Mobility manager scolatici: chi eran costoro?
Nell'abbondante dibattito social-mediatico su scuola e trasporti nel Covid ci si è (quasi) dimenticati di queste figure. Eppure la loro istituzione è figlia del decreto Ronchi del '98, che imponeva un manager per la mobilità sostenibile in aziende private ed enti pubblici
05 November, 2020
Nelle ultime settimane uno dei temi caldi al centro del dibattito sulla gestione Covid è stato quello su scuola e trasporti, soprattutto per il sovraffollamento a bordo dei mezzi pubblici osservato in tante città. Problema che secondo diversi esperti costituisce una causa diretta dell’aumento esponenziale dei contagi.
Da settembre ad oggi numerose scuole hanno già chiuso per troppi alunni e docenti positivi, le regioni Puglia e Campania hanno addirittura chiuso tutti gli istituti, mentre il governo ha imposto la didattica a distanza alle scuole superiori in tutto il paese. Non è chiaro se l’obiettivo dell’esecutivo sia quello di evitare il sovraffollamento sui mezzi, oppure se la scuola sia ritenuto un luogo troppo rischioso indipendentemente dai trasporti. Il tema comunque esiste.
Lo scorso 15 ottobre il Cts sosteneva che il confronto su eventuali ingressi scaglionati, lezioni a distanza o in presenza e riorganizzazione della mobilità per l’emergenza, avrebbe dovuto coinvolgere oltre ministeri e istituzioni locali anche i semisconosciuti “mobility manager”. Figure che in Italia sono ancora poco note e molto poco valorizzate, diversamente da altri paesi Europei, nonostante la loro istituzione risalga a ben 22 anni fa. Era il 1998 quando l’allora governo Prodi e il Ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, vista la già precaria situazione climatica e l’inquinamento urbano, stabilirono che gli enti pubblici e le aziende private con più di 300 dipendenti per "unità locale" e con oltre 800 dipendenti operanti in più sedi locali, nei comuni superiori a 150.000 abitanti, si dotassero di un mobility manager a cui affidare l’incarico di ottimizzare gli spostamenti dei lavoratori, migliorare la pianificazione degli orari, limitando l’uso dell’auto privata e sostenendo l'uso del trasporto pubblico.
Ma ancora meno noto è forse che anche le scuole, da qualche anno, dovrebbero avere tutte per legge un mobility manager al loro interno. Dopo che nel 2000 il Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio incluse fra gli spostamenti fondamentali anche quelli casa-scuola, la legge 221 del 28 dicembre 2015 decretò infatti che il Ministro dell'istruzione adottasse “specifiche linee guida per favorire l'istituzione in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado […] la figura del mobility manager scolastico”.
La norma prevede che il manager sia scelto su base volontaria e senza riduzione del carico didattico, “in coerenza con il piano dell'offerta formativa, con l'ordinamento scolastico e tenuto conto dell'organizzazione didattica esistente”. In sostanza la figura viene individuata tra gli insegnanti. E qui emergono le prime evidenti criticità, perché l’assenza di una formazione specifica per il ruolo e la pretesa di affidarlo ad un docente che ha già il suo carico di lavoro, non aiutano di certo a creare mobility manager capaci ed efficienti.
Il risultato è che in larga parte del paese la norma rimane di fatto inattuata, anche perché nessuno controlla che venga rispettata. Mentre in quelle poche zone, dove per capacità e cultura ciclistica le scuole sono riuscite ad avere dei mobility manager efficienti, spesso succede che poi manchino i mobility manager d’area, con cui i primi dovrebbero interagire per coordinare la mobilità sostenibile di quel dato territorio, che resta quindi affidata a misure e iniziative sporadiche e slegate tra loro. Solo in rari casi si è riusciti a “fare sistema”, in alcune zone ad esempio del Veneto e dell’Emilia Romagna, dove amministratori pubblici e dirigenti scolastici hanno spesso beneficiato del lavoro “informale” di associazioni ambientaliste ed esperti di mobilità urbana.
Ma c’è di più.
Nel cosiddetto “Decreto rilancio” varato a luglio dal governo (art. 229 comma 4) vengono introdotte delle novità che addirittura implementano le norme precedenti: si impone l’obbligo di redigere un piano casa-lavoro e di nominare un mobility manager anche alle aziende sopra i 100 dipendenti e ai comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti. La legge prevede che le modalità attuative del provvedimento vengano definite con un successivo decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Decreto di cui per ora non c’è traccia.