Sacchetti riutilizzabili per ortofrutta. Comuni Virtuosi: ‘La GDO prima di muoversi vuole avere la certezza matematica che sia permesso’
La norma entrata in vigore il primo gennaio scorso per i sacchetti ultraleggeri, ha portato anche al centro del dibattito l'opzione del riuso. Allo stato attuale quali sono gli spazi per il riutilizzabile nell’ambito dell’ortofrutta nei reparti della GDO? Risponde Silvia Ricci, responsabile campagne ACV
19 April, 2018
La norma entrata in vigore il primo gennaio scorso per i sacchetti ultraleggeri, ha portato anche al centro del dibattito l'opzione del riuso. Tuttavia, tra pareri e sentenze rimane ancora irrisolto il nodo “igiene”, lasciando ancora un margine di incertezza sull’utilizzo di sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta. Da tempo L’Associazione Comuni Virtuosi chiede alla GDO che i consumatori possano acquistare frutta e verdura sfuse usando sacchetti riutilizzabili o in alternativa, vista l'incertezza normativa, degli appositi cestelli ortofrutta disponibili nel reparto. Chiediamo in questa intervista a Silvia Ricci, responsabile campagne dell'associazione di fare il punto della situazione.
Innanzitutto perché è stata la Coop Svizzera invece che qualche insegna italiana a sdoganare il riuso dei sacchetti nel settore ortofrutta?
Domanda più che pertinente visto che l'iniziativa che la Coop Svizzera ha lanciato lo scorso anno non è un'idea nuova per noi visto che chiediamo dal 2010 alla GDO di mettere a disposizione un sacchetto riutilizzabile con l'iniziativa “Mettila in rete”, parte della storica campagna Porta la Sporta.
Ma non solo, anche le più recenti iniziative anti-plastica portate avanti da coalizioni internazionali come Break Free From Plastic e Greenpeace, che invitano le persone a rinunciare alla plastica usa e getta richiamano le proposte fatte all'industria e alla GDO con “Meno Rifiuti più Risorse in 10 mosse” nel 2012.
Questa iniziativa, lanciata in un momento in cui la consapevolezza sull'inquinamento da plastica non era così diffusa come oggi, chiedeva infatti alla prima mossa di riprogettare i prodotti e gli imballaggi di domani con una visione di sistema. Solamente riprogettando i sistemi di distribuzione e commercializzazione dei beni è possibile addirittura eliminare l'imballaggio, ad esempio attraverso il riuso dei contenitori.
Purtroppo gli stili di vita e di consumo non stanno andando verso una riduzione degli imballaggi e dello spreco in generale. Al contrario, le offerte sempre più allettanti di alimenti pronti e a breve scadenza che si trovano nei supermercati o disponibili online spingono verso un maggior consumo che spesso si trasforma in un doppio spreco di imballaggi e cibo. Tesi da noi sostenuta da tempo ed oggetto di un recente studio di Zero Waste Europe.
Il recente parere del Consiglio di Stato ha avuto qualche effetto sulle insegne della grande distribuzione che avevano annunciato ad inizio anno di voler considerare l'introduzione di una soluzione riutilizzabile sull'esempio dell'iniziativa di Coop Svizzera?
Fondamentalmente no perché la grande distribuzione organizzata prima di muoversi in tal senso, come ci hanno spiegato alcuni nostri contatti all'interno della GDO, vuole avere la certezza matematica che il riutilizzo sia permesso. Nel parere continuano a sussistere richiami alla necessità che il contenitore debba essere conforme alla normativa dei materiali a contatto con gli alimenti che esclude di fatto il riutilizzo a favore del monouso. Infatti, anche qualora un sacchetto riutilizzabile ottenesse la certificazione di idoneità al contatto alimentare questa varrebbe solamente per il primo utilizzo perché successivamente il sacchetto potrebbe venire colonizzato da batteri e altri microrganismi (al pari di tutte le superfici degli ambienti che frequentiamo) e pertanto non essere più idoneo.
E ormai improrogabile che arrivi dal Ministero alla Salute un chiarimento che faccia distinzione tra i requisiti di idoneità al contatto alimentare richiesti da un imballaggio a diretto contatto con alimenti pronti al consumo e i requisiti che deve avere un imballaggio a contatto con alimenti che devono essere lavati e/o privati dalla buccia come l'ortofrutta.
In caso contrario, come in parte suggerito dalla ricercatrice Virginia Cravero da voi intervistata, i ministeri dovrebbero farsi carico di uno studio che dimostri che i sacchetti riutilizzabili introdotti dai clienti possono creare problemi sanitari introducendo microorganismi più pericolosi di quelli che già si trovano sulle altre superfici con cui si entra in contatto nei supermercati, dai carrelli, agli schermi delle bilance e così via. Se si vuole permettere il riutilizzo dei contenitori nel settore alimentare dei prodotti freschi è probabilmente necessario un intervento legislativo che sollevi il rivenditore dalla responsabilità di eventuali tossinfezioni riconducibili all'utilizzo del contenitore portato dal cliente. e non causate quindi dall'alimento venduto, a meno che non si verifichi ovviamente il caso di più persone colpite da una stessa tossinfezione dopo aver consumato uno stesso lotto di prodotto.
Come richiamato nello stesso vostro articolo servirebbe un intervento del legislatore equiparabile a quello avvenuto con la cosiddetta legge Gadda n. 166/2016 che ha messo a capo delle ONG che distribuiscono alimenti a scopo benefico la responsabilità della sicurezza alimentare della fase di trasporto, conservazione e utilizzo degli alimenti sollevi il rivenditore dalla “responsabilità di percorso” .
E' vero che in altri paesi europei non è obbligatorio utilizzare i guanti nel reparto ortofrutta e non ci sono divieti per i sacchetti anche riutilizzabili portati da casa?
Sì è vero: negli altri Paesi europei non è obbligatorio utilizzare i guanti nel reparto ortofrutta e non ci sono divieti per i sacchetti riutilizzabili portati da casa. Tuttavia, fatta eccezione per la Coop Svizzera, non ci sono insegne della GDO che hanno introdotto in tutti i loro punti vendita un sacchetto o retina riutilizzabile. Laddove si trovano, si tratta di singole iniziative nelle Fiandre, Francia e Germania da parte di qualche insegna, su cui però non è stato possibile avere dei resoconti.
Perché la GDO non ha aderito a Mettila in rete e perché il riuso incontra così tanti ostacoli?
Quando proponemmo alla GDO “mettila in rete “ evidentemente i tempi non erano abbastanza maturi per implementare il sistema e in particolare per spingere le insegne a trovare le soluzioni ad alcune piccole criticità, peraltro risolvibili, come la gestione di due tare (riutilizzabile e monouso) e per sviluppare un proprio sacchetto riutilizzabile. A dire il vero, subito dopo il lancio di mettila in rete, una nota insegna aveva presentato internamente un progetto per introdurre una soluzione riutilizzabile in tutti i suoi punti vendita che però non è decollata per l'opposizione del direttore alle vendite. Nonostante alcune insegne come Simply, Conad Leclerc, Coop, Gruppo Gabrielli, avessero valutato un'adozione o effettuato qualche singolo progetto pilota, l'iniziativa non ha preso piede come in Svizzera.
La situazione di stallo attuale sul fronte della prevenzione del rifiuto da imballaggio dimostra che l'industria difficilmente attua volontariamente azioni che prevedano il riutilizzo, a meno che non ci siano incentivi o disincentivi economici, oppure la necessità di conformarsi ad una legislazione. Questo provvedimento rendendo onerosa le cessione del sacchetto aveva infatti spinto qualche insegna della GDO a gennaio a valutare l'opzione riutilizzabile ma poi gli interventi successivi dei ministeri hanno congelato ogni “entusiasmo”.
Quali sono i vostri piani rispetto a questa iniziativa?
Come associazione manteniamo la barra dritta sul riuso e abbiamo proposto alla GDO di sviluppare da subito un sistema che renda possibile pesare l'ortofrutta sfusa, portarla alla cassa e trasferire i prodotti in proprie borse sollevando i supermercati da qualsiasi responsabilità. Non è praticabile con tutte le referenze ma permette una buona riduzione del monouso.
E' sufficiente, anche in collaborazione con le aziende che già si occupano del trasporto e sanificazione delle cassette lavabili e riutilizzabili in cui si trova esposta l'ortofrutta, dotare i reparti di cestelli ortofrutta con supporto dove apporre le etichette. Questi cestelli che verrebbero regolarmente sanificati diventerebbero, al pari delle cassette riutilizzabili, dei contenitori idonei al contatto e trasporto dell'ortofrutta. E se poi dovesse arrivasse dai ministeri il via libera per l’utilizzo di sacchetti riutilizzabili, il cestello rimarrebbe comunque uno strumento al servizio dei clienti per trasportare i sacchetti o la frutta sfusa fino alle casse. Come associazione aderente alla piattaforma europea multi-stakeholder Reloop continueremo a promuovere gli imballaggi riutilizzabili sia primari che commerciali (secondari/terziari).