Il superscienziato, pagato dalle lobby, che negava il surriscaldamento globale
Wei-Hock Soon pubblicava le ricerche senza citare i suoi finanziatori. “Pagato dalle lobby”, così crolla il mito del negazionista dell’effetto serra che enfatizzava il peso delle macchie solari sul riscaldamento globale. E non era di Harward ... - da la Repubblica del 24.02.205
23 February, 2015
di Maurizio Ricci
Per opporsi al consenso pressoché unanime dei suoi colleghi su uno dei temi più dibattuti del momento, uno scienziato deve avere coraggio. O motivazioni molto solide. A volte, infatti, in particolare se il tema è uno che muove interessi enormi, come l’effetto serra e il riscaldamento globale, questo coraggio paga. Paga — si intende — in moneta sonante. Quanto, esattamente?
Adesso, possiamo averne un’idea piuttosto precisa: almeno 1,2 milioni di dollari (circa un milione di euro) per la redazione di articoli scientifici, testimonianze al Congresso, presenza a convegni e interviste tv. Sono i soldi che, nell’arco di dieci anni, ha incassato Wei-Hock Soon, un ingegnere aerospaziale presso il Centro per l’Astrofisica gestito congiuntamente dallo Smithsonian Institute e dalla università di Harvard. A commissionare gli studi di Soon e a finanziarli generosamente, ma guardandosi bene dall’apparire, la lobby del petrolio e alcuni dei grandi nomi dell’industria energetica, dalla Exxon ai capifila dell’opposizione americana alla politica del clima: i fratelli Koch.
Lo scandalo è scoppiato perché Greenpeace e un’altra organizzazione ambientalista, il Climate Investigations Center, sfruttando il fatto che il Centro per l’Astrofisica è un organismo pubblico hanno potuto avere accesso alla documentazione sui fondi per le ricerche. In realtà, si sapeva già che Wei-Hock Soon, usato spesso come portavoce scientifico della lobby del petrolio, aveva legami con l’industria dell’energia.
Non si sapeva però dell’entità dei finanziamenti e di come fossero strettamente legati a specifiche richieste di prestazioni scientifiche. Soon, familiarmente noto come Willie, si riferiva alle sue testimonianze al Congresso e agli articoli che scriveva su commissione con lo sgradevole termine di “deliverables”, una parola che si usa per indicare un prodotto pronto per la consegna. La questione, comunque, non sono specificamente i soldi. Il nodo dello scandalo è la violazione dell’etica accademica, che è anche il fondamento della credibilità della ricerca scientifica: Willie Soon, infatti, mentre pubblicava le ricerche che avrebbero dovuto smentire le teorie dell’effetto serra, si guardava bene dal rivelare chi aveva finanziato le sue ricerche, anche se il codice di condotta dei giornali scientifici che lo pubblicavano lo prevede espressamente. Alcuni dei contratti firmati da Soon vietavano espressamente di rivelare chi finanziasse le ricerche.
Soon che, peraltro, ha sempre dichiarato pubblicamente di essere “un uomo di principi”, avrebbe, invece, dovuto ammettere di avere incassato 409 mila dollari dalla Southern Company, titolare delle più grandi centrali a carbone d’America e regolarmente in testa alle classifiche delle emissioni di Co2. Altri 274 mila dollari dall’American Petroleum Institute, la lobby dei petrolieri. Ancora, 320 mila dollari dalla Charles Koch Foundation, la cassaforte delle iniziative politiche dei fratelli Koch. I quali, probabilmente, sono dietro anche agli altri 324 mila dollari che Willie Soon ha avuto dal Donors Trust, un’organizzazione che distribuisce i soldi di donatori anonimi a cause del movimento conservatore. Infine, 335 mila dollari dalla più grande compagnia petrolifera al mondo, la Exxon che, però, ha smesso di foraggiare l’ingegnere nel 2010.
Questi soldi sono serviti a Soon per le sue ricerche sui danni che, effettivamente, gli orsi polari (uno dei simboli delle battaglie ambientaliste) ricevono dal riscaldamento dell’Artico, su quanto realmente è aumentata la temperatura della Terra nell’ultimo secolo e, soprattutto, sul ruolo delle macchie solari nel determinare il riscaldamento globale. La tesi centrale su cui Soon è tornato spesso, infatti, è che i cicli di irraggiamento solare hanno sul riscaldamento globale un effetto superiore alle emissioni di anidride carbonica e all’effetto serra.
È una tesi largamente minoritaria, se non isolata, nel mondo scientifico. Gavin Schmidt, che dirige il Goddard Institute, la divisione della Nasa che studia specificamente il cambiamento climatico, ha detto al New York Times di essere convinto che il sole non pesi per più del 10 per cento sull’aumento delle temperature. Ma la parabola di Willie Soon spiega bene i meccanismi politici e mediatici attraverso i quali si svolge il dibattito sull’effetto serra. Soon viene infatti regolarmente presentato, sulla stampa antiambientalista, come “l’astrofisico di Harvard”, uno scienziato con gli stessi titoli degli altri e che nega l’effetto serra, dando fondamento alla narrativa per cui, sul tema, il mondo scientifico è spaccato in due. In realtà, Soon non è un professore di astrofisica, ma soltanto un ingegnere aerospaziale. E l’etichetta di Harvard è puramente appiccicata.
L’università, ieri, ha fatto sapere di non avere alcun rapporto con Soon. Il quale è affiliato al Centro di Astrofisica attraverso lo Smithsonian Institute, con il quale, però, ha un rapporto praticamente da inquilino. L’istituto non lo finanzia e, tanto meno, gli passa uno stipendio. Nel mondo scientifico, Soon è l’equivalente di un libero professionista.