla visita, gli hanno anche chiesto: «Lei lavora?»