Spiando la spazzatura dei torinesi si scopre che riciclano ancora poco
Viaggio nel cassonetto dell'indifferenziata. Reportage di Letizia Tortello su La Stampa dell' 8 dicembre 2015
09 December, 2015
di Letizia Tortello
Se ci fosse stato qualcuno a multare i torinesi che sabato hanno scaricato la loro immondizia nel cassonetto di corso Regina, all’altezza del civico 29 (angolo via Vanchiglia), praticamente sarebbero stati sanzionati quasi tutti. Per un sacchetto o per l'altro, contenente rifiuti di plastica, carta, cartone, organico, vestiti e scarti che dovrebbero essere trasportati all’ecocentro, ma che non dovevano finire lì. Tutti insieme appassionatamente. Gettati nel mucchio, avvolti dai sacchi neri, perché non differenziare è più facile, rapido e comodo. Ma assai meno ecologico, per non dire civile.
Il nostro viaggio nei cassonetti insieme alle sentinelle dei rifiuti di Eco dalle Città fotografa una realtà impressionante: nei cassonetti generici, dove non è ancora arrivata la raccolta porta a porta, solo una piccola percentuale dell’immondizia è davvero indifferenziata. Il resto poteva essere recuperato. Come in corso Regina, dove le Sentinelle hanno fatto la prova dello «svuota cassonetto», separando i rifiuti come si avrebbe dovuto fare il cittadino e poi li hanno pesati. Su 22,5 chili di materiale svuotato dal contenitore verde, solo 3 era davvero di indifferenziato. Il 13%. Per il resto, rifiuti che potevano finire nei raccoglitori dedicati a plastica, carta, organico e vestiti a qualche decina di passi da lì, precisamente all’altezza del civico 25 C.
Sabato pomeriggio, l’operazione di svuotamento dei sacconi gettati nell’immondizia in corso Regina ha fatto show, attirando l’attenzione di tanti passanti che si fermavano a guardare e commentavano stupiti: «Ma basta là, hai visto quanto sprechiamo?», diceva in piemontese la signora Angelina Buffo, sottobraccio al marito. Giusy Piscitelli, la commessa del negozio di abbigliamento «’900», all’angolo con via Vanchiglia, apre la porta incuriosita: «Cosa cercate?», chiede. Albana, italiana di origine albanese e sentinella dei rifiuti capitanati dall’ambientalista Paolo Hutter, con il sorriso le risponde: «Pesiamo quanto si poteva recuperare, e quanto i torinesi devono imparare a differenziare». La signora alza gli occhi al cielo: «Mio marito mi fa una testa così sulla differenziata - scherza -, nostra figlia di 12 anni è stata educata tanto che sgrida i compagni a scuola. Torino è una città pulita, però mi rendo conto che non sia ancora entrato nella nostra cultura la raccolta diversificata dei materiali».
L’antologia dei rifiuti.
I 22,5 chili di immondizia, presi in braccio da Albana che poi è salita sulla bilancia per misurarli, sono così suddivisi: 5 che potevano finire nell’organico, 5 nella plastica, 5 nella carta, 2 all’ecocentro (erano due toner per la stampante, comodamente conferiti nel posto sbagliato), 2,5 di vetro e lattine varie e 3 di indifferenziato. Cosa abbiamo trovato nei sacchetti. Di tutto, com’è ovvio. Ma alcuni rifiuti ci hanno colpito più altri. È il caso di quei due cappellini da bimbo griffati Original Marines, uno rosa, uno azzurro, con paperino disegnato sopra e cartellino fresco di negozio che non era mai stato staccato. Dunque, i berretti con para orecchie non erano mai statiusati, prima di essere buttati. Forse un regalo non gradito, chissà.
C’erano poi una maschera bianca di Anonymous, un accappatoio rosa (il cassone dei vestiti è dall’altra parte della strada), delle racchette da tennis, decorazioni natalizie démodé e un bidoncino raccoglirifiuti in plastica, gettato a casaccio non nella plastica. Geniale.
I cattivi esempi
La signora Giusy si ferma a raccontare un’esperienza personale, una ruzzolone in strada per colpa di un mobile basso abbandonato sul marciapiede che non aveva visto e le è costato una brutta botta al ginocchio: «Sotto casa mia - dice - qualcuno del mio palazzo aveva lasciato un porta cd nero vicino al cassonetto. Camminavo spedita e non l’ho notato. Sono inciampata e rotolata a terra. Risultato, un ginocchio gonfio e il negozio chiuso un giorno, perché avevo troppo male per camminare».
Più differenziano, più le Sentinelle, all’opera una volta a settimana nei cassonetti di Vanchiglia (in collaborazione con Amiat) studiano trucchi per educare i torinesi. Come quel ragazzo che arriva tutto trullo con il suo saccone di vestiti e fa per gettarli nel cassonetto dell’indifferenziato. Lo guardano. Lo fulminano. Lo rimproverano. Lui raccoglie la testa tra le spalle, con le mani chiede scusa un po’ vergognoso e attraversa la strada, in direzione di un altro cassonetto, quello giusto.