Grandi eventi. Slow Food: “Con la progettazione sistemica la sostenibilità non è solo ambientale”
Intervista a Elisabetta Cane che in Slow Food si occupa della progettazione e della sostenibilità degli eventi: “Raccolta differenziata, presidio delle isole ecologiche e tracciabilità dei rifiuti fino agli impianti di selezione non è qualcosa che si può improvvisare”
26 June, 2019
Con l’arrivo dell’estate l’intera penisola è un pullulare di eventi. Dalle piccole festicciole in spiaggia, passando per le sagre paesane, festival e grandi eventi la sostenibilità ambientale comincia a fare capolino. Da nord a sud (isole comprese) le strategie di marketing e la comunicazione messa a punto dagli organizzatori martellano su due concetti chiave: ecofeste e plast free. Propaganda o meno non è per niente facile progettare e realizzare un evento davvero sostenibile. Lo sa bene Slow Food che fa della sostenibilità ambientale uno dei marchi distintivi di tutti i suoi eventi.
Per capire meglio quanto lavoro c’è dietro a un evento che vuole davvero essere sostenibile abbiamo chiesto a Elisabetta Cane (Sustainability and project office di Slow Food Promozione) di svelarci i segreti che contraddistinguono gli eventi organizzati dalla chiocciola rossa.
Quando parliamo di eventi sostenibili quelli organizzati da Slow Food sono sempre un modello a cui guardare con attenzione. Da Terra Madre a Cheese c’è sempre qualcosa da imparare. Qual è il segreto?
La premessa di tutto è che noi affrontiamo gli eventi attraverso una progettazione sistemica. Slow Food insieme all’Università di Scienze Gastronomiche, il Politecnico di Torino e l’Università degli Studi di Torino ha deciso di agire a monte. Anziché dire ‘andiamo a compensare i danni’ cerchiamo di capire prima come poterli evitare. Si comincia col fare una selezione di quelli che sono i fornitori più sensibili anche sulle tematiche ambientali perché quando parliamo di sostenibilità non ci riferiamo solo a quella ambientale. Cerchiamo di capire quali sono stati gli errori fatti nelle precedenti edizioni per provare a migliorarci.
Tutto nasce dopo l’ edizione 2004 del Salone del Gusto, in cui ci siamo resi conto che la quantità di rifiuti prodotti dall’evento era simile a quella prodotta nella città di Torino in una sola settimana. Dati che ci hanno messo in allarme e ci hanno spinto a concentrarci sul tema della sostenibilità. Inoltre il 2004 è l’anno della prima edizione di Terra Madre, che ha definitivamente completato la nostra visione, sintetizzata l’anno successivo nel libro Buono, Pulito e Giusto di Carlo Petrini. Fu il professor Gino Bistagnino del Politecnico, a quel punto, a dirci che non potevamo non fare quel passo.
In sostanza il progetto sistemico oggi si compone di quattro anime. L’elemento più forte e visibile è quello della sostenibilità ambientale, poi c’è la sostenibilità sociale, quella culturale e infine quella economica.
Un piccolo esempio, ma che rende l’idea della sostenibilità sociale (e più precisamente sull’inclusività), è il font che utilizziamo per le nostre grafiche. Parliamo di Easy reading, carattere tipografico che supera le barriere di lettura anche per chi è dislessico.
Ogni evento ha la sua particolarità. Per esempio organizzare la raccolta rifiuti di Terra Madre Salone del Gusto all’interno di uno spazio chiuso come è stato nell’ultima edizione al Lingotto comporta un certo impegno mentre lo stesso evento fatto in un luogo aperto, come per l’edizione 2016 al parco del Valentino o come accade a Bra con Cheese, richiede un impegno e una progettazione sistemica differente.
Quindi in fase di progettazione sistemica dell’evento la sostenibilità, declinata nelle sue varie sfaccettature, richiede un impegno maggiore anche economico. Quanto pesa?
Noi siamo già al lavoro da diversi mesi per l’edizione di Terra Madre 2020, questo significa che stiamo cercando soluzioni nuove per gli allestimenti, le grafiche e altri aspetti. Certamente l’aspetto economico è rilevante ma dipende tutto dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. Faccio un esempio. In passato per la stampa delle grafiche abbiamo adottato l’Evergreen, un materiale non plastico ma per una serie di motivi anche legati alla sicurezza, siamo tornati (temporaneamente) al pvc , cercando di ragionare in una ottica di economia circolare. Cosa ne facciamo di tutto questo materiale a fine evento? Abbiamo trovato delle associazioni e in particolare Sc’Art! un’associazione genovese per la promozione sociale tutta al femminile che, attraverso un progetto di economia circolare all’interno della Casa Circondariale di Genova Pontedecimo, insegna alle donne come trasformare il pvc recuperato dai nostri eventi in oggetti di design, dalle borse a prodotti per la casa (per esempio tovagliette per la colazione). In pratica abbiamo rimesso in circolo materiali che sarebbero finiti tra i rifiuti con benefici che ricadono anche su altre realtà. In ogni caso se si guardasse solo all’aspetto economico, per il budget dell’evento sarebbe certamente molto più conveniente non investire sulla progettazione sistemica e sulla riduzione dell’impatto ambientale: ma ha ancora senso ragionare in questo modo? È ancora accettabile nel momento storico che stiamo vivendo non preoccuparsi del costo che un evento ribalta sulla collettività se non si fa carico di questi aspetti? Certamente per noi di Slow Food la risposta è no, da molti anni.
Rimaniamo sulla parte relativa alla gestione rifiuti. Molto spesso questo aspetto non è gestito direttamente dagli organizzatori dell’evento. È solo per una questione di costi?
Sicuramente l’aspetto economico non è da sottovalutare ma personalmente credo che sia una questione di sensibilità e coscienza ecologica perché si può sempre dire ‘io faccio quello che mi dice la legge’. Sappiamo bene che non è semplice organizzare una gestione rifiuti come quella che si fa per i nostri eventi. Fare la raccolta differenziata su cinque differenti frazioni, conferire i rifiuti in determinati impianti per poterne seguire tutta la tracciabilità, presidiare le isole ecologiche e tanto altro, non è qualcosa che si può improvvisare. Noi riusciamo a farlo perché sono anni che ne studiamo i meccanismi e perché ci crediamo.
Rimanendo in ambito rifiuti, Slow Food si sta interrogando molto sul tema del monouso a prescindere da quale sia il materiale. Anche durante i nostri eventi la quantità di piatti, bicchieri e posate che viene utilizzata per pochi minuti è troppo alta e quindi stiamo cercando di trovare delle soluzioni anche su questo fronte, mettendo in moto meccanismi virtuosi che vadano a contrastare questo spreco. Per noi la sfida è migliorarci sempre di più.
Quali sono gli elementi imprescindibili perché un evento sia sostenibile, anche dal solo punto di vista ambientale?
Non esiste un decalogo che vale per tutti, perché ogni evento è diverso. Sicuramente molto importanti sono la corretta gestione dei rifiuti, non solo durante l’evento ma anche in fase di allestimento e disallestimento, con un occhio di riguardo ai materiali che vengono utilizzati (noi ad esempio abbiamo abolito la moquette sin dal 2006). Poi c’è la parte legata alla mobilità, come e con quali mezzi i visitatori arrivano all’evento, evitando il più possibile che si scelga l’auto privata. E poi conta molto anche la scelta dei fornitori, perché più loro stessi sono sensibili a queste tematiche e maggiori saranno le sinergie e le ricadute positive per il tuo evento, anche solo in termini di comportamenti. Ovviamente è implicito che anche noi dobbiamo migliorare su questi aspetti. Coinvolgere i tuoi fornitori significa anche portare le tue idee, tramite loro, in altri contesti e in altri eventi: disseminare, contaminare.
Slow Food ha alle spalle una tradizione consolidata di eventi sostenibili. L’idea più geniale che avete avuto e che continua a contraddistinguere i vostri eventi?
Non abbiamo inventato (quasi) nulla di nuovo ma il presidio delle isole ecologiche, ovvero la presenza di personale opportunamente formato per indicarci dove buttare correttamente i rifiuti, è un aspetto innovativo che ti da risultati tangibili e concreti, con un’importante valenza formativa nei confronti dei visitatori (nell’arco della giornata, prima o poi tutti passiamo davanti ad un’isola ecologica per buttare via qualcosa). Altro esempio sono gli allestimenti, siamo stati forse i primi ad utilizzare i pallet per realizzare gli stand. Un aspetto questo che emerge poco durante le manifestazioni ma ha un forte impatto, semplicemente perché a fine evento lo stand non diventa un rifiuto ma i pallet ritornano a fare a il loro mestiere. Grazie ai nostri fornitori e ai nostri sponsor, inoltre, noi riusciamo a far percorre ai pallet pochissima strada: da Parma arrivano a Bra o Torino per l’evento e poi finiscono da aziende come Lavazza o Lurisia, a pochi chilometri da Cheese e Terra Madre.
In futuro cosa ci riserverà Slow Food?
Speriamo di non perdere mai la nostra capacità di sperimentare, provare nuove strade, creare percorsi che altri poi seguiranno. Nemmeno noi sappiamo ancora cosa ci riserva esattamente l’edizione 2020 di Terra Madre, ma abbiamo la sensazione che sarà di nuovo qualcosa di sensazionale. L’aria che stiamo respirando nel “cantiere virtuale” dell’evento è decisamente frizzante!
Foto di Alessandro Vargiu / Archivio Slow Food