Referendum Trivelle, i promotori dell'Election Day: "Alfano dice no ma basterebbe fare un decreto"
Per superare gli ostacoli paventati dal ministro dell’interno basterebbe un decreto da parte di Palazzo Chigi. Legambiente: " “Agevolare la partecipazione dei cittadini alla consultazione è una questione di coerenza"
05 February, 2016
Dopo Greenpeace, che ha lanciato una petizione on line su Change.org, anche Legambiente chiede al governo di accorpare in un’unica data il referendum sulle trivellazioni e il primo turno delle elezioni amministrative previste per la prossima primavera.
Secondo l’associazione, per il cosiddetto Election Day, basterebbe un decreto da parte di Palazzo Chigi così da superare gli ostacoli paventati mercoledì dal ministro dell’interno Angelino Alfano che, a detta del direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani, “sono solo una scusa per complicare la partecipazione dei cittadini alla consultazione referendaria”. Alfano, rispondendo a un’interrogazione di Sel alla Camera, ha detto che per l’accorpamento ci sarebbero problemi tecnici - al referendum sono previsti tre scrutatori per seggio, alle amministrative quattro - ed economici, perché la ripartizione dei costi non è omogenea per i referendum e per le amministrative.
“Agevolare la partecipazione dei cittadini alla consultazione promossa per decidere di non fare nuove trivellazioni petrolifere nel nostro mare è una questione di coerenza - risponde Ciafani - non si può predicare bene a livello internazionale e poi fare il contrario in Italia”.
Inoltre ci sarebbe un notevole risparmio economico di circa 300 milioni di euro, che “nell’ottica della razionalizzazione e della riduzione delle spese dettate dalla spending review, il Governo ha l’obbligo di perseguire”, come sottolinea il primo firmatario dell’interrogazione parlamentare Arturo Scotto.
Nel 2011 si presentò una situazione simile, in occasione della consultazione referendaria su legittimo impedimento, acqua pubblica e nucleare. L’allora governo Berlusconi cercò di evitare che essa coincidesse con le elezioni amministrative, che si tennero il 15 e 29 maggio, mentre il referendum si tenne il 12 giugno. La mossa, come noto, non servì per dissuadere i cittadini a partecipare.
E mentre la battaglia per la consultazione va avanti – il 14 febbraio è prevista, in proposito, un’assemblea nazionale a Roma -, la Corte Costituzionale ha pubblicato le sentenze con le quali, lo scorso 19 gennaio, ha dichiarato ammissibile il referendum. Con la sentenza 17/2016 la Consulta da l’ok al quesito numero 6 e permette ai cittadini di andare alle urne per evitare che i permessi già accordati ai petrolieri entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la «durata della vita utile del giacimento». Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile concedere permessi di ricerca o sfruttamento.
“Il quesito referendario – spiega la Corte – non comporta l’introduzione di una nuova e diversa disciplina, proponendosi un effetto di mera abrogazione al fine di non consentire che vi siano deroghe ulteriori rispetto alla durata dei titoli abilitativi già rilasciati. E – aggiunge – qualora l’effetto del referendum fosse di abrogazione, la salvaguardia ambientale resterebbe comunque oggetto di una apposita disciplina normativa, anche di origine europea”.
Con la sentenza 16/2016, invece, la Corte dichiara estinto il giudizio di ammissibilità dei primi cinque quesiti referendari, sulla scia del pronunciamento della Cassazione dello scorso 7 gennaio. Tuttavia, sottolineano i giudici “resta impregiudicata la possibilità” di un “ricorso per conflitto di attribuzione avverso l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum”.
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