Inceneritori, il Tar sospende e rinvia lo Sblocca Italia alla Corte Ue
Il Tar Lazio ha deciso di rinviare alla Corte Ue il decreto Sblocca Italia, che prevede 8 nuovi impianti in 7 regioni, sospendendo la sua decisione sul ricorso presentato. Il nodo principale è aver consideratodi “preminente interesse nazionale” la termovalorizzazione senza riconoscere un ruolo simile a riciclo e riuso
27 April, 2018
Stop a nuovi inceneritori. Almeno per ora. Il Tar del Lazio ha infatti deciso di rinviare alla Corte Ue il decreto Sblocca Italia, che prevede 8 nuovi impianti in 7 regioni, sospendendo la sua decisione sul ricorso presentato da Verdi Ambiente e Società; Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare; il comitato Donne 29 agosto; l’associazione Mamme per Salute e Ambiente Onlus, queste ultime difese dall’avvocatessa Carmela Auriemma, già consigliera comunale del Movimento 5 stelle di Acerra.
Due i passaggi su cui i giudici comunitari dovranno pronunciarsi. Innanzitutto il fatto che la legge italiana abbia considerato di “preminente interesse nazionale” la termovalorizzazione senza riconoscere un ruolo simile “agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti” stabilita dalla Direttiva 2008/98/CE.
Poi la mancata sottoposizione a Valutazione ambientale strategica del Dpcm impugnato, “dato che la riconducibilità di tale provvedimento alla richiesta valutazione può emergere solo a seguito della pronuncia sul punto della Corte adita”, rimarca il Tar.
Sul primo punto, il Tribunale “rileva che la normativa italiana ora evidenziata possa porsi in contrasto con quella eurounitaria pure sopra riportata e, in assenza di giurisprudenza specifica sul punto e in assenza di un’evidenza tale da non lasciare alcun ragionevole dubbio, ritiene in particolare che l’incremento della portata della termovalorizzazione e incenerimento e la definizione dei relativi impianti come 'infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale' possano porsi in violazione dei su ricordati articoli 4, 13 e 16 della Direttiva 2008/98/CE - ponendosi questa come questione rilevante per la decisione del merito della presente controversia che chiede l’annullamento del dpcm impugnato – soprattutto perché analogo riconoscimento non è stato esteso agli altri impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, non ostante la loro preminenza nella 'gerarchia dei rifiuti' di cui alla richiamata Direttiva, da intendersi eventualmente come direttamente applicabile e vincolante per tutti gli Stati membri dell’Unione”.
Il Tar sottolinea inoltre che la prevalenza allo smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento “potrebbe porsi in violazione anche dei principi di 'precauzione' e di minore impatto sulla salute umana e sull’ambiente, di cui all’art. 13 della Direttiva 2008/98/CE”.
Passando al secondo punto, i giudici italiani rammentano che “nell’Allegato I al Dpcm è rideterminata la capacità di trattamento dei rifiuti nei quaranta impianti di incenerimento in essere (su quarantadue esistenti e operativi sul territorio nazionale) come elencati nella Tabella A, consentendo a tali impianti l’aumento dell’attività fino all’esaurimento della rispettiva capacità organizzata, con incremento, quindi, dell’attività di incenerimento e dei suoi effetti sull’ambiente e con riclassificazione anche degli impianti in essere da “D10” a “R1” (da Smaltimento a Recupero di energia), senza che tali incrementi e modifiche siano passati al vaglio di una procedura di Vas”. Ciò “esclude che il Dpcm impugnato si sia limitato a una mera attività ricognitiva e fa sorgere il dubbio di compatibilità eurounitaria che le originarie procedure di Vas sugli impianti in essere (peraltro riclassificati “R1”) possano essere considerate tuttora valide”.
Le parti ricorrenti, prosegue l'ordinanza, hanno anche evidenziato, attraverso un parere della Isde Italia (“International Society of Doctors for Environment), le cifre che comporterebbe il “surplus” di incenerimento derivato dal dpcm (1.818.000 t/a). “Ne conseguirebbe che questo Dpcm non possa definirsi, quindi, come un mero atto programmatico generale, dato l’immediato e diretto impatto sull’ambiente che ne deriva, senza alcuna possibilità di successiva modifica nella sua architettura generale in sede di programmazione regionale”, dice l'ordinanza.
Da qui il rinvio alla Corte Ue e la conseguente sospensione del giudizio.