L'evoluzione della raccolta dell'organico in Italia dal 2010 al 2016: eccellenze ma anche contraddizioni
Partendo dai dati ISPRA, Andrea Cappello, tecnico Esper, ha analizzato l’andamento delle raccolte della frazione organica nei comuni italiani nel periodo 2010-2016: nell'Italia del "modello Milano" si assiste, in Sicilia, a veri e propri cortocircuiti nelle politiche di molti comuni
12 June, 2018
“Molti comuni hanno superato la soglia dei 100 kg per abitante raccolti ogni anno come sottolineato dal CIC nell’ultimo rapporto Biowaste”. Andrea Cappello, tecnico Esper, ha analizzato l’andamento delle raccolte della frazione organica nei comuni italiani nel periodo 2010-2016. Nel corso dell’analisi, Andrea Cappello ha inoltre elaborato la geolocalizzazione degli impianti di compostaggio e di digestione anaerobica per analizzare produzioni attese ed effettive capacità di trattamento: “Il layer degli impianti è proporzionale alle quantità trattate al 2016 e ci rappresenta su mappa di uno sbilanciamento impiantistico tra il Nord, in sur-capacità, e il Sud, in sotto-capacità”. Nelle immagini è possibile vedere i confronti su scala geografica delle produzioni pro-capite. Di seguito le domande che abbiamo posto al tecnico Esper: Cos’è accaduto in questi sei anni? Quali sono gli elementi principali che emergono dall’analisi dei dati? La frazione organica riveste da sempre la quota più importante nella composizione del rifiuto urbano, giocando un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Direttiva 2008/98/CE, ma un obbligo legislativo di raccolta di questa frazione soltanto di recente è stato introdotto grazie all’approvazione del pacchetto sull’economia circolare. In Italia, benché non vi sia ancora alcun obbligo nazionale, assistiamo ad una continua crescita della filiera: se al 2010 venivano raccolte circa 4,2 milioni di tonnellate di frazione umida e verde al 2016 ne vengono raccolte circa 6,5 milioni, pari al 41% di tutti i rifiuti differenziati. Se ragioniamo in termini pro-capite, l’incremento in questi sei anni è stato di quasi 40 kg per abitante. Complessivamente, la media annuale nazionale ha ormai raggiunto i 107 kg per abitante. Questo dato ci dimostra sia di un consolidamento del sistema di raccolta cosiddetto “secco-umido” sia di un’ottima intercettazione della frazione organica. Non è un caso all’estero che i modelli italiani siano presi a riferimento per la loro capacità di intercettazione di materiale da avviare ai processi di compostaggio. L’incremento maggiore si registra in quelle regioni del Centro e del Sud che in questi anni recuperano parte del ritardo accumulato rispetto il Nord. E’ interessante notare ad esempio come rispetto al 2010 il Lazio, la Puglia, la Calabria e la Basilicata da sotto quota 40 kg/ab.anno oltrepassino quota 80 al 2016. Per il Nord invece assistiamo ad una stabilizzazione delle produzioni: qui complessivamente la media è pari a circa 120 kg/ab.anno mentre per il Centro sfioriamo quota 125, in virtù di una maggiore presenza di frazione organica nella rappresentazione merceologica di questi territori. Al Sud si raggiunge invece quota 75 ma con produzioni regionali molto elevate come quelle della Campania e della Sardegna che risultano al di sopra della quota 120. Occorre notare che a questo aumento delle raccolte del Centro e del Sud però non ha fatto seguito un altrettanto rapido potenziamento dei sistemi impiantistici. Il sotto-dimensionamento nei fabbisogni impiantistici genera flussi interregionali di rifiuti prevalentemente dal Sud verso il Nord. Ad esempio, in Veneto se al 2010 venivano trattate 162.873 tonnellate di frazione umida di provenienza extra-regionale e 25.181 tonnellate di verde (pari al 26% del quantitativo totale di frazione organica) al 2015 se ne arrivano a trattare fino a 450.000 (Report CIC Biowaste 2017, pag. 15). Al 2016 la Campania ha prodotto 708.000 tonnellate di frazione organica trattandone in regione soltanto il 10% (Rapporto ISPRA 2017, pag. 93~99). Ma le movimentazioni di rifiuto avvengono anche tra regioni di aree geografiche limitrofe: ad esempio la Lombardia al 2010 trattava già nei suoi impianti circa il 10% di rifiuti provenienti da produttori extra-regionali ma ne inviava contestualmente fuori regione circa il 26% (PRGR della Regione Lombardia, pag. 125). Tanto più il sistema di trattamento della frazione organica risulta sbilanciato tra domanda e offerta tanto meno risulta applicabile il principio di prossimità per limitare le movimentazioni di questi rifiuti. E gli impatti in termini di sostenibilità ambientale sono evidenti: i trasporti di questi rifiuti avvengono attraverso la movimentazione di grossi camion o autoarticolati che generano un impatto rilevante in termini di produzione di CO2. Oltre alla sostenibilità ambientale, c’è anche quella economica: quali sono le conseguenze in questo senso? Per quanto riguarda l’aspetto economico, in quei territori dov’è forte la carenza di impianti, i comuni devono affrontare da un lato i costi di trasporto ad impianti localizzati al di fuori dei confini regionali e dall’altro tariffe di conferimento mediamente più alte. Ma il libero mercato può determinare situazioni alquanto contraddittorie. E’ ad esempio il caso di alcuni comuni della Regione Puglia che nonostante una presunta autosufficienza impiantistica si sono trovati nelle condizioni di dover avviare fuori regione il rifiuto organico prodotto. Le cause sono da ricercare nella libertà degli impianti nell’accettare o meno rifiuti speciali, quali scarti agroalimentari o fanghi, e rifiuto organico di provenienza extra-regionale. In questa regione inoltre si configura una prevalenza di impianti privati e questo ha generato, a detta dello stesso legislatore regionale, un “oligopolio” di pochi impianti che determinano tariffe di conferimento mediamente più alte rispetto a quelle approvate dagli impianti pubblici (PRGRU della Regione Puglia, Parte II, pag. 10). Per la Puglia, relativamente sola alla frazione umida, in effetti si parla addirittura di un 30 - 40% in più rispetto alla media italiana pari a circa 70 - 80 euro a tonnellata. Dei costi di trattamento molto elevati, quasi in linea con i costi di smaltimento del rifiuto residuo, con un’incidenza non marginale sul costo complessivo del servizio. Non solo, spesso i comuni si trovano a stipulare convenzioni a conferimento “vuoto per pieno” con il rischio di eccedere i quantitativi stabiliti dalla convenzione o di dover corrispondere una tariffa per quantitativi non conferiti. Nel caso in cui il comune dovesse eccedere i limiti stabiliti dalla convenzione si determinerebbe l’impossibilità di conferire all’impianto dovendo avviare in discarica i quantitativi di organico in eccesso: per ragioni logistiche, determinate dal fatto che la frazione umida per Legge deve essere avviata a trattamento entro 72 ore dalla raccolta.
Lo sbilanciamento impiantistico tra Nord e Sud Italia che effetti produce?
Guardando le cartine della produzione e gestione dell’organico in Italia, la Sicilia sembra ferma al palo: cosa accade in questa regione?
La sotto-capacità nei fabbisogni impiantistici per regioni come la Sicilia, che hanno evidenti limiti nel conferire rifiuto organico al di fuori dei confini regionali, determina dei veri e propri cortocircuiti nelle politiche di molti comuni che si trovano a portare avanti piani e progetti per migliorare i sistemi di raccolta e sottrarre rifiuti alle discariche. Più volte i comuni hanno dovuto avviare in discarica il rifiuto organico raccolto separatamente. Il sistema in Sicilia sconta i ritardi nella pianificazione regionale e dei vari sub-ambiti con nefasti effetti sulle politiche comunali. I dati parlano di un calo nei quantitativi di organico intercettato al 2015 rispetto l’anno precedente. Per il 2016 abbiamo una ripresa ma con risultati negativi in alcuni comuni del messinese, del trapanese e del catanese che già al 2010 avevano avviato la raccolta della frazione umida. Di fondamentale importanza in questi contesti poter contare su interventi regionali di pianificazione e incentivazione del sistema impiantistico di pari passo con l’implementazione di una ecotassa che sappia coniugare penalità, per i quantitativi avviati a smaltimento, e premialità, per il rifiuto organico avviato a trattamento sull’esempio della Sardegna. Potrebbe essere questo un esempio da seguire sia per quanto riguarda lo sviluppo della pianificazione impiantistica, la maggior parte degli impianti di trattamento della frazione organica in Sardegna è pubblica, sia per le modalità con cui sono stati individuati gli incentivi a sostegno delle raccolte differenziate, incentivi incamerati grazie all’ecotassa all’interno di un fondo istituito dagli enti titolari degli impianti. Al 2004, anno in cui è stata introdotta l’ecotassa, la Sardegna aveva una raccolta differenziata del 5% mentre già al 2010 aveva raggiunto il 45%. Sei anni dopo aveva superato la soglia del 60%.