Italiani in fuga dagli autobus
Pochi e lenti: in un anno venduti 100 milioni di biglietti in meno
06 March, 2006
<b>Dal ´97 le risorse diminuite del 28%, ma intanto cresce la domanda di mobilità
Domani lo sciopero del trasporto pubblico. Gran parte degli utenti immigrati e ceti meno abbienti
ANTONIO CIANCIULLO </b>
ROMA - Domani autobus e metro si fermeranno per uno sciopero indetto per il contratto nazionale, difficile da firmare se i bilanci degli enti pubblici continuano a essere tagliati. È l´altra faccia del blocco da smog, diventato ormai un tocco di colore nazionale per l´assenza di una politica contro l´inquinamento. In entrambi i casi le città si paralizzano perché le risorse sono state indirizzate verso le automobili e alla mobilità collettiva è stata tolta la spina: dal 1997 a oggi le risorse destinate al trasporto pubblico sono diminuite, calcolando l´inflazione, del 28 per cento. Un colpo di spugna sulla timida ripresa che, alla fine degli anni Novanta, aveva fatto sperare in un ingresso dell´Italia nel club dei paesi avanzati che considerano la qualità del trasporto pubblico una misura del benessere e della capacità competitiva.
Da un anno all´altro nei cento capoluoghi di provincia italiani sono stati staccati 100 milioni di biglietti in meno. Tra il 2004 e il 2005 la quota di spostamenti urbani in automobile è passata dal 78,9 per cento all´81,9 per cento. Autobus, tram e metropolitane hanno perso il 2,1 per cento dei loro clienti e restano inchiodati a una percentuale ridicola: uno spostamento su dieci. E uno spostamento socialmente sempre più "targato": chi se lo può permettere sopporta le code in macchina, gli altri stanno in fila sull´autobus. «Man mano che la qualità si degrada anche l´utenza cambia», spiega Mario Zambrini, esperto di mobilità dell´istituto di ricerche Ambiente Italia. «Se il servizio pubblico diventasse solo un sostegno alle fasce economiche più deboli, la mobilità dei poveri, l´Italia si allontanerebbe dall´Europa. E purtroppo è questa l´aria che si è respirata negli ultimi anni. Il trasporto pubblico è stato mortificato lanciando un messaggio deprimente: il servizio costa poco, non rompete le scatole se le corse saltano e dovete aspettare mezz´ora sotto la pioggia».
La tendenza viene confermata da un recente studio dell´Isfort (Istituto superiore di formazione e ricerca sui trasporti). Il giudizio dei cittadini sugli autobus e sui tram è passato dal 6,29 del 2003 (la scala va da 1 a 10) al 6,04 del 2004, scendendo sotto la sufficienza (5,88) nel 2005. Nello stesso periodo sono diminuiti i dipendenti (meno 2,1 per cento) e i mezzi in dotazione (meno 1,3 per cento). In sostanza, a fronte di una crescita forte della domanda di mobilità (dai 120 milioni di spostamenti quotidiani del 2004 ai 128 milioni del 2005), il servizio pubblico ha alzato le braccia.
È un declino che rispecchia quello economico dell´intero Paese, una perdita di capacità di programmazione e di efficienza che costa cara sia dal punto di vista economico che da quello della salute. Alla diminuzione dell´appeal delle città italiane e alle ore di lavoro sprecate si aggiunge infatti un costo sanitario che l´Organizzazione mondiale della sanità valuta in 9 mesi di vita persi da ogni cittadino italiano a causa dell´inquinamento dell´aria determinato in larga parte del traffico.
Per invertire il trend, Asstra (l´associazione delle ex municipalizzate) ha lanciato venerdì scorso la Carta di Venezia del trasporto pubblico locale. «Con un aumento delle accise pari a 10 centesimi al litro per il gasolio non professionale, cioè escluso il trasporto pubblico e di merci, si otterrebbero 1,5 miliardi di euro l´anno», calcola Marcello Panettoni, presidente di Asstra. «Una cifra del genere permetterebbe di rilanciare il servizio pubblico in sede propria: metropolitane, tranvie, corsie preferenziali. In questo modo sarebbe possibile garantire un servizio di qualità fatto di efficienza, tempi certi, velocità. E riagganciare l´Europa dove il 40 per cento degli spostamenti pubblici avviene in sede protetta, contro il 20 per cento dell´Italia».