La M4 non è solo Linate. Rifacciamo i conti
Giorgio Goggi invita a ricordare le motivazioni e gli studi che sono stati alla base del progetto M4. Una linea importante non solo per l'aeroporto di Linate, ma come collegamento di larghe zone ancora sprovviste. Ma in questi anni le condizioni dei project financing per i Comuni sono peggiorate - da ARCIPELAGOMILANO.IT del 28.10.2014
30 October, 2014
Di Giorgio Goggi
Quello che più mi stupisce, quando si parla della M4, è che sia considerata la metropolitana di Linate. Il tratto che arriva a Linate è solo un’appendice -necessaria e indispensabile per una città moderna - ma niente più di un’appendice del suo tracciato. La M4 serve importanti e popolosi quartieri di Milano, oggi privi di metropolitana: i quartieri che stanno intorno a via Lorenteggio (e, in prospettiva, quando la si potrà prolungare al suo naturale capolinea sulla Tangenziale, anche Corsico, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio), i quartieri di Corso Indipendenza e Viale Argonne e il quartiere Forlanini, non meno popolosi. Inoltre, la presenza della M4 consentirà di mitigare la congestione tranviaria di Corso XXII Marzo.
Il tracciato originale della linea, come previsto dal Piano della Mobilità, prevedeva un secondo ramo (lo sbinamento è possibile senza problemi nelle metropolitane leggere automatiche con frequenza fino a 70 secondi) su via Mecenate, per servire un’area ormai densa di attività terziarie, ma anche i quartieri IACP di V.le Ungheria e parte di Santa Giulia. Ramo ora eliminato dai piani senza che nessuno ne abbia spiegato la ragione. Non si tratta di quartieri di lusso, ma di zone popolari da cui si muovono decine di migliaia di lavoratori pendolari urbani. Il carico della linea -previsto in più di 10.000 passeggeri ora/direzione nelle ore di punta- è costituito proprio da questi spostamenti; al confronto il contributo di Linate sarà quasi trascurabile.
È vero che la M4 passa nel centro: il suo contributo sarà di rendere pedonale tutta l’area interna alla cerchia dei Navigli (facilitandone anche la riapertura) comprendendola tutta nel raggio di 250 m dalle fermate delle linee metropolitane, come risulta dall’immagine (tratta da G. Corda), ove il percorso della M4 è in azzurro. Inoltre, la M4 contribuirà a decongestionare la M1, già giunta alla sovrassaturazione e recentemente potenziata con il nuovo segnalamento, ma sempre al limite della capacità. Come si vede, non solo di Linate si tratta.
Peraltro, chi vuole servire Linate con la M3 da San Donato non si rende conto che il percorso Centro – Linate per questa via è di circa 12 Km, rispetto ai 7 Km della M4, con più stazioni e dovendo ugualmente percorrere Viale Forlanini; non dico poi del costo di prolungare un’onerosissima metropolitana pesante tradizionale, necessariamente sotterranea per via delle interferenze con le strade e l’aeroporto, per servire quote di traffico di minore rilievo.
Mi stupisce, poi, che si dibatta se fare o non fare le metropolitane, invece di interrogarsi sui meccanismi finanziari che le rendono così onerose. Occorre premettere che, dopo la “legge obiettivo”, che modificava in modo sostanziale le norme della precedente 211/92, realizzare le metropolitane senza il contributo dei privati non è più stata un’alternativa praticabile (il contributo dello stato era sceso dal 60% al 40% e il project financing era esplicitamente richiesto).
Tuttavia, quando il primo lotto della M4 (che allora partiva da Lorenteggio) fu messo in gara nel 2006, le cifre erano le seguenti: 240 milioni concessi dal CIPE, 200 milioni del Comune (già in cassa, poi esauriti dalla Moratti che li usò per ricomprare le quote AEM già vendute) e 300 milioni di contributo minimo dei privati messo a base di gara. Con queste condizioni ci furono ben tre offerte. Il contributo dei privati era allora del 40%; leggo nell’articolo di Luca Beltrami Gadola, nel numero scorso di ArcipelagoMilano, che oggi è del 25%. Sarebbe importante capire come sia stato possibile.
Sappiamo che ci sono state varianti, per esempio lo spostamento a San Babila della stazione prima posizionata in Borgogna-Mascagni, variante verosimilmente molto onerosa di cui non si è mai saputo il motivo (e la cui opportunità a me rimane ancora oscura, probabilmente per mancanza d’informazioni), ma questo non sembra sufficiente a compensare un tale divario.
Se poi consideriamo la M5, vediamo che nella convenzione originale, sottoscritta nel 2006, il Comune avrebbe ricompensato i privati (con il cosiddetto “canone di disponibilità”), in ragione di ogni passeggero rilevato ai tornelli, con una tariffa parametrata al valore del biglietto (€ 1,045 per i primi due anni, € 0,945 per i successivi, € 0,700 dopo l’estinzione dei finanziamenti al 2036) subordinata al rispetto di rigidi e molto esigenti parametri prestazionali, in termini di disponibilità del servizio e frequenze.
Tuttavia nel 2007 fu stipulato un atto aggiuntivo per oltre 62 milioni di euro, comprendente: l’anticipazione dell’esercizio della tratta funzionale Zara-Bignami (6,7 milioni, ma era proprio necessario?); il costo delle interferenze per l’unione della linea a Garibaldi, 49 milioni (inizialmente la linea era prevista in due tronconi, ma il costo dell’unione nel 2006 era stato calcolato in 10 milioni circa, forse ottimisticamente, però la differenza è cospicua).
Il costo fu finanziato con l’aumento di 13,8 milioni del contributo comunale e l’aumento del canone di disponibilità (contributi portati rispettivamente a € 1,522; 1,422; 0,650; quindi definitivamente superiori al valore del biglietto). Non ci sono elementi per dubitare delle cifre, ma il piano finanziario della linea si appesantì notevolmente.
Nel 2011 si stipulò la convenzione per il prolungamento della linea a San Siro, assistito da un nuovo finanziamento statale. La novità però fu che il canone di disponibilità non veniva più commisurato ai passaggi rilevati ma diventava una quota fissa di 21,5 milioni l’anno (11,25 dal 2036 al 2040) da corrispondere addirittura “al raggiungimento del livello minimo dei parametri prestazionali”. Così il Comune rinunciò a pagare in ragione del numero di passeggeri trasportati (incentivo a migliorare la gestione della linea) e a imporre parametri prestazionali elevati. Avrà avuto le sue buone ragioni, ma non mi risulta siano state spiegate pubblicamente. Nel 2012 un ulteriore atto integrativo compensa con poco più di 9 milioni un buon numero di varianti esecutive e imprevisti, cosa peraltro piuttosto normale in una costruzione così complessa.
Ora mi sembra che il problema non sia metropolitana sì o metropolitana no, ma che vada completamente ripensato il finanziamento di queste opere, a cominciare dalle norme statali in merito (legge obiettivo, legge Merloni che assegna al privato la titolarità dell’intervento per qualsiasi importo del suo contributo, assoggettamento all’IVA) per finire con il patto di stabilità interno che, non consentendo al Comune di indebitarsi a lungo termine (il che sarebbe assai più sostenibile), lo obbliga a sottostare alle condizioni dei privati. Questo per il futuro, chissà se non si possa ancora fare qualcosa per la M4… .
Giorgio Goggi