Ordinanze plastic free a macchia di leopardo, il punto di vista di Legambiente
Tra provvedimento sospesi, altri confermati, altri ancora ripristinati dopo l'intervento del Consiglio di Stato, la situazione delle ordinanze contro l'uso della plastica usa e getta tradizionale è molto confusa. Ne abbiamo parlato con Stefano Ciafani, presidente di Legambiente
29 August, 2019
Il recepimento della direttiva europea sulla riduzione della plastica usa e getta non era di certo tra le priorità del governo appena caduto. Come spesso succede, sono quindi state le amministrazioni locali a prendere l'iniziativa con ordinanze comunali e regionali a macchia di leopardo che vietano l'uso di piatti, bicchieri e posate in plastica monouso tradizionale. Contestualmente è anche arrivata la risposta dei produttori che in molti casi si sono rivolti ai tribunali amministrativi per fare in modo che venissero sospesi i provvedimenti, sostenendo il più delle volte che non fosse necessario anticipare una direttiva europea non ancora recepita a livello nazionale. In alcuni casi i tar hanno accolto i ricorsi, in altri li hanno rigettati, in altri ancora il Consiglio di Stato ha ripristinato l'ordinanza sospesa dal tribunale. Addirittura qualche settimana fa era stato il Ministro dell’ambiente, Sergio Costa, a proporre la formazione di una task force di esperti da mettere a disposizione dei comuni affinché emanassero ordinanze plastic free a prova di Tar. Insomma una situazione piuttosto confusa. Ne abbiamo parlato con Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
Cosa ne pensa di questo scenario fatto di ordinanze plastic free a macchia di leopardo?
In attesa che venga recepita la direttiva qual è dunque la via da seguire per ridurre la plastica usa e getta? Saranno sufficienti le campagne di sensibilizzazione per cambiare le abitudini?
I produttori italiani di plastica usa e getta impugnano le ordinanze e mettono in discussione la stessa direttiva europea facendo leva sulla perdita dei posti di lavoro che le loro aziende oggi sono invece in grado di garantire.
Che tipo di impegno richiede la riconversione delle aziende che producono plastica usa e getta? Bisogna cambiare i macchinari?
Il mondo sta andando avanti. Ci sono aziende che hanno già riconvertito la loro produzione e stanno ovviamente aumentando il loro fatturato perché la richiesta delle stoviglie compostabili è sempre più forte. Ci sono delle catene di supermercati che - come Unicoop Firenze - hanno abbandonato l’usa e getta tradizionale dai loro scaffali. Hanno solo il compostabile. Ci sono le altre aziende di Federdistribuzione che hanno avuto un approccio per ora volontario e tutte hanno deciso di abbandonare l’usa e getta tradizionale dal mesedi giugno 2020. Allora quello che io dico è che i produttori, invece di fare i giapponesi sull’isola del pacifico dopo la seconda guerra mondiale, dovrebbero fare subito quello che altri produttori hanno già fatto ovvero riconvertire la produzione. Tra l’altro queste aziende stanno aumentando i turni di lavoro perché c’è una grandissima richiesta di questi prodotti. La riconversione deve avvenire in tempi brevi dunque le aziende non spendessero soldi per i ricorsi contro le ordinanze, ma spendessero quei soldi per riconvertire le linee produttive. Inoltre non c’è neanche bisogno di cambiare i macchinari. Abbiamo contezza di alcune aziende in Campania e in provincia autonoma di Bolzano che stanno semplicemente ritarando i macchinari che hanno già a disposizione, basta rivedere le temperature e gli stessi macchinari invece di utilizzare la plastica da petrolio possono utilizzare la bioplastica.
Anche il compostabile però si usa e si getta e deve essere gestito come rifiuto.
In Italia il numero degli impianti sarà sufficiente per gestire l’aumento del rifiuto organico?
Per concludere, una sua dichiarazione sulla politica ambientale del governo appena caduto che con il Ministro Costa aveva avviato un percorso proprio sulla riduzione della plastica monouso.