Sacchetti: la nota di Assobioplastiche sullo studio dell'Università di Pisa
Marco Versari, presidente di Assobioplastiche: "Ci dispiace dover continuamente replicare ad accuse pretestuose, frutto di metodologie quanto meno discutibili". On line il testo del comunicato
23 May, 2019
Il gruppo della professoressa Balestri e del professor Claudio Lardicci dell'università di Pisa non è nuovo nell’escogitare curiose metodologie per determinare il presunto effetto negativo dei sacchi compostabili. Già nel 2018, infatti, una ricerca che studiava la disintegrazione fisica in mare dei sacchetti in bioplastica compostabile era stata pubblicizzata come analisi sulla biodegradabilità degli stessi, impiegando uno schema sperimentale di dubbia scientificità. Oggi (2019), il medesimo gruppo propone un nuovo studio sull’impatto marino, anche questa volta con il medesimo, singolare approccio al metodo scientifico.
Assobioplastiche auspica che la studentessa e la dottoranda autrici dello studio, assieme ai docenti e ricercatori che ne hanno coordinato il lavoro, vogliano proseguire nel loro impegno sul tema, arrivando a validare scientificamente le metodologie che hanno deciso di adottare, determinandone la sensibilità, la riproducibilità e l'affidabilità.
In particolare, sarebbe interessante se costoro volessero farci capire quali effetti sarebbero stati rilevati applicando il medesimo metodo a elementi e sostanze naturali (ad es., lignina, cellulosa, scarti organici etc.) o, per fare un altro esempio, su quali basi è stato ipotizzato uno scenario che vede concentrate quantità irrealistiche di materia testata in un solo litro d'acqua.
“Ci spiace - dichiara Marco Versari, presidente di Assobioplastiche - di dover continuamente replicare ad accuse pretestuose, frutto di metodologie quanto meno discutibili, di fronte alle quali ci vediamo ogni volta costretti a ribadire che le bioplastiche sono prodotti che forniscono soluzioni a specifici problemi, pensati per essere gestiti nel circuito del compostaggio industriale. Non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali. Ci chiediamo come mai analoghi studi non vengano effettuati su altri materiali, molto più diffusi, e quali obiettivi si intenda perseguire con iniziative di questo tipo”.
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