Società Italiana Aerosol: ‘Parziale e prematuro il rapporto diretto tra numero di superamenti di PM e contagi da COVID-19’
IAS: “La proposta di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento come mezzo per combattere il contagio sia, allo stato attuale delle conoscenze, ingiustificata, anche se è indubbio che la riduzione delle emissioni antropiche, se mantenuta per lungo periodo, abbia effetti benefici sulla qualità dell’aria e sul clima e quindi sulla salute generale”
23 March, 2020
Continua il dibattito scientifico sull’ipotesi che la cattiva qualità dell’aria abbia contribuito alla diffusione del Coronavirus. A dare una accelerazione a quella che sembrava solo una ipotesi è stata la pubblicazione di un position papaer da parte della Società italiana di medicina ambientale (Sima) insieme alle Università di Bari e di Bologna nella quale emerge una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 registrati nel periodo 10-29 febbraio e il numero di casi di Covid-19 aggiornati al 3 marzo. "Le polveri stanno veicolando il virus. Fanno da carrier - avvertiva Gianluigi de Gennaro, dell’Università di Bari - Più ce ne sono, più si creano autostrade per i contagi. Ridurre al minimo le emissioni e sperare in una meteorologia favorevole".
Nella giornata di venerdì 20 marzo la Società Italiana Aerosol (Ias) in un comunicato, sottoscritto da più di 70 tra ricercatori e scienziati soci, esprime il suo parere sulle attuali conoscenze relative all’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19. (Qui il documento integrale)
“È noto – scrive la Ias - che l’esposizione, più o meno prolungata, ad alte concentrazioni di PM aumenta la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari e che questa condizione può peggiorare la situazione sanitaria dei contagiati. Queste alte concentrazioni sono frequentemente osservate nel nord Italia, soprattutto nella pianura Padana, durante il periodo invernale. Tuttavia, ad ora non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche”.
“È stato inoltre ipotizzato – continua la Ias nel comunicato - che il particolato atmosferico possa agire come substrato “carrier” per il trasporto del virus aumentando così il ritmo del contagio. Questo aspetto non è però confermato dalle conoscenze attualmente a disposizione, così come non sono ancora del tutto noti il tempo di vita del virus sulle superfici ed i fattori che lo influenzano. È possibile che alcune condizioni meteorologiche, tipicamente presenti nel nord Italia in questo periodo, quali la bassa temperatura e l’elevata umidità atmosferica, possano creare un ambiente che favorisce la sopravvivenza del virus. Queste condizioni che, in genere, coincidono con una situazione di stabilità atmosferica intensa, favoriscono la formazione di particolato secondario e l'incremento della concentrazione del PM in prossimità del suolo. La covarianza fra condizioni di scarsa circolazione atmosferica, formazione di aerosol secondario, accumulo di PM in prossimità del suolo e diffusione del virus non deve, tuttavia, essere scambiata per un rapporto di causa-effetto. Nel caso di sistemi complessi come quello con cui abbiamo a che fare, l’interpretazione delle correlazioni semplici (cioè quella tra due serie temporali) non indica necessariamente un rapporto causa-effetto”.
“Il Presidente, il Consiglio Direttivo della IAS e tutti i Soci firmatari – conclude la nota - sono unanimi nel valutare come parziale e prematura l’affermazione che esista un rapporto diretto tra numero di superamenti dei livelli di soglia del PM e contagi da COVID-19, e nel ritenere che un eventuale effetto dell'inquinamento da PM sul contagio da COVID-19 rimanga - allo stato attuale delle conoscenze - una ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese ed approfondite. Nello stesso modo, si ritiene che la proposta di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento come mezzo per combattere il contagio sia, allo stato attuale delle conoscenze, ingiustificata, anche se è indubbio che la riduzione delle emissioni antropiche, se mantenuta per lungo periodo, abbia effetti benefici sulla qualità dell’aria e sul clima e quindi sulla salute generale”.