Africa, diffusione e limitazione dei sacchetti in plastica
Sono numerosi paesi africani che hanno una legge che vieta produzione, importazione, commercializzazione e uso dei sacchetti di plastica non biodegradabili, che causano notevoli problemi sia nelle aree urbane che in quelle rurali
10 November, 2015
di Teresa Borgonovo
L’elenco dei paesi africani che hanno adottato misure per contrastare importazione, produzione e l’utilizzo dei sacchetti di plastica è folto. Può sembrare strano che ci si occupi di sacchetti di plastica dove spesso le difficoltà da fronteggiare sono strutturali: fame, malnutrizione, povertà, bassi livelli d’istruzione, scarso accesso all’acqua potabile, scarso accesso all’energia e l’elenco potrebbe continuare, implacabile. Eppure c’è un elemento che aiuta a capire: la pervasività. Ne vengono utilizzati molti, c’è una gestione dei rifiuti, soprattutto nelle aree rurali, quasi inesistente e i sacchetti di plastica si disperdono facilmente nell’ambiente. Interi o a brandelli, neri o colorati, si impigliano nei rami di alberi e arbusti, invadono il territorio; nonostante vengano chiamati “fiori del sahel”, di poetico hanno ben poco; sotto gli occhi si produce un paesaggio degradato e disturbante.
Ma non è solo un problema estetico. Se pure meno evidente, c’è il problema legato alla salute degli animali. Capre, bovini, cammelli, asini e volatili pascolano liberi e, insieme al loro foraggio, ingurgitano, gioco forza, anche la plastica; molti muoiono. Ma anche senza arrivare alla morte, si arriva in ogni caso a problemi di nutrizione; già in molti casi, come nelle aree predesertiche del sahel, gli animali hanno ben poco da mangiare e con la plastica nello stomaco, il problema diventa ancora più serio. Per non parlare del suolo; una volta che il sacchetto si sbriciola in milioni di frammenti questi diventano parte integrante del terreno, minandone la struttura e la fertilità. Nelle città, i sacchetti producono disagi e disastri nei casi di piogge intense perché ostruiscono il deflusso delle acque nei canali di scolo. Più di una ragione per tentare di contenere il problema.
I numerosi paesi africani che hanno una legge che vieta produzione, importazione, commercializzazione/uso dei sacchetti di plastica non biodegradabili hanno indubbiamente focalizzato il problema, ma l’alternativa è costituita dai sacchetti cosiddetti oxo-biodegradabili, ovvero quelli la cui plastica è stata additivata con sostanze che ne accelerano la degradazione. In realtà, dunque, la dispersione della plastica nell’ambiente con l’oxo, rimane; in alcuni casi i problemi vengono solo minimamente contenuti. Infatti, in Italia sono vietati. Gli unici paesi africani che ci risulta abbiano vietato completamente anche quelli biodegradabili, sotto i 60 micron di spessore, sono Ciad e Camerun. In Italia, ricordiamo, per gli alimenti sono ammessi i sacchetti in plastica non biodegradabile e compostabile purché siano riutilizzabili; sono considerati tali quelli con uno spessore superiore ai 200 micron; i sacchetti a fagiolo, per esempio quelli delle farmacie, sono ammessi purché abbiano uno spessore superiore ai 60 micron; devono invece essere sopra i 100 micron i sacchetti che non devono contenere alimenti o quelli per alimenti senza manici.
Torniamo in Africa, in particolare in Africa occidentale. Il Senegal è il paese che si è aggiunto più recentemente – dall’aprile del 2015 - prevedendo multe fino a 30.000 Euro per i trasgressori o la prigione fino a sei mesi. Tutti i sacchetti sottili sono banditi e quelli più pesanti saranno a pagamento. Il penultimo paese in ordine di tempo è stato il Burkina Faso. Nonostante un clima di forte instabilità politica -la deposizione a furor di popolo del dittatore Blaise Campaoré, un colpo di stato fallito in pochi giorni e i timori che fino alle nuove elezioni di novembre si possano verificare ancora dei colpi di mano- a febbraio è entrata in vigore la legge di divieto emanata nell’aprile 2014, una trentina di anni dopo l’introduzione in Burkina dei sacchetti di plastica, i “sachets noirs”; prevede multe fino a 1.520 euro e pene fino a 5 anni di carcere. Le ONG lamentano però la non applicazione della legge dovuta anche alle scarse azioni di sensibilizzazione promosse per far conoscere i contenuti della stessa; la gente non ne conosce l’esistenza, né tanto meno sa cosa fare, come distinguere un sacchetto non biodegradabile da uno biodegradabile. Né sa che anche il sacchetto biodegradabile sarebbe meglio non usarlo e utilizzare le sporte o le sacche di cotone. Mancano poi i controlli. Eppure in Burkina il problema è molto serio. Si stima che la mortalità del bestiame sia da imputarsi per il 34% al soffocamento per ingestione di plastiche. E’ un danno economico non indifferente per un paese in cui l’allevamento contribuisce per più del 10% alla formazione del PIL e in cui l’80% della popolazione è attiva nel settore primario.
Le grandi compagnie, quelle che producono i sacchetti biodegradabili, si sono attrezzate per aggredire un mercato appetitoso. La parte del leone la stanno facendo tre compagnie, una giapponese, un’inglese e un’americana. Solo in Marocco, la società inglese Symphonie plastique ha un giro d’affari di un milione di euro; mentre, complessivamente, nei paesi africani la stessa società conta su un business da 5 milioni di euro. Ovviamente tutto il mondo è paese. Come è accaduto in Italia, anche in Africa si è sviluppata la resistenza dei produttori di sacchetti tradizionali. In un’intervista raccolta da Jeune Afrique, il presidente dell’associazione dei produttori di plastiche del Camerun ha lamentato la chiusura di 4 impianti nel 2014 a causa del divieto intervenuto nel paese e la perdita di 2000 posti di lavoro, a fronte di un’importazione illegale di sacchetti dalla Nigeria; in tal senso è interessante la proposta di legge avanzata dal Benin in cui sono previste delle misure di accompagnamento al settore industriale per la riconversione. C’è chi, invece, ha colto un’opportunità di business, come l’imprenditore della Costa d’Avorio Kramoko Diabate che sta cercando di attivare una produzione di sacchetti di carta da cui auspica un giro di affari di 1,5 milioni di euro.
In Africa resta completamente sconosciuta la bioplastica quella biodegradabile e compostabile, l’unica, insieme alla carta, a costituire un’alternativa reale ai disastri ambientali generati dai sacchetti di plastica tradizionali, biodegradabili o meno.