Riutilizzo rifiuti: un patrimonio sottovalutato che vale l'1% del PIL, da incrementare e valorizzare
Numerose iniziative potrebbero essere messe in campo per valorizzare adeguatamente questo tesoro tra cui le raccolte dedicate e dello sviluppo di centri di riuso. Il quadro normativo, poi, dovrebbe riconoscere pienamente il ruolo centrale di questa filiera nell’economia circolare
20 March, 2018
E’ stato presentato il 20 marzo all’Hotel Nazionale a Roma il rapporto sul riutilizzo dei rifiuti urbani in Italia realizzato dal Centro di Ricerca Economica e Sociale “Occhio del Riciclone” in collaborazione con Utilitalia. Un'attività, quella del riutilizzo, ancora molto sottovalutata da politica e istituzioni e che, se sostenuta e incentivata, apporterebbe ingenti benefici economici e ambientali a livello nazionale.
Si calcola che i beni durevoli riutilizzabili (considerando solo quelli in buono stato e facilmente collocabili sul mercato) presenti nel flusso dei rifiuti urbani superino le 600.000 tonnellate all’anno, circa il 2% della produzione nazionale di rifiuti. Si tratta di mobili, elettrodomestici, libri giocattoli e oggettistica che, in mancanza di un quadro normativo chiaro e capace di favorire la strutturazione di vere e proprie filiere, non vengono quasi mai riutilizzati. Si tratta di un danno economico di 60 milioni di euro se si calcola soltanto il costo dello smaltimento di questi materiali.
Molto di più sarebbe poi il valore delle merci che potrebbero essere reimesse sul mercato e che, secondo le stime presentate da Pietro Luppi, Direttore dell’Occhio del Riciclone, svilupperebbe un mercato complessivo superiore a 18 miliardi di euro l’anno (pari all’1% del PIL nazionale).
Numerose iniziative potrebbero essere messe in campo per valorizzare adeguatamente questo tesoro, tra le quali sono state indicate quelle delle raccolte dedicate e dello sviluppo di centri di riuso, adiacenti ai centri di raccolta dei rifiuti differenziati, che sarebbero in grado di intercettare e valorizzare i beni durevoli riutilizzabili. Il quadro normativo, poi, dovrebbe riconoscere pienamente il ruolo centrale di questa filiera nell’economia circolare.
Attualmente la filiera già sviluppa numeri e valori interessanti: considerando esclusivamente il settore dell’usato composto da negozi in conto terzi, ambulanti, rigattieri e organizzazioni no profit la stima complessiva del giro d’affari è di circa 2-3 miliardi di euro, quella occupazionale è compresa tra 80mila e 100 mila addetti e un volume complessivo di materiali recuperati pari a 500.000 tonnellate l’anno.
Nel corso della mattinata diversi sono stati gli argomenti trattati interessanti e significativi:
Alessandro Strada dell’organizzazione no profit Humana ha presentato il caso della raccolta dei vestiti usati sottolineando:
da un lato che solo il 2% dei 14kg all’anno di indumenti procapite acquistati in anno dai consumatori italiani vengono recuperati e reimmessi sul mercato;
dall’altro che per è necessario puntare su tre fondamentali drivers motivazionali, rappresentati dal valore solidaristico, dalla sicurezza e fiducia del destino dei materiali raccolti, della tracciabilità della filiera e dalla comunicazione chiara e trasparente dei diversi protagonisti della gestione dei flussi dei materiali.
Alessandro Giuliani della società di ricerche Leotron – azienda specializzata nel mercato dell’usato in conto vendita, ha illustrato la mappa percettiva del mercato dell’usato individuando otto diversi sistemi di atteggiamenti sintetizzati coi termini rifiuto, cheap, scoperta, ricordo, smart, ecologico, elite.
Aleramo Virgili della rete ONU (Rete nazionale degli Operatori dell’Usato) ha ricordato i quattro elementi fondamentali che caratterizzano l’azione dell’insieme degli operatori della rete:
il contributo alla qualità dell’ambiente determinato dalla diminuzione dei rifiuti ottenuta;
il ruolo di ammortizzatore sociale perché attraverso il commercio dell’usato possono accedere a beni persone che altrimenti non potrebbero acquistarli;
la funzione di inserimento sociale di persone che grazie a questa attività economica possono uscire da una condizione di marginalità;
la capacità di aggregazione sociale dei luoghi dell’usato dove si realizza l’incontro e lo scambio tra persona appartenenti a tutti i ceti sociali e alle moltissime nazionalità presenti sul territorio nazionale.
A tale proposito è stato citato come esempio particolarmente significativo il caso positivo del Baloon di Torino che rappresenta un caso importante di integrazione sociale, riutilizzo di uno spazio urbano e di emersione e regolarizzazione di un sistema di micro-economia informale.