Fare impresa senza scarti. Un incontro con Agrindustria e il suo fondatore Giuseppe Tecco
"Giuseppe Tecco l’ho ascoltato la prima volta mentre raccontava a duecento studenti del Politecnico di Torino la sua avventura imprenditoriale. Venti anni fa ha fondato (a Cuneo) Agrindustria, un’azienda con 19 dipendenti che produce beni a partire da scarti vegetali". Così Antonio Castagna, esperto di rifiuti ed educazione ambientale, descrive una delle eccellenze dell'industria green piemontese
24 February, 2015
Gli imprenditori capaci di comunicare innanzitutto una visione alla quale collegano coerentemente il racconto delle loro azioni, sono rari. Giuseppe Tecco l’ho ascoltato la prima volta mentre raccontava a duecento studenti del Politecnico di Torino la sua avventura imprenditoriale. Venti anni fa ha fondato in provincia di Cuneo Agrindustria, un’azienda con 19 dipendenti che produce beni a partire da scarti vegetali. Mi ha incuriosito il suo modo di raccontare, pieno di immagini concrete, la sua idea di imprenditore e innovatore, sempre a farsi domande e a cercare nuove soluzioni, la sua idea di natura come fonte di conoscenza e, infine, il fatto che, coerentemente con la sua idea di natura, lui produce dagli scarti vegetali e si rifiuta di produrre a sua volta scarti a valle del processo produttivo. Ad esempio il materiale per il processo di sabbiatura, che serve nelle lattonerie o per ripulire monumenti e palazzi dalla patina di smog, che prima era costituito da minerali, Tecco lo ricava dai gusci di nocciole. “Se la natura non fa scarti – dice - allora non deve fare scarti neppure l’industria”. Agrindustria, l’azienda che ha fondato 30 anni fa, si trova in una zona artigianale a 9 km dal centro città. Oltre a lui, in azienda ci sono due tecnici, uno responsabile della qualità, l’altro del marketing, due persone in amministrazione, il resto operai impiegati su tre turni. Le macchine, infatti, lavorano a ciclo continuo.
La prima cosa che mi racconta è che durante le vacanze di Natale si è dedicato a lavare, con l’idropulitrice, 3000 mq di pannelli solari che ha sui suoi capannoni. Ora, dopo la pulizia, producono il 40% in più. “Le cose che hai le devi curare. Non devi pensare che siccome sono macchine allora funzionano da sé”. Forte di quest’esperienza, all’inizio di gennaio ha chiamato una ditta specializzata di Treviso e si è fatto realizzare un impianto automatizzato per ripulire i pannelli solari. La sua idea di non sprecare niente si applica agli scarti di produzione così come al funzionamento delle macchine e degli strumenti. L’unico ambito in cui l’attenzione allo spreco cala, almeno apparentemente, è il tempo. Giuseppe legge qualsiasi cosa, si informa, incontra chiunque abbia qualcosa da raccontare o che abbia voglia di ascoltare, come me oggi.
Ciò che lo distingue da altre persone attente a non sprecare che ho conosciuto è che la sua ossessione non è a ridurre, sprechi, costi, ecc., ma a ottenere il meglio delle potenzialità, grazie a un atteggiamento che cerca di trasformare ogni situazione in opportunità per migliorare qualcosa che già fa o per fare qualcosa di nuovo. Ad esempio, siccome le regole di prevenzione antincendio prevedono che le aziende si dotino di una vasca d’acqua per spegnerli, invece di maledire l’eccesso di burocrazia e i duecentomila euro da spendere, si è chiesto come trasformare il problema in un vantaggio. Ha realizzato un laghetto, raggiunto da un sentiero di pioppi e abeti, dove ha rilasciato trote e storioni, realizzato un’area picnic dove accogliere classi in visita e gli stessi operai nei momenti conviviali. Sul bordo del canale dove scorre l’acqua ha piantato salici, e mentre ci passeggiamo in mezzo mi racconta che i contadini facevano così, perché potevano usare i rami teneri per legare le viti e realizzare i cesti, mentre i rami più grossi li davano ai conigli da rosicchiare. Giuseppe sembra il frutto di quest’anima di contadino che a un certo punto della vita ha incontrato un’anima di imprenditore. “La natura contiene tutto e sa fare tutto – dice - noi dobbiamo solo cercare di capire come fa e copiare”. Dal salice, ad esempio, si ottiene anche l’acido acetilsalicilico, da cui si fa l’aspirina. “La natura lo ha fatto, noi ci siamo limitati a scoprirlo a un certo punto”. E l’acqua del laghetto, già che c’è, la usa anche per raffrescare i pannelli solari in estate, grazie a un impianto a goccia, perché quando si riscaldano troppo i pannelli perdono efficienza.
Ogni cosa che fa deve servire per diverse funzioni. Nel suo ufficio c’è un armadio che contiene tutti quei beni della natura che Agrindustria utilizza per i suoi prodotti: ci sono granuli ottenuti dai tutoli di mais, gusci di mandorle, noci e nocciole tritati, fibra di cocco, bucce d’uva, segatura di legno, fibre di pisello. Come la vasca diventa lago, rispondendo a più esigenze diverse, così l’armadio stipato di boccette contenenti scarti di lavorazione vegetale diventa al contempo fonte di ispirazione per lui e i tecnici, oggetto di curiosità per clienti e consulenti in visita, possibilità di far toccare e annusare la materia prima a chiunque abbia bisogno di farlo.
Il primo impianto che incontriamo nella passeggiata è quello che serve a produrre il syngas, un gas ottenuto attraverso pirogassificazione. Gli scarti di legno, che arrivano dai frutteti espiantati dei dintorni e da operazioni di cura dei boschi, circa una tonnellata al giorno, vengono riscaldati fino a 160 gradi in assenza di ossigeno, da questo trattamento si sprigiona gas che alimenta un motore che produce energia elettrica, che rivende alla rete, e calore, che utilizza per riscaldare gli uffici e in alcuni degli essiccatoi per il legno e gli altri sottoprodotti utilizzati in azienda. Quello che rimane è una biocarbonella fine che viene ricompattata sotto forma di pellet e serve come concime, perché ripristina il CO del terreno, e contribuisce inoltre ad alleggerirlo, a renderlo più assorbente e a fissare i raggi solari grazie al suo colore scuro.
Tecco non ammette che a valle di un processo si producano scarti di qualche tipo, fossero pure l’1% di quanto immesso nel ciclo. Nel capannone dove i mulini realizzano pellet da riscaldamento da legno di abete, ad esempio, l’essiccatoio è alimentato con gli scarti di segatura della lavorazione. Tecco è un perito agrario, che la sua cultura e il suo sapere li ha costruiti soprattutto sul campo, parlando con altri produttori, i tecnici, i contadini. Ha un linguaggio molto pratico e pieno di immagini concrete, capaci di fare comprendere con immediatezza anche un processo complesso. Il pirogassificatore, ad esempio, lo descrive come un camino che non tira, perché lo scarico per qualche motivo si è intasato. Allora il legno fa fumo, ecco, quel fumo è il syngas.
L’uso di un linguaggio semplice e immediato gli consentì di avere dei vantaggi già nel primo lavoro. Aveva finito la scuola dai salesiani e da giovane perito agrario aveva cominciato a seguire i contadini della zona. Negli anni ’80 incontrò i fondatori di un’azienda veronese che faceva concime fermentando il letame e ne divenne il rappresentante nel cuneese per vent’anni. Quello fu il primo approccio con la produzione di beni a partire dagli scarti. A colpirlo era stato il processo ideativo che aveva portato alla realizzazione del prodotto, partendo dalla domanda su cosa potevano farne delle montagnole di letame depositate fuori dalle aziende zootecniche.
Anche Tecco si era accorto della presenza di montagnole di scarto fuori da alcune aziende della sua zona. Grappa Bocchino ad esempio, produceva montagne di bucce d’uva, e ogni anno a settembre erano montagne di tutoli di mais che si accumulavano fuori dalle fattorie che poi i contadini bruciavano. Così cominciò a procurarsi questo tipo di materiale e scoprì che con le bucce d’uva poteva produrre delle matrici per integratori alimentari da dare agli animali da allevamento. La stessa cosa per i tutoli, che hanno anche formidabili doti assorbenti, quindi possono essere impiegati anche nei vivai e, siccome contengono lignina, fanno bene alla digestione delle mucche. E dal momento che il cuneese è zona di nocciole, vedere quelle tonnellate di scarti fatti di materiale duro, resistente, abrasivo, gli dava il tormento. Fino a che l’aggettivo abrasivo non gli suggerì di provare a macinarle per usarle nelle sabbiature. E visto che è abrasivo le farine più sottili possono servire a produrre saponi abrasivi, come la pasta lavamani che usano i meccanici, e creme per il peeling.
Nel suo lavoro Giuseppe è animato da alcune convinzioni, come quella che nella natura ci sono tutte le risposte ai nostri bisogni, e quella, altrettanto potente che se c’è una soluzione allora lui prima o poi sarà in grado di trovarla. Associa alle convinzioni una capacità di osservare e di fermarsi davanti a un materiale anche per anni. Anche questo tratto, la pazienza, pare derivare dalla sua identità di contadino. Questo gli consente di vivere senza angoscia il fatto di avere i magazzini pieni di scarti di cui al momento non sa che fare e, nello stesso tempo, di ammucchiare su un piazzale vecchi macchinari inutilizzabili ma che prima o poi potrebbero tornargli utili, proprio come farebbe un bricoleur nel proprio garage. A cosa potrà mai servirgli un vecchio container inutilizzabile? Quasi tutti lo rivenderebbero come ferro vecchio, Tecco lo ha utilizzato come camera di sedimentazione dei vapori prodotti dai pellet che bruciano, così le impurità emesse nell’atmosfera si riducono a un decimo del consentito.
Del bricoleur ha anche l’inventiva. Ad esempio una ditta olandese gli ha fornito una macchina che deumidifica i sacchi di plastica dove stocca i pellet. E siccome anche il processo di pirogassificazione produce condensa, che danneggia il motore, si è chiesto se la macchina deumidificatrice avrebbe potuto utilizzarla anche per eliminare quella. Detto, fatto.
Una delle qualità di Tecco è che parla con tutti e si fa capire da tutti. Collabora con le Università per studiare le potenzialità dei materiali, per valutare l’efficacia della pirogassificazione e con i contadini per procurarsi la materia prima, con tecnici e fornitori per trovare nuove soluzioni.
Un giorno un bambino che qualche giorno prima era stato in visita con la sua classe elementare, gli aveva consegnato una scatola di tutoli di mais, che lui utilizzava per dare da mangiare ai suoi canarini. Era rimasto talmente colpito dal racconto di Tecco e dalla considerazione che non si butta niente, che si era sentito in dovere di portargli anche quella piccola quantità. Tecco tutto serio li aveva presi e qualche giorno dopo aveva consegnato al bambino un sacco di granuli, ottenuti dagli stessi tutoli. “Ecco – gli aveva detto -, i miei operai hanno lavorato i tuoi tutoli e tu ora con questi puoi farci il letto per assorbire le feci dei tuoi uccellini”. Il bambino contento aveva preso il sacco e stava per andare via. “E quando è sporco cosa ne fai? - aveva chiesto Tecco - lo butto nella spazzatura – aveva risposto il bambino - Eh no, se questo lo mescoli con la terra in giardino diventa un concime, lo sapevi?”.
Quel bambino non lo sapeva, ma l’ha capito. Io quello che ho capito è che se cos’è la complessità lo spiegasse uno come Tecco forse una quantità di problemi, frutto del nostro modo semplificato di osservare il mondo intorno a noi, ce li risparmieremmo.