Conai: "In Europa molte differenze tra i paesi nella gestione dei rifiuti urbani"
Il consorzio ha illustrato a Roma i risultati della ricerca "Crescita e occupazione nel settore del riciclo dei rifiuti urbani"da cui emerge che l'Europa è divisa tra discariche e inceneritori, l'Italia a metà ma "può puntare a target elevati"
07 July, 2014
“L'indagine promossa dal Ministero dell'Ambiente e portata a termine da Conai in questi giorni fotografa una situazione estremamente eterogenea nei diversi Paesi Europei per quanto riguarda in particolar modo il settore del riciclo dei rifiuti urbani: da una parte ci sono i Paesi, soprattutto del nord Europa, caratterizzati da mix di gestione dei rifiuti che vanno nella direzione degli obiettivi comunitari, dall'altra quelli dipendenti per lo più dalle discariche e dove l’industria del riciclo è poco sviluppata o addirittura quasi inesistente. A metà, infine, ci sono Paesi, come l'Italia, che ancora inviano quantità significative di rifiuti in discarica e che, rispetto ai Paesi del nord Europa, presentano un deficit non tanto nel settore del riciclo ma soprattutto in quello del recupero energetico”. Così Roberto De Santis, Presidente Conai, introducendo lo studio “Crescita e occupazione nel settore del riciclo dei rifiuti urbani”, realizzato in collaborazione con Althesys e presentato oggi a Roma alla presenza del Ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti. Lo studio analizza le relazioni tra le politiche di gestione dei rifiuti urbani, in particolar modo quelle di riciclo, e lo sviluppo economico e occupazionale nell’Unione Europea. Il raggiungimento degli obiettivi europei rivolti alla creazione della "società del riciclo" può, infatti, avere rilevanti effetti sulla crescita economica ed industriale ed essere un fattore di creazione di occupazione.
Stando alla ricerca, sono evidenti le differenze tra i vari Paesi Ue: lo smaltimento in discarica resta ancora, in molti Stati, il sistema prevalente, con un valore medio europeo del 34,25% e picchi superiori all’80%. C’è tuttavia un gruppo di Paesi che è riuscito ad eliminare quasi totalmente il ricorso alla discarica, con un’incidenza sul mix inferiore al 5%. Questo gruppo si contraddistingue però per un maggior ricorso all’incenerimento (con e senza recupero energetico), che pesa tra il 35% della Germania e il 52% di Svezia e Danimarca. Se si associa il ricorso alla discarica con il PIL procapite a parità di potere di acquisto emerge una stretta correlazione tra benessere economico e performance ambientali. Difficile però capire se nei paesi ricchi si ricicla di più perché si hanno più risorse a disposzione - ipotesi più probabile - o se il riciclo contribuisca a far diventare i paesi più ricchi. Per quanto riguarda l'Italia, “pur non essendo ancora ancora ai livelli dei migliori e nonostante la permanenza di criticità – spiega De Santis - attraverso interventi mirati potrebbe raggiungere i target europei: nel nostro Paese infatti coesistono eccellenze, come il riciclo degli imballaggi, e criticità, con una forte disomogeneità dei risultati a livello territoriale”.
Lo studio quindi analizza lo scenario “teorico” di sviluppo al 2020 disegnato dai target europei secondo cui tutti i Paesi dovrebbero raggiungere almeno il 50% di ricilo dei rifiuti urbani ed eliminare il ricorso alla discarica. I Paesi più avanzati dovrebbero arrivare all'80% di riciclo. Si parla di un aumento delle quantità avviate a riciclo nell'UE al 2020 di 44,8 milioni di tonnellate, mentre la maggior quantità di rifiuti avviati a compostaggio sarebbe di 22,5 milioni. Il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 71 milioni di tonnellate e le quantità di rifiuti termovalorizzati crescerebbero quindi di 37,5 milioni.
“Ma è irrealistico pensare che i Paesi meno avanzati nella gestione dei rifiuti possano raggiungere gli stessi obiettivi dei più virtuosi in tempi brevi”, ha detto De Santis, proponendo che gli obiettivi siano economicamente sostenibili. “I target realistici che propone il Conai si basano sulla situazione di partenza dei singoli Paesi: tasso di riciclo complessivo medio 44%, minimo 20% e massimo 73%”. In questo scenario “prudente”, l'aumento del riciclo e del trattamento del materiale organico sarebbe rispettivamente di 21,2 e 10,8 milioni di tonnellate, mentre il ricorso alla discarica si ridurrebbe di 25 milioni. Il fabbisogno di nuova capacità di termovalorizzazione sarebbe di 22,3 milioni di tonnellate.
Secondo lo studio inoltre gli strumenti per avviare il processo di convergenza e raggiungere gli obiettivi sono: l'industrializzazione della filiera del riciclo e il recupero di efficienza nelle fasi di raccolta e selezione; nuovi investimenti in ricerca e sviluppo per far crescere i prodotti da avviare a riciclo; il Green Public Procurement, che permette di sfruttare la leva degli acquisti pubblici per incentivare lo sviluppo di prodotti, tecnologie e servizi a basso impatto ambientale.
Infine, “lo studio calcola quali sono i benefici economici e occupazionali di cui potranno beneficiare i paesi in ritardo e in particolare in Italia le regione del centro sud, in ritardo rispetto agli standard del nord Italia”, ha spiegato De Santis. Secondo lo scenario “prudente” proposto dalla ricerca, si avrebbero benefici economici per 78 miliardi di euro tra il 2013 al 2020: 21 miliardi per investimenti in impianti di trattamento, riciclo intermedio e smaltimento e i restanti 57 miliardi generati dalle diverse attività lungo la filiera. In questo caso il valore aggiunto si ridurrebbe a 24 miliardi, di cui 7 per gli investimenti, mentre l’occupazione salirebbe di 432.000 unità. Le attività più interessate dalle ricadute economiche sono quelle della raccolta differenziata, con una quota del 36% o il 34% in funzione dello scenario adottato. Segue il riciclo intermedio, con un peso del 34% nello scenario teorico e del 33% in quello prudente.