La plastica monouso si ribella alla direttiva europea
Pubblichiamo il comunicato stampa diffuso dopo il convegno ‘Direttiva Ue sulla plastica - facciamo chiarezza’ che si è svolto a Roma (Sala Zuccari del Senato) mercoledì 17 aprile 2019
17 April, 2019
Direttiva UE plastica: “A rischio chiusura 30 aziende italiane con 3000 addetti, ma l’inquinamento è causato dai fiumi extra-europei”
L’Italia è leader europea nei prodotti monouso in plastica e il comparto è messo a serio repentaglio insieme a quelli delle acque minerali e della distribuzione automatica
Con l’entrata in vigore della direttiva UE sulla plastica monouso rischiano la chiusura trenta aziende italiane della filiera della plastica che danno impiego complessivamente a 3.000 addetti. L’allarme viene lanciato dal movimento ecologista europeo Fare Ambiente insieme a 7 associazioni di categoria e consorzi tra cui Unionplast (Federazione Italiana Gomma Plastica), Corepla (Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), Confida (Associazione Italiana Distribuzione Automatica): “La nuova normativa – spiega Vincenzo Pepe, Presidente di Fare Ambiente - non inciderà, se non in minima parte, sul problema ambientale. Infatti il 90% della plastica presente negli oceani proviene da dieci fiumi extra-europei, come dimostrano i dati del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Unep) mentre i rischi produttivi e occupazionali per le imprese italiane sono alti”. E’ il messaggio che le associazioni questa mattina hanno lanciato ai rappresentanti delle istituzioni presenti al convegno tematico organizzato a palazzo Giustiniani: tra i politici in sala il sottosegretario all’Ambiente Vannia Gava, il presidente della commissione Industria Gianni Pietro Girotto, l’europarlamentare Lara Comi e la deputata Maria Stella Gelmini. Il movimento ecologista europeo Fare Ambiente punta il dito anche sulle possibili conseguenze sulla sicurezza alimentare: “Si pensi soprattutto ad esempio a piatti e bicchieri di plastica usati negli ospedali. Vietarne l’uso porterà rischi per la salute dei consumatori”. E la tesi è confermata anche dallo studio del prof. David Mc Dowell dell’Università dell’Ulster e presidente in carica del comitato consultivo britannico per la sicurezza alimentare, che ha “provato il collegamento tra il bando dei prodotti monouso in plastica e l’aumento della diffusione di batteri come escherichia coli, campylobacter, listeria, norovirus e altri virus che causano gastroenteriti acute”.PLASTICA MONOUSO, ITALIA LEADER
I produttori di articoli monouso in plastica sono praticamente tutti italiani. Solo i produttori di stoviglie ‘usa e getta’ (piatti, bicchieri, posate, cannucce e mescolatori) sono una trentina nel territorio italiano e occupano circa 3.000 dipendenti. “I prodotti monouso in plastica – spiega Marco Omboni, Presidente di Pro.Mo Federazione Gomma Plastica – rappresentano solo lo 0,6% della plastica prodotta in Europa. Bandire la plastica monouso produrrebbe gravi danni imprenditoriali e occupazionali per le nostre imprese. Il problema della dispersione dei prodotti monouso nell’ambiente è un problema di educazione, e la maleducazione non distingue tra un materiale e l’altro. Occorre quindi potenziare il riciclo, in cui l’Italia è virtuosa, nell’ottica dell’economia circolare e dare tempo alle imprese per sperimentare nuovi materiali favorendole con incentivi fiscali”.
RISCHIO CRISI ANCHE PER L’INDOTTO
Un’errata applicazione della direttiva UE rischia dunque di mettere in crisi altri settori economici in cui l’Italia è leader in Europa: dalle acque minerali alla distribuzione automatica. Il primo comparto ha un giro d’affari di 3 miliardi di euro, comprende 246 marche italiane e 126 imbottigliatori che esportano in oltre 100 Paesi del mondo. La Distribuzione Automatica di cibi e bevande, dove l’acqua è il secondo prodotto più venduto, ha un giro d’affari di 3 miliardi di euro con 3.000 aziende di gestione dei distributori che occupano 33.000 dipendenti. “La distribuzione automatica – spiega Massimo Trapletti, Presidente di CONFIDA Associazione Italiana Distribuzione Automatica – opera al 97% all’interno di edifici chiusi (aziende, ospedali, scuole e università) dove è attiva la raccolta differenziata della plastica quindi la possibilità che la plastica utilizzata nel nostro settore venga dispersa nell’ambiente è inesistente. Inoltre il vending è il primo settore che sperimenta un progetto, chiamato RiVending, di riciclo della plastica di bicchieri e palette del caffè che viene reintrodotta in produzione per produrre nuovi prodotti”.
TANTI PROVVEDIMENTI “PLASTIC FREE” IN CONTRADDIZIONE CON LA DIRETTIVA
La campagna “Plastic Free”, anche grazie al favore mediatico, ha spinto inoltre numerose amministrazioni locali (Comuni e Regioni), Università e altri enti a dar vita a ordinanze, mozioni e regolamenti divergenti tra loro e spesso contrastanti con i contenuti stessi della Direttiva Europea come emerge dall’analisi dell’avvocato Andrea Netti, titolare dello studio ADR, esperto di diritto amministrativo: “Il 47% dei provvedimenti analizzati include erroneamente i bicchieri tra i prodotti monouso in plastica da abolire e ancora il 52% vuole abolire anche le bottiglie d’acqua quando la Direttiva UE richiede invece nuovi requisiti di fabbricazione”. Insomma: le normative fai da te delle Amministrazioni locali italiane rischiano di creare confusione per cittadini e operatori commerciali che si troveranno in un Comune a poter utilizzare dei prodotti e in altri no e daranno vita a un’infinita serie di ricorsi che intaseranno la giustizia amministrativa.
OCEANI DI PLASTICA: LE FONTI DELL’INQUINAMENTO
La normativa europea si applicherà negli Stati membri, ma la plastica che inquina gli oceani proviene in realtà (lo dice uno studio delle Nazioni Unite) da corsi d’acqua situati in Asia, Africa e Sud America. In particolare si tratta dei fiumi Yangtze, Xi e Huanpu in Cina, del Gange in India, dell'Oyono al confine tra Camerun e Nigeria, di Brantas e Solo in Indonesia, del Rio delle Amazzoni, per lo più in Brasile, del Pasig nelle Filippine e dell'Irrawaddy in Birmania.
IL MANIFESTO DI “FARE AMBIENTE”
Fare Ambiente ha elaborato un manifesto in otto punti per ripensare la normativa.
1) Analisi dell’impatto economico e sulla sicurezza alimentare della Direttiva in Italia;
2) No ai decreti! Una tematica così importante necessita del passaggio parlamentare;
3) Ascolto delle Associazioni d’impresa da parte del Ministero dell’Ambiente e delle Commissioni parlamentari competenti in materia;
4) Potenziamento e perfezionamento della raccolta differenziata e riciclo nell’ottica di un’economia circolare;
5) Più impianti e tecnologie per il riciclo;
6) Meccanismi premiali per l’uso delle materie prime seconde: un credito d’imposta per i prodotti contenenti plastica riciclato;
7) Campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla raccolta differenziata;
8) Annullamento delle ordinanze ‘plastic free’ delle Amministrazioni locali italiane in contrasto con la Direttiva Europea nell’ottica dell’armonizzazione delle normative del nostro Paese.