Comitato No Triv: "Il referendum non crea affatto crisi occupazionale"
"Raccontare che migliaia di posti di lavoro sarebbero a rischio a causa della vittoria dei Sì non è corretto. Il lavoro è un problema che esiste da molto prima del Referendum e chi è del settore lo sa benissimo”
14 March, 2016
"Se il Referendum è preso a pretesto per puntare i riflettori sull'inconsistenza di una classe politica incapace di governare l'economia e di fare uscire il made in Italy dalla crisi, ben venga. Ma da qui a raccontare che migliaia di posti di lavoro sarebbero a rischio a causa della vittoria dei Sì, ne corre parecchio. E’ un problema che esiste da molto prima del Referendum e chi è del settore lo sa benissimo”.
È quello che dichiara Enrico Gagliano, del Coordinamento Nazionale No Triv. Il referendum non crea affatto crisi occupazionale, come invece stanno cercando di far credere i sostenitori delle fonti fossili. Il prof. Alberto Clò, uno dei più noti tra gli avversari del Referendum, riferendosi alla filiera dell'Oil & Gas, l’ha definita come "… un’industria che già attraversa gravi difficoltà per il crollo del mercato che ha fatto seguito a quello dei prezzi del petrolio, con molte imprese che stanno chiudendo e licenziando, nell’assoluto silenzio della politica e delle istituzioni".
L'ex ministro dell’Industria, non sottolinea però che il settore patisce una crisi determinata non dal Referendum, ma dalla mancanza di una seria politica industriale, a cui negli ultimi anni nessun Governo, compreso quello in cui egli era in carica, è stato capace di porre rimedio.
“Negli ultimi anni i dati sullo stato di salute dell'upstream e del downstream tricolori non sono mai stati incoraggianti. Ad esempio, la crisi delle raffinerie perdura dal 2009: con i suoi -4 miliardi di euro in tre anni, stabilimenti utilizzati solo al 70% della capacità e rischio fallimento per il 60% delle aziende che lavorano nell'indotto , la raffinazione nazionale ha lasciato a casa migliaia di lavoratori", aggiunge Gagliano.
E quale sarebbe la risposta italiana alla sfida della trasformazione dell'industria? “Secondo Eni sarebbero le "green refineries" - aggiunge Salvatore Mauro, del Coordinamento Nazionale No Triv-. E infatti quella di Gela è ancora al palo e ci resterà per chissà quanto tempo ancora. Se Descalzi, nominato da Renzi, ha deciso fin dal suo insediamento che ENI deve dimezzare la sua capacità di raffinazione, questo non dipende dai "comitatini", ma dal cane a sei zampe e dal Governo. Idem per gli 8mila licenziamenti annunciati l'estate scorsa e per la crisi di Saipem, salvata di recente dalla Cassa Depositi e Prestiti. Cosa c'entra il Referendum del 17 Aprile con tutto questo?”.
Quello che sostengono manager o consulenti di aziende dell'Oil & Gas, Eni compresa, che dovrebbero trovarsi sul banco degli imputati, non regge. Prolungare le attività estrattive fino a esaurimento del giacimento per le 36 concessioni produttive (di cui 5 riguardano il petrolio) che insistono in zone marine poste entro il limite delle 12 miglia non sarà affatto decisivo per i destini delle aziende dell'indotto, nè per garantire continuità nella produzione nazionale di gas.
"Questa testi è del tutto priva di fondamento - argomenta Roberta Radich, del Coordinamento Nazionale No Triv-, considerando le proroghe in essere, le attività estrattive proseguirebbero fino alla scadenza naturale del permesso o della concessione. La durata media residua dei titoli si attesta sui 6 anni, con punte massime anche di 11".
Queste concessioni hanno raggiunto i rispettivi picchi di produzione diversi anni fa e contribuiscono oggi per il 20% alla produzione di gas in Italia. Per i No Triv, è da irresponsabili far balenare l'idea che l'indotto possa ritrovare slancio e garantire lavoro stabile in Italia puntando su vecchie concessioni che si avviano al fine vita, mettendo fuori gioco il Referendum con ogni mezzo o battendo nell'urna i "comitatini" e le Regioni dissidenti.
Qual è il percorso da seguire? "L'alternativa è sfruttare il tempo rimasto per progettare una riconversione in senso ecologico del settore, per ripensare la Strategia Energetica Nazionale e per ridisegnare il futuro energetico del Paese, puntando su ricerca ed innovazione tecnologica, sullo stoccaggio di energia, su reti e città intelligenti, su efficienza energetica e fonti rinnovabili, quelle stesse a cui i vari Governi hanno imposto come tributo, dal 2013 ad oggi, il taglio di 60mila posti di lavoro "nell’assoluto silenzio della politica e delle istituzioni" ed anche di chi oggi - Presidente di Assoelettrica in testa - si straccia le vesti per l'Oil & Gas" conclude la Radich.
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