Il pasticcio ambientale
L'impatto della legge delega sulla gestione dei rifiuti. Le opinioni degli operatori: "Rischio far west" per Comieco. "Luci e ombre" per Fise, che critica la "confusione tra rifiuti urbani e speciali". Duri gli ambientalisti: "Occasione mancata, parti sociali escluse dal confronto", dicono Legambiente e Wwf - da Ecosportello News del 17.10.2005
18 October, 2005
<b>Alina Lombardo</B>
<b>La storia</B>
Recepimento di sette direttive comunitarie; abrogazione di 32 tra leggi, decreti, disposizioni di legge, Dpr, Dpcm, decreti ministeriali; razionalizzazione, riordino e completamento della legislazione in materia ambientale in Italia. È con questi obiettivi che nasce quel complesso normativo ormai noto come legge delega ambientale. Cinque decreti in tutto, uno per ogni settore: danno ambientale; rifiuti e bonifiche; autorizzazioni ambientali (Via, Vas Ippc); tutela dell'aria; difesa del suolo, lotta alla desertificazione, tutela delle acque e gestione delle risorse idriche. Il tutto, per un totale di 314 articoli, 35 allegati, 650 pagine circa.
Il 3 ottobre scorso, la Commissione di esperti (24 membri ormai comunemente chiamati, a torto o ragione, i "24 saggi") nominata dalla legge n. 308 del 2004 ha approvato con un sì secco votato per via telematica (21 i voti favorevoli) gli schemi dei decreti legislativi. Dal 5 ottobre, grazie a un'iniziativa trionfalmente pubblicizzata come "operazione trasparenza", i testi sono consultabili al sito www.comdel.it e dal 7 ottobre è attivo un forum di discussione con il quale chiunque lo voglia può dare il proprio contributo con critiche, suggerimenti, commenti e osservazioni.
<B>L'iter</B>
Cosa prevede adesso l'iter? Un rapido giro di incontri con enti locali, associazioni e parti sociali; poi un tavolo con Regioni, Province e Comuni a cui seguirà un confronto con i ministeri sulle materie per le quali è prevista la concertazione.
Dopo i confronti, i <b>testi passeranno alla Conferenza Stato-Regioni</b> e alle commissioni parlamentari competenti e, infine, torneranno al Consiglio dei ministri per <B>l'approvazione definitiva</B>. Il tutto, secondo le previsioni del ministero dell'Ambiente, dovrebbe concludersi rapidamente e portare all'entrata in vigore della legge entro gennaio 2006.
Una previsione che appare ottimistica, a giudicare dalla <b>valanga di critiche</b> che continuano a piovere sulle bozze dei decreti che regolano il capitolo rifiuti e bonifiche da parte di tutti i settori interessati: consorzi, società di servizi pubbliche, aziende private, associazioni ambientaliste. Con quali possibilità di farsi sentire? Per le aziende e società gli strumenti sono quelli di sempre: le attività di lobbyng; le associazioni ambientaliste, invece, possono affidare le loro carte alle Regioni: la loro insoddisfazione verso i contenuti delle bozze di decreti è stata ripetutamente ed esplicitamente espressa e, poiché non è previsto un termine ultimo per la consegna del loro parere al governo, la "trattativa" potrebbe rivelarsi molto più lunga di quanto auspicato dal ministro Matteoli.
<b>Rischio far west per Comieco e Rilegno</B>
Cos'ha che non va la nuova bozza di decreto che regola il settore rifiuti e bonifiche? Molto, sia sull'impostazione generale sia sui singoli titoli. Vediamone alcuni.
Di «rischio far west nel sistema della raccolta differenziata e del riciclo» parlano i consorzi nazionali <B>Comico</B> e <B>Rilegno</b> lamentando, all'indomani dell'annuncio dell'approvazione di testi da parte della commissione di esperti, come i «cambiamenti legislativi potrebbero minare il sistema, portando all'esecuzione del servizio solo quando questo si riveli economicamente vantaggioso, abbandonando di fatto le regioni a emergenza rifiuti dove gli elevati costi di trasporto verso i centri industriali del nord rendono antieconomico il sistema».
<B>Rifiuti urbani: obiettivo mancato per Federambiente</B>
Di obiettivo mancato parla l'esecutivo di <B>Federambiente</B>, la federazione cui aderiscono 280 imprese pubbliche d'igiene ambientale che servono <B>30 milioni di italiani</B> raccogliendo due terzi dei rifiuti urbani prodotti ogni anno nel paese. Pur riconoscendo novità apprezzabili rispetto alle prime stesure, per Federambiente le bozze dei decreti legislativi sono ancora <B>molto confusi e rischiano di essere inefficaci e velleitari</B>».
La parte del corpo normativo che più preoccupa la federazione è «il voler nascondere le norme dell'art. 113 del Testo unico degli enti locali che regolano gli affidamenti dei servizi d'igiene urbana, optando per un <B>secco e istantaneo ricorso alle gare</B>». Una scelta che «genera il caos nei Comuni e fra gli operatori, allontanando un obiettivo dichiarato dal ministero, e da noi condiviso, di industrializzazione del sistema-Paese nella gestione dei rifiuti». E nel caos «si aprono varchi a comportamenti scorretti e indesiderati, di cui ogni giorno sono piene le cronache».
Altra cosa, continua la Federazione, «è sospingere la creazione degli Ambiti territoriali ottimali (Ato), separare le funzioni di regolazione da quelle di gestione, pianificare l'introduzione di tecnologie avanzate, favorire l'aggregazione fra gli operatori pubblici e privati, sviluppare l'efficienza e l'economicità delle gestioni». Serve insomma «una <B>politica industriale non ossessionata dal desiderio di annientare il sistema pubblico</B> di gestione ma che invece, proprio facendo premio sul tessuto delle imprese pubbliche, le accompagni all'evoluzione per dotare il paese di una moderna industria nazionale di gestione delle problematiche di tutti i rifiuti».
<B>Luci e ombre per Fise Assoambiente</B>
Opposta la posizione di <B>FiseAssoambiente, l'associazione aderente a Confindustria</B> che raggruppa le imprese private di servizi ambientali: «Non si comprende la contrarietà di Federambiente alle proposte della bozza di decreto sui rifiuti, se non per tutelare rendite di posizione», dichiara in una nota il presidente <B>Giulio Quercioli Dessena</B>. «I privati del settore vogliono crescere e collaborare all'industrializzazione delle gestione dei rifiuti urbani, ma ciò può avvenire solo se le <B>condizioni di mercato sono uniformi,</B> subordinate a verifiche di idoneità delle imprese, cioè a procedure di gara per la scelta del gestore». Per questo l'associazione da tempo sollecita un <B>superamento</B> delle attuali condizioni di mercato caratterizzate dal continuo allargamento, senza gara, <B>dei monopoli pubblici</B>, nella maggior parte dei casi con maggiori oneri per i cittadini. Parallelamente, però - assicura Quercioli Dessena - Fise Assoambiente continua a sostenere la necessità che sia prevista la possibilità di scelta di più gestori per eseguire la pluralità delle attività necessarie alla realizzazione del ciclo integrato dei RU».
Ma se sul nuovo sistema di gare il lavoro governativo trova il plauso di Fise Assoambiente, <B>l'entusiasmo si smorza</B> su altri aspetti della nuova normativa sulla gestione dei rifiuti che «non danno soluzione ad una serie di carenze e distorsioni del mercato ambientale». Il sistema di autorizzazioni, per esempio. «Oggi le difformità esistenti nel rilascio dei provvedimenti autorizzatori - spiega <B>Paolo Cesco, responsabile Ambiente Fise, settore che comprende Assoambiente e Unire</B> - sono molto marcate e determinano grandi e ingiustificate disparità di trattamento sul mercato per le stesse aziende. E la nuova normativa non risponde in modo adeguato alla necessità di identificare una modalità omogenea di rilascio delle autorizzazioni da parte delle autorità competenti affinché utilizzino la medesima "codificazione" per lo smaltimento e il recupero, mi riferisco alle lettere D o R di cui si parla negli allegati del decreto legislativo n. 22 del 1997, per il rilascio agli operatori di medesime autorizzazioni all'esercizio».
Pollice verso anche per la regola, prevista dalla legge delega <b>del "silenzio-diniego"</B> in risposta ad una richiesta di autorizzazione per la realizzazione di impianti. «Com'è possibile - si domanda Cesco - che una richiesta di autorizzazione venga respinta con una non-risposta? La risposta deve esserci, e deve contenere le motivazioni del diniego, in modo da permettere all'interessato di procedere a un ricorso o di modificare in senso corretto la richiesta rifiutata».
Critiche anche per la <b>mancata distinzione tra piani di gestione dei rifiuti urbani e piani di gestione dei rifiuti speciali</B>: «Qui - sottolinea Cesco - la legge delega genera una pesante confusione: <B>la distinzione tra i due piani, così evidentemente differenti tra loro</B>, non si vede né nei criteri né nella definizione. È invece un punto importantissimo, perché pianificare la gestione dei rifiuti speciali significa pianificare l'intero ciclo produttivo». Non mancano poi le amenità, conclude Cesco. Il riferimento è all'«obbligo di utilizzo di trasporto ferroviario per distanze superiori a 200 km e quantità eccedenti le 25 tonnellate. Non ho nulla contro il trasporto ferroviario, ma quando si fanno le leggi bisogna anche <B>tener conto delle infrastrutture che si hanno a disposizione</B>. E l'Italia, oggi, non ha una rete ferroviaria che renda applicabile sempre e comunque una norma come questa». Un'affermazione non condivisa dagli <B>operatori del trasporto merci</B> ferroviario, <b>sentiti da <i>Ecosportello News</I></B>, che sottolineano come la norma sia applicabile eccome. In <b>Svizzera</B> l'obbligo di trasportare su ferro i rifiuti, non solo speciali ma anche urbani, scatta per <B>distanze superiori ai 40 km</b>.
<B>Occasione mancata, il rammarico degli ambientalisti</B>
Scontente, e molto, sono anche le associazioni ambientaliste. «Poteva essere (finalmente!) l'occasione buona per diffondere le buone pratiche sulla gestione dei rifiuti - commenta <B>Lucia Venturi, responsabile scientifica di Legambiente</B> - a cominciare dai Comuni ricicloni, e far decollare il settore delle bonifiche. Invece, quella semplificazione delle norme da tutti auspicata <B>si è trasformata in una deregulation</B> che ci riporta indietro di decenni».
Il testo, infatti, <B>contraddice il principio delle 4 R</B>, sancito dalla normativa europea sui rifiuti e prevede, come unica azione prioritaria prevista la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, mentre il <B>recupero di materia e di energia sono messi sullo stesso piano</B>. «Nel testo - sottolinea Venturi - la <B>logica di almeno un inceneritore per provincia</B>, ripetutamente promossa dall'attuale governo, torna là dove si prevede per gli Ato l'obbligo di autosufficienza degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi, o della presenza di almeno un impianto a tecnologia complessa, secondo una logica di rigidità che non tiene conto dei criteri di efficacia, efficienza ed economicità di gestione».
<B>A rischio</B>, sempre secondo Legambiente, anche il destino delle <b>raccolte della frazione organica dei rifiuti</B>: la raccolta domiciliare viene infatti equiparata alla separazione a valle, mentre si dà <b>via libera ai dissipatori di rifiuti alimentari</B>, nonostante i problemi che questi apparecchi possono creare (vedi Speciale Tritarifiuti) ai sistemi di scarico domestico dell'attuale rete di fognatura e di squilibrio al sistema di depurazione.
<b>No al consorzio unico</B>
Negativo anche il giudizio sull'abbandono del consorzio di recupero unico. Secondo la nuova normativa, infatti, tutti i consorzi, compresi quelli <B>di particolari settori merceologici</b> (oli, batterie, polietilene) <B>restano obbligatori ma non unici</B>. Ma nella legge delega non si parla ad esempio di <B>Coou e Cobat</B>, che comunque sono stati inseriti nella normativa.Cosa c'è di male in questo? «In linea teorica nulla - dice Venturi - ma non è stato facile arrivare ai risultati odierni, e l'arrivo del Conai in una regione come la Sardegna è un ottimo risultato. Avere un unico riferimento per la raccolta, il recupero e il corretto smaltimento dei rifiuti <B>ha l'indubbio vantaggio di consentire controlli più efficaci</B> ed eseguire una raccolta più efficiente. Se i consorzi diventano tanti bisogna ricominciare tutto daccapo, e con risultati resi ancora più incerti dal fatto che il testo prevede i nuovi soggetti avranno solo l'obbligo di recuperare il materiale loro conferito, ma non quello di dimostrare l'avvenuto corretto recupero, reimpiego o smaltimento».
<B>"Analisi del rischio": una minaccia alle bonifiche</B>
Preoccupante, poi, il cambiamento complessivo di impostazione nel capitolo delle bonifiche. «In linea di principio - spiega Venturi - la valutazione del rischio ci trova d'accordo. Ma la <B>rigidità</B> con cui è introdotta e il ruolo prioritario che assume rispetto all'approccio tabellare portano </B>due pericoli</B>: che non si bonifichi più nulla e che gli enti locali siano relegati a ricoprire un ruolo meramente burocratico». Ecco perché: «La procedura con cui un privato dichiara che, sulla base dell'analisi del rischio, un sito non è inquinato, giungendo così alla chiusura della procedura di bonifica, è condotta <b>senza il controllo reale dei soggetti pubblici</B>, ma solo in base a un controllo burocratico: il pubblico è chiamato solo a verificare a tavolino che il privato abbia fatto quanto dichiara». Non solo: «La gestione dei siti contaminati di interesse locale spetta alla Regione, mentre quella dei siti di interesse nazionale spetta al ministero dell'Ambiente. Il che, oltre a svilire il ruolo dei <B>Comuni</B>, comporta per loro la sciagurata possibilità di trovare <B>modifiche al proprio territorio decise altrove</B>. Un esempio: a un Comune potrà capitare di trovarsi con aree su cui è improvvisamente possibile edificare del residenziale senza aver avuto mai la possibilità di intervenire nell'istruttoria di bonifica».
<B>Conflitto di ruoli e d'interessi</B>
Oltre ai contenuti dei testi delle bozze di decreti, molto c'è da dire anche su chi ha coordinato l'intera operazione, su come si sono svolti i lavori e su quanto tutto questo costa ai contribuenti. Lo ha sintetizzato il Wwf che, senza mezzi termini, afferma: «la commissione di esperti è servita quale elemento tecnico giustificativo di scelte operate in sede politica ed elaborate in sede ministeriale sotto il ferreo controllo del prof. <B>Paolo Togni</B> che attualmente riveste ben<B>cinque incarichi pubblici contestuali</B>: capo di gabinetto del ministero dell'Ambiente, direttore dell'Ufficio comunicazione del ministero dell'Ambiente, vicepresidente della Sogin (la società che tra l'altro gestisce i rifiuti nucleari in Italia), membro della commissione dei "24 saggi" nonché coordinatore della stessa e segretario della segreteria di presidenza del Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (Cespa) formato da Confindustria e Confesercenti ai sindacati, dalla Lega delle cooperative a Confagricoltura e Coldiretti, ecc.). Se si considera che: <B>il Cespa è presieduto dal ministero dell'Ambiente</B>, il Cespa è chiamato per legge ad esprimere parere sulla legge delega, i testi verranno sottoposti al Cespa dopo che il capo di gabinetto e coordinatore della commissione dei "saggi" li avrà fatti vidimare dal ministro, possiamo dire che la consultazione avviene quanto meno <B>in un conflitto di ruoli e d'interessi</B>». Ma al conflitto di interessi, ormai, siamo abituati.
"Interessanti" anche le <B>modalità con cui i decreti sono stati approvati</B> dai "24 saggi": «i testi delle bozze di legge su cui esprimersi - racconta WWF - sono state inviate loro <B>via mail</B> venerdì 2 settembre e che il loro voto è stato dato, sempre via mail, tra l'1 ed il 3 ottobre, periodo nel quale si sono svolte 3 riunioni su otto per complessive 9 ore circa».
Quanto ai costi, «la legge delega - prosegue il Wwf - prevede uno stanziamento di <B>1.300.000 euro</B> (800.000 per il 2005 e 500.000 per il 2006) per il pagamento dei 24 membri della commissione consultiva e per i 20 membri della segreteria tecnica di supporto a questa. Il <B>compenso previsto per ciascuno dei saggi è di 40.000 euro</B>, quindi il costo complessivo della Commissione è di 980.000 euro».
Oltre ai 1.300.000 euro per consulenze, <B>sono poi state spese altre centinaia di migliaia di euro</B> per conferenze e iniziative di comunicazione. Così, denuncia il Wwf, «mentre le Camere ricevevano solo comunicazioni formali (mentre il ministro dell'Ambiente avrebbe dovuto puntualmente riferire ogni quattro mesi "alle competenti commissioni parlamentari sullo stato dei lavori"), mentre le associazioni ambientaliste, quelle dei consumatori, sindacati e imprenditori <B>di fatto non sono state consultate</B> e non sono state mai messe nelle condizioni di fornire alcun contributo in modo chiaro, formalmente corretto e trasparente, <B>il ministero avvia una convegnistica di supporto</B> alle scelte legislative contenute nelle bozze dei nuovi testi.