Aumenta nel 2015 il consumo di petrolio (+2%) ma i petrolieri temono la decarbonizzazione
Dal Preconsuntivo 2015 dell'Unione Petrolifera emerge un buon 2015 caratterizzato dal crollo del prezzo del petrolio ma i petrolieri temono gli impegni presi dall'Ue durante la COP21 di Parigi
07 January, 2016
Il crollo del prezzo del petrolio a circa 50 dollari/barile, dopo quattro anni costantemente sopra i 100 dollari, ha determinato un persistente eccesso di offerta grazie alla produzione di greggio proveniente dagli Stati Uniti che nel 2015 hanno sfiorato i 13 milioni b/g di petrolio, confermandosi così il primo produttore mondiale.
Il crollo dei prezzi è stato di stimolo per la domanda mondiale di petrolio che nel 2015 è stata in crescita del 1,9% rispetto al 2014 nonostante il rallentamento dell'economia mondiale. Infatti nei paesi dell'area Osce è prevista una crescita solo dell'1%.
L'Italia, complice il calo del prezzo del petrolio, ha aumentato la propria dipendenza dal greggio portando al 91% la propria dipendenza petrolifera dall'estero. Il primo paese fornitore risulta l'Arzebaijan e insieme alle altre ex repubbliche sovietiche forniscono all'Italia il 41% dell'import.
Il petrolio si conferma la prima fonte di energia in Italia coprendo il 36% del fabbisogno nazionale, seguito dal gas (33%) e dalle fonti rinnovabili (18%) in calo dopo dieci anni di crescita.
Di conseguenza i prezzi dei carburanti che risentono direttamente e indirettamente dalla quotazione petrolio benzina, diesel e gpl) sono risultati più bassi di 17-20 centesimi al litro rispetto all'anno precedente, con una componente fiscale mediamente cresciuta del 66% per la benzina e 62% per il gasolio, uno dei valori più alti nell'Ue.
I dati sono forniti dall'Unione Petrolifera italiana e sono raccolti all'interno del Preconsuntivo 2015, nel quale i petrolieri italiani si mostrano molto preoccupati della competitività dell'intero settore in virtù degli impegni presi dai Paesi europei durante la Cop21 di Parigi. All'interno del documento si legge:
“Resta infatti irrisolto il tema della competitività e della sostenibilità dell'industria della raffinazione europea che presenta evidenti svantaggi competitivi rispetto ai paesi extra-Ue, come è stato certificato dalle recenti conclusioni del Fitness Check che ha stimato la perdita complessiva di competitività in circa 2 dollari/barile per il solo periodo 2000-2012, senza contare gli ulteriori investimenti che l'industria ha già sostenuto e dovrà sostenere per traguardare gli obiettivi ambientali al 2020 e 2030, confermati dalla posizione europea in occasione della COP21 di Parigi.
Appare ancora scarsa la consapevolezza del ruolo strategico della raffinazione che in realtà si conferma essenziale per accompagnare una transizione sostenibile verso un'economia low-carbon: carburanti e combustibili più ecocompatibili ed efficienti sicuramente ancora indispensabili nel trasporto merci e persone nei prossimi decenni.
La vera sfida è quella di contrastare i cambiamenti climatici e l'innalzamento delle temperature entro i 2° C con misure che siano quanto più neutrali dal punto di vista tecnologico e fiscale”.