LETTI PER VOI - Notizie da un pianeta Rovente. Febbre alta sul pianeta Terra
Il libro di Mark Lynas, un inchiesta sul rapido deterioramento delle condizioni del globo - da Il Manifesto del 09.10.2005
11 October, 2005
Enrico Maria Massucci
Frutto di una inchiesta sul rapido deterioramento delle condizioni del globo, il volume di Mark Lynas, Notizie da un pianeta rovente, documenta la messa in crisi dei quei fattori minimi che garantiscono l'abitabilità
Fosse stato più sensibile alle esigenze «editoriali», Mark Lynas avrebbe atteso qualche mese, prima di consegnare il suo volume alle stampe. Dopo «Katrina» avrebbe potuto dargli quel carattere di istant book, che ben si adatta agli «inseguimenti» dell'attualità da parte dell'industria libraria, a prescindere dalla gravità effettiva dei temi trattati. Questa volta, tuttavia, di «gravità» può ben parlarsi, a cominciare dal carattere cruciale dell'argomento trattato, dalle implicazioni strategiche che esso mobilita e dalle evidenze documentali che il giornalista snocciola. E la sua aderenza alle specifiche emergenze dell'epoca solo con una certa misura di superficialità può essere ridotta al carattere congiunturale del tema stesso, coinvolgendo in realtà i destini finali della biosfera, nella loro accezione più drammatica, in conseguenza dei criminali abusi da parte dell'«uomo». Infatti, se leggere oggi quanto Mark Lynas scrive a proposito del rischio-uragano per la città di New Orleans lascia interdetti per la facilità della previsione lanciata in tempi non sospetti, la sensazione di allarme e sconforto cresce esponenzialmente alla disamina che il suo volume offre relativamente alla macroscopia (e all'accelerazione) delle tendenze in atto riguardo ai fenomeni e agli eventi «naturali» che descrive, e che hanno finalmente cominciato a occupare l'agenda giornalistica in modo meno distratto e periferico di quanto fosse in precedenza. E difatti, quell'allarme non è poi così peregrino o strumentale, come parrebbe dagli interventi di certi «climatologi» da talk-show, ivi traghettatisi da carriere molto più frivole e paludate. O di certi «ambientalisti scettici», come Bjorn Lomborg, pacificato propagandista di un altro migliore dei mondi possibili, al netto della catastrofe ambientale. Anzi: l'allarme cresce assieme alla sensazione che tempo prezioso sia stato sprecato e che i passi sinora effettuati per tentare di arginare le derive distruttive dell'industrialismo altro non siano che blandi provvedimenti senza reale efficacia sull'entità di ciò che sta accadendo, oscillanti tra la complice ipocrisia, l'incapacità culturale di aggredire la sostanza del problema e la colpevole condivisione politica di un mainstream, una cultura dominante permeata di faustiana indifferenza per l'ambiente in nome dell'economicismo e del profitto.
Il volume di Lynas, titolato Notizie da un pianeta rovente (Longanesi, pp. 300, € 20.00) il cui titolo italiano rende più icasticamente la soglia di pericolo che denuncia di quanto faccia quello originale (The New Weather, anodino anche se non privo di un'implicita minacciosità), è il frutto di una inchiesta sul campo, di una personale curiosità e conseguente ricognizione, sui segni tangibili di quel rapido deterioramento delle condizioni del globo, di quelle fenomenologie regressive che documentano il venir meno (sul breve-medio periodo, non nell'orizzonte del «futuro») delle condizioni di abitabilità stessa del pianeta.
Si tratta di fenomeni estremi e inediti, che hanno preso a infestare la superficie della Terra, segnando sintomaticamente le tappe di una degenerazione della biosfera ascrivibile all'innalzamento della temperatura, in conseguenza dell'effetto-serra e dell'alterazione di equilibri delicatissimi (come recentemente confermato ad Amburgo dal Consiglio climatico delle Nazioni Unite): l'intensificazione e la violenza delle precipitazioni a determinate fasce climatiche; lo scioglimento dei ghiacci alle latitudini polari (con l'Alaska a fare «la parte del canarino nella miniera di carbone», dice l'autore) con il correlato innalzamento del livello dei mari; la repentina scomparsa di atolli del Pacifico, con quanto questo significa in termini di sopravvivenza e convivenza («un terzo della popolazione mondiale vive entro cento chilometri dal mare»); i fenomeni di massiccia e accelerata desertificazione (quali quelli che riducono in sconcertante progressione il territorio coltivabile della Cina) e le siccità, vero flagello e «bomba a tempo» dell'intero ecosistema. Tutte evidenze che, nel confermare una «tendenza all'aumento delle zone molto aride o molto piovose in tutto il mondo», descrivono una febbre della Terra, non riassumibile nella contabilità generica, o neutra, della «normale» variabilità del tempo atmosferico nella dimensione della durata, ma allusive di un vero e proprio punto di svolta, di una inaudita congiuntura storica.
Quella stessa congiuntura, che la coscienza inquieta e inascoltata (anche a sinistra) di Sebastiano Timpanaro faceva profeticamente parlare di «perdite secche», con accorato riferimento all'irrevocabilità dei processi invasivi di artificializzazione del bìos e all'irrecuperabilità degli equilibri violati. Quella, che vede compromessa la capacità omeostatica della natura, ovvero di recupero e rigenerazione rispetto a ritmi e modi dell'immissione dei veleni nell'atmosfera stessa. Sulla quale poco può la stucchevole retorica «interclassista» della responsabilità collettiva («siamo tutti colpevoli» - tutti chi?), a fronte della materialità degli interessi economici coinvolti e delle precise, individuabili responsabilità politiche (quali quelle della «mafia petrolifera», fulminante fotografia della cricca di Washington, che ha affondato il timido protocollo di Kyoto, nonostante i suoi «obiettivi tristemente inadeguati», come la «minuscola riduzione delle emissioni»).
«Velocità di declino» e «tassi di perdita», convincono Lynas di una radicalità della crisi in atto a causa del riscaldamento globale in conseguenza dell'uso dissennato dei combustibili fossili. E l'estrapolazione al futuro delle tendenze in atto gli fa adombrare con «sconfortante chiarezza» una diagnosi che la comunità più avvertita degli studiosi ha già fatto propria. Come la terapia, che non può limitarsi ai placebo delle «targhe alterne» e delle piste ciclabili. Se è anche solo lontanamente vero quanto ha scritto nel 1999 Alberto Di Fazio, secondo il quale «le variazioni climatiche che stiamo subendo adesso» sono dovute alla anidride carbonica «che abbiamo emesso fino ad 80 anni fa, e quella che stiamo emettendo adesso produrrà i suoi effetti fra 50-80 anni», appaiono tragicamente attendibili le parole con le quali Hobsbawn conclude il suo Secolo breve: «siamo giunti ad un punto di crisi storica. Le forze generate dall'economia tecnico-scientifica sono ora abbastanza grandi da distruggere l'ambiente, cioè le basi materiali della vita umana. (...) Il mondo deve cambiare. (...). E il prezzo del fallimento, vale a dire l'alternativa a una società mutata, è il buio».
Un promemoria per la politica, concluderemmo con Huizinga, che già nel 1935 avvertiva: «È necessario che gli uomini di oggi si rendano conto di quanto sia già progredita la dissoluzione che ci minaccia». Ma la «politica», l'ha capito?
patek philippe aquanaut replica : http://www.taywatches.com/4-swiss-made-patek-philippe-aquanaut-replica-watches.html