La colpa dello spreco alimentare non ricade su chi fa la spesa
I supermercati sostengono che le famiglie sono responsabili del cibo finito in pattumiera ma, in realtà, è il loro sistema a generare un surplus
18 June, 2016
di Joanna Blythman
Lo scorso anno, il cibo sprecato da Tesco (grande catena di supermercati inglese – N.d.T.) è stato di circa 60 mila tonnellate, l’equivalente di 119 milioni di pasti, con un aumento del 4 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti. Da questo possiamo dedurre che l’impegno di Tesco nel ridurre i rifiuti commestibili non sta ancora producendo risultati concreti. Tesco si sta comportando peggio delle altre catene di distribuzione? Non si sa, perché gli altri supermercati non hanno reso noti i dati sullo spreco alimentare. Si suppone, tuttavia, che se avessero qualche elemento positivo da pubblicare, lo avrebbero fatto.
Lo spreco di Tesco possiede senza dubbio contorni grotteschi. PR ed esperti in comunicazione aziendale, tuttavia, plaudirebbero alla maestria con cui questa catena di distribuzione è riuscita a deviare le critiche. Il giorno stesso in cui sono stati pubblicati i deprimenti risultati sulla lotta allo spreco di cibo, il direttore esecutivo di Tesco, Dave Lewis, ha indetto una riunione sulla fornitura alimentare nella quale ha esortato le aziende a darsi da fare per ridurre gli sprechi. Dopo avere passato la palla dello spreco ai fornitori, Lewis ha ripetuto uno dei refrain più frequenti: la colpa è dei consumatori. “Lo spreco alimentare avviene soprattutto nelle case, però l’industria deve fornire il buon esempio”. Ed ecco bell’e pronto il copione da recitare sullo spreco alimentare: i consumatori sono dissoluti, i fornitori devono imparare a impegnarsi di più e Tesco, invece, guida l’avanguardia nella lotta allo spreco.
E se per caso qualcuno non trovasse questa trama credibile al cento per cento, ecco sopraggiungere un ulteriore intreccio: Tesco promette di redistribuire tutto il suo cibo commestibile invenduto agli enti di beneficenza a partire dal 2017. Dare una riverniciatina al problema dello spreco, facendolo diventare la soluzione al problema dell’indigenza è una tattica sempre più utilizzata da tutti i maggiori supermercati. Dal punto di vista dei PR dei supermercati, il termine “indigenza alimentare” dovrebbe apparire costantemente affiancato a “spreco alimentare dei supermercati” per fare indossare ai rivenditori il ruolo di filantropi che utilizzano il loro potere aziendale per il bene comune. È un qualcosa di utile, con la quale ammantare di santità tutti gli scambi commerciali.
La strategia per prevenire lo spreco non dovrebbe mai essere confusa con la strategia che punta a ridurre la povertà. Le briciole che cadono dalla tavola dell’uomo ricco rappresentano una risposta superficiale e autocompiacente alla realtà inaccettabile che vede milioni di cittadini incapaci di permettersi di mangiare cibo buono e fresco. Inoltre, l’arringa sull’indigenza alimentare sposta l’attenzione da un fatto essenziale riguardo ai supermercati, un elemento che dobbiamo comprendere e digerire fino in fondo se vogliamo progredire nella giusta direzione: lo spreco è parte integrante del sistema di distribuzione dei supermercati. Quando i supermercati hanno iniziato a colonizzare il mercato dell’alimentare all’inizio degli anni Ottanta, sembravano costituire un modo nuovo ed efficiente per nutrire la nazione. Promettevano grandi risparmi grazie al loro potere di acquisto collettivo e al sistema distributivo in grado di portare ogni prodotto agricolo del pianeta sui loro scaffali, 365 giorni all’anno. Questo modello di fare la spesa, ci avevano assicurato, avrebbe prodotto dividendi per i consumatori sotto forma di prezzi più bassi e convenienti. Chi ha bisogno dei piccoli negozio indipendenti se le grandi catene possono nutrire in modo più efficiente e con costi inferiori?
Quattro decenni dopo, è diventato chiaro che i supermercati erano incapaci di rispettare queste promesse. Come mai? Perché sono dei dinosauri, bloccati in un sistema intriso di problemi. Uno di questi è lo spreco alimentare. Invece di scoraggiarlo, il modello di business dei supermercati lo genera. Non esistono statistiche sul livello di spreco di cibo dei nuclei familiari che risalgano a prima dell’era dei supermercati, ma mi azzarderei a sostenere che a quel tempo si sprecava meno. Le nostre pattumiere hanno iniziato a riempirsi fino all’orlo quando, invece di comperare poco e solo quello di cui c’era bisogno ogni uno o due giorni, siamo stati persuasi ad adottare lo stile di shopping “da supermercato”. In teoria, con una lista della spesa, potremmo comprare tutto il cibo di cui abbiamo bisogno per una settimana. Oggigiorno, con gli ordini online è ancora più semplice. Basta premere l’opzione “come settimana scorsa”. I supermercati, in realtà, ci spingono a non fare caso a quello che già abbiamo in casa, e a comprare più di quanto abbiamo bisogno. Ci incoraggiano a tirare a indovinare quanto cibo consumeremo in una settimana invece di affrontare quello che è già presente all’interno dei frigoriferi e nelle dispense.
Se i rimasugli dalla spesa della settimana precedente sono ancora dentro il frigorifero quando il camioncino del supermercato arriva sotto casa, la maggior parte delle persone li butterà via perché ha imparato a credere, grazie alle politiche sulle etichette portate avanti dai supermercati, che soltanto i loro esperti possono esprimere un giudizio sulla freschezza degli alimenti. Una volta annusavamo il latte e sbucciavamo il formaggio per eliminare la muffa, adesso viviamo nella paura di essere avvelenati. Ma le date di scadenza sono state introdotte dai supermercati come strumenti per fare ruotare gli alimenti, non come difese contro il possibile avvelenamento.
Senza dubbio, alcuni cibi venduti nei supermercati costituiscono una seria minaccia alla salute. Circa due terzi dei polli sono contaminati da batteri. Eppure i supermercati, invece di cercare di sradicare l’infezione all’origine, nelle fattorie e negli allevamenti, puntano il dito sul modo in cui queste carni vengono cucinate a casa. Sono sistemi che, a loro modo di vedere, non riescono a eliminare i batteri. Senza dimenticare, poi, che sono stati proprio i supermercati a limitare di molto le abilità culinarie passando il messaggio che il tempo scarseggia, soltanto perché vogliono vendere maggiori quantità di cibo preconfezionato o precotto.
Battaglioni di comitati, organizzazioni non-governative, agenzie governative ed enti benefici vedono i supermercati come loro alleati nella lotta allo spreco alimentare ma, in realtà, sono una parte consistente del problema. Se dobbiamo fermare lo spreco alla fonte, dobbiamo imparare da chi punta a rilocalizzare e ridimensionare la nostra catena alimentare. Il modello di acquisto del supermercato, portato avanti da immensi punti vendita, consumi spropositati, viaggi e carichi in automobile, conti stratosferici e immondizia putrida che straborda dalle pattumiere, non può essere quello appropriato per affrontare le sfide del ventunesimo secolo. I supermercati sono strutturalmente incapaci di tagliare lo spreco alimentare in modo radicale, semplicemente perché lo spreco è una conseguenza del loro modus operandi.
Fonte: theguardian.com
Traduzione: Laura Tajoli