Letto per voi - Rifiuti zero?
Servono più prevenzione e inoltre bisogna spezzare il nesso tra crescita economica uso delle risorse e produzione di scarti. Pubblichiamo uno stralcio del capitolo scritto da Lucia Venturi per il libro "Pianeta rifiuti" (Le Balze), di cui è curatrice - da Ecosportello News
28 March, 2006
<b>Di Lucia Venturi</b>
Il concetto di rifiuto, con la sua attuale accezione di "oggetto che non serve più ad alcuno scopo", è nei fatti relativamente recente, dato che per secoli i rifiuti dei cicli urbani o comunque gli scarti finali di processi di lavorazione sono stati oggetto di recupero e di riutilizzo. Quindi anche le nozioni di recupero o di riciclo si può dire che sono vecchie quanto il mondo e ve ne sono testimonianze assai note (...)
Il problema dei rifiuti è rimasto del tutto marginale ed emarginato sino a che il sistema dello smaltimento in discarica - spesso neppure controllata - è riuscito a metabolizzare a basso costo tutti gli scarti prodotti. (...) Quando alla crescita dei rifiuti si è affiancata la crescita dei costi per smaltirli e dei conflitti sociali per individuare i siti di smaltimento, allora la problematicità della gestione dei rifiuti è emersa in tutta la sua interezza e sono venute alla luce anche tutte le anomalie dell'attuale ciclo di produzione e di consumo. Il problema sappiamo tutti essere molto complesso dato che attiene a sistemi e visioni del mondo che non sono solo di natura gestionale, ma che affrontano il modello di sviluppo e il tipo di economia ad esso legata e coinvolgono anche gli stili di vita di ognuno di noi.
I rifiuti infatti crescono, molto più del PIL. La produzione della quota degli urbani è cresciuta con un aumento percentuale del 2,4% tra il 1995 e il 2000, scesa solo per l'effetto della contrazione dei consumi al 1,2% negli anni successivi. (...) Per raggiungere un bilancio almeno in pareggio tra consumo di materie prime e produzione di rifiuti, sarebbe infatti necessario diminuire i prelievi di materia del 90% in 50 anni. In tutti i paesi dell'Unione i rifiuti crescono costantemente: i progressi compiuti in materia di riduzione restano alquanto deludenti, sebbene la prevenzione sia da molti anni un tema attorno al quale si costruiscono obiettivi e si orientano politiche nazionali e comunitarie. (...)
<b>Più prevenzione</b>
Il tema della prevenzione e della necessità di spezzare il nesso tra crescita economica, uso delle risorse e produzione di rifiuti è stata nuovamente ripresa dalla Commissione nella sua proposta relativa a una strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile. Il VI° programma comunitario di azione per l'ambiente, inserisce l'obiettivo generale di garantire "una migliore efficienza delle risorse e una migliore gestione delle risorse e dei rifiuti ai fini del passaggio a modelli di produzione e consumo più sostenibili, dissociando pertanto l'impiego delle risorse e la produzione dei rifiuti dal tasso di crescita economica, e cercando di garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili non superi la capacità di carico dell'ambiente". (...)
(...) L'intento più che condivisibile espresso nel programma di azione della Ue, che si pone l'obiettivo di diminuire l'uso delle risorse naturali dei materiali e dell'energia necessari per produrre merci - affinché non si superi la capacità di carico dell'ambiente - e di migliorare "sensibilmente l'efficienza delle risorse, 'dematerializzando' l'economia e prevenendo la produzione dei rifiuti", trova un terreno ai limiti della praticabilità proprio in riferimento all'analisi della situazione reale che nello stesso programma è contenuta.
Si afferma infatti che: "con l'aumentare della ricchezza e della produttività di una società come la nostra, cresce anche la domanda dei prodotti; unita al fatto che i prodotti hanno cicli di vita sempre più, questa situazione comporta un aumento della quantità dei rifiuti di prodotti ormai fuori uso e dei relativi rifiuti di estrazione e di fabbricazione. Parallelamente molti prodotti diventano sempre più complessi, essendo costituiti da molte sostanze diverse e ciò può aggravare ulteriormente i rischi per la salute e per l'ambiente legati ai rifiuti. E' evidente che, continuando con gli attuali modelli di consumo e di produzione, le quantità di rifiuti aumenteranno di conseguenza e una parte consistente di essi continuerà ad essere pericolosa".
L'auspicato disaccoppiamento fra crescita economica e produzione dei rifiuti, senza una sostanziale revisione degli attuali modelli di consumo e di produzione, anche in presenza di un'azione concreta e corale verso la prevenzione e la minimizzazione, non può che riguardare le sole percentuali incrementali, ma certamente non i valori assoluti: ad un aumento dei consumi pari al 10% si calcola che corrisponda un aumento di 3 punti percentuali nella produzione dei rifiuti.
Dato che tutti i materiali usati in un'economia prima o poi diventano rifiuti, per ottenere cambiamenti di rilievo bisogna trasformare i modelli di produzione e di consumo. Con il termine metabolismo industriale s'intendono i processi che prelevano energia e materia dalle fonti naturali e ne scaricano poi i residui alterati nei vari comparti ambientali; in pratica tutti i materiali utilizzati dal sistema economico e sociale vengono poi scaricati nell'ambiente in eguale misura, fatta eccezione per i materiali che rimangono momentaneamente accumulati nei beni. Quindi la quantità reimmessa nell'ambiente è costante, mentre la qualità subisce un peggioramento ed aumenta in maniera impressionante l'entità dei prelievi di materia prima: nel secolo appena terminato l'utilizzo dei metalli è passato da venti milioni di tonnellate a un miliardo e duecento milioni e il consumo di carta è aumentato di quaranta volte. Il prodotto globale dell'intero pianeta, che si basa sull'uso e sulla trasformazione delle materie prime, nel 1950 era di 6.400 miliardi di dollari, alla fine del 1998 era di oltre 39.000 miliardi di dollari.
<b>Cambiare rotta</b>
I processi di "dematerializzazione" non hanno ancora dato risultati pienamente soddisfacenti e spesso anche per produrre servizi sono necessari ancora ingenti quantitativi di prodotti. (...) Secondo uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology, per produrre e utilizzare un solo microchip da computer dal peso di 2 grammi, sono necessari prodotti chimici e combustibile fossile pari a 630 volte il suo peso. La fabbricazione e la fase operativa di ogni chip di memoria di 1 centimetro quadrato implica l'utilizzo di almeno 72 grammi di prodotti chimici (molti dei quali tossici), 700 grammi di gas, 32mila grammi di acqua e 1.600 grammi di combustibile fossile (440 grammi dei quali per alimentare il ciclo di vita "tipico" di un chip: quattro anni di attività per tre ore ogni giorno). Se moltiplichiamo queste quantità per il numero di circuiti integrati che ogni anno l'industria elettronica produce (69 miliardi nel solo 2001) vengono fuori cifre spaventose, che gettano qualche ombra sulla reputazione del settore elettronico come di industria relativamente "pulita".
Ciò non significa negare che vi sia una tendenza da parte del sistema industriale a ridurre la quantità di materiali utilizzati e di inserire nei cicli produttivi sostanze dotate di minore pericolosità, né tantomeno che non vi siano state molte iniziative volte al riciclaggio dei prodotti o all'allungamento del loro ciclo di vita. Ma è anche altrettanto vero che i volumi prodotti e consumati tendono, almeno per il momento, ad annullare i risultati ottenuti. È questo il caso dei prodotti cartacei. Secondo un'analisi dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (AEA), la carta è tra i materiali che ha raggiunto in assoluto i più elevati livelli di riciclo e recupero. Allo stesso tempo è il materiale di cui sono cresciute maggiormente le quantità utilizzate, anche se non tutto ciò che viene usato finisce nei canali classici dei rifiuti: in parte viene stoccato sotto forma di archivi, in parte viene smaltito attraverso altri comparti ambientali (ad es. nei depuratori attraverso le acque di scarico).
La rivoluzione avviata dall'era hi-tech non ha quindi significato - come ipotizzato - una contrazione dei consumi in materiale cartaceo, ma al contrario una netta crescita. E' significativo che la vendita di stampanti cresca, in numero di pezzi ad un ritmo superiore alla vendita di personal computer. E che la diffusione delle banche dati informatiche non abbia contribuito a ridurre i corrispettivi cartacei. Nel 2002 a livello mondiale, secondo uno studio realizzato dall'Università di Berkeley, sono stati creati cinque miliardi di gigabytes di nuovi dati, circa ottocento megabyte a persona con un incremento del 30% rispetto a quanto registrato nel 1999. Al contempo le informazioni diffuse attraverso libri, giornali e documenti d'ufficio è aumentata nello stesso periodo analizzato del 43%.
<b>Quanto incidono gli stili di vita</b>
L'incremento dei consumi del settore cartario dei prodotti per usi igienico-sanitario è invece molto indicativo di un cambiamento degli stili di vita che portano a privilegiare i prodotti monouso, ad esempio per le pulizie. Sono gli stessi cambiamenti di stile di vita che già avevano fatto registrare una variazione della composizione dei rifiuti domestici, con un aumento degli imballaggi a fronte di una diminuzione di scarti alimentari, spiegabili con il fatto che il lavoro esterno delle donne ha portato all'utilizzo di quote sempre maggiori di cibi precucinati. Nonostante l'attività fuori casa, le donne continuano a rappresentare il 76% dei soggetti che fa la spesa, ma è cambiata comunque la modalità: non si va più ogni giorno nei negozi o mercati di quartiere, ma una volta alla settimana o ogni quindici giorni nei grandi supermercati. Questo ha comportato un aumento considerevole di merci imballate che devono stare in dispensa, tanto che il 50% di tutto il packaging e il 70% di quello familiare è dato dal settore alimentare.
I cambiamenti sociali che vedono quote crescenti di single hanno determinato inoltre l'aumento dei prodotti monodose - che stanno sostituendo in maniera consistente le confezioni famiglia - e di conseguenza gli imballaggi tra i rifiuti. Come gli imballaggi, i prodotti usa e getta sono proliferati nella nostra società. (...) Anche i cosiddetti beni durevoli sono in realtà divenuti una contraddizione in termini: rispetto ad un passato recente costano infatti sicuramente meno, consumano meno energia e hanno migliori prestazioni in termini di efficienza, ma sono costruiti in maniera tale da durare un tempo ben determinato (circa tre anni) e soprattutto per non essere riparati. (...)
I consumi sono fortemente legati alla comunicazione, e le imprese private ormai da anni sono le principali finanziatrici di ricerche sociali applicate ai consumi, sulle quali impostano i loro piani marketing. Tanto che tra due prodotti dello stesso genere non conta più la differenza in termini di qualità, ma il messaggio che ad essi è associato e che viene veicolato attraverso il marchio. (...) Il mercato crea dunque il consumatore, non solo in quanto fornisce un certo prodotto per un determinato bisogno, ma perché crea il bisogno stesso. (...) Una società che mantiene questi modelli di consumo inevitabilmente deve fare i conti con il problema di una crescita dei rifiuti. Allo stesso tempo una società che consuma tanti prodotti, consuma anche tante materie prime.
L'Istituto Wuppertal ha calcolato che l'onere ecologico (la quantità di rifiuti generati nella produzione dei beni d'uso quotidiano) di uno spazzolino da denti è di un chilogrammo e mezzo, di un telefono cellulare di settantacinque chilogrammi e di un personal computer di 1.500. Progettando questi prodotti in modo più ecologico e riutilizzandoli o riciclandoli una volta che sono diventati rifiuti si può evitare l'uso di grandi quantità di risorse naturali e si possono prevenire i relativi impatti sull'ambiente. Solo per le emissioni di gas a effetto serra, il riciclo di una tonnellata di carta evita la produzione di novecento chilogrammi di CO2 equivalenti, rispetto alla produzione di carta vergine. Per il PET, un tipo di materia plastica assai diffuso, il risparmio è di 1.800 chilogrammi, e per l'alluminio di 9.100.
<b>Obiettivo rifiuti zero</b>
Ai fini della minimizzazione della produzione dei rifiuti oltre alla riduzione dei prodotti destinati a diventare rifiuti sono quindi da mettere in campo anche tutte quelle iniziative che portano ad un minor prelievo di risorse (che significa minor input di materiali nei processi produttivi), alla sostituzione di risorse non rinnovabili con risorse rinnovabili, alla sostituzione delle materie prime con quelle che derivano dal riciclo dei materiali.
Tendere all'obiettivo rifiuti zero, significa anche riprogettare processi e prodotti al fine di ottenere un maggior utilizzo di materiali recuperati, di prodotti monomateriale, o con basso numero di materiali diversi, materiali ben identificati e facilmente gestibili a fine vita, prodotti che presentino una maggiore facilità di disassemblaggio una volta divenuti rifiuti e quindi più facilmente destinabili al riciclo. Una buona comunicazione finalizzata a far conoscere e acquistare prodotti con minor contenuto di imballaggi o ottenuti con materie riciclate, una pubblicità che orienti all'acquisto di beni e servizi ecologici o almeno a minor impatto ambientale, il ricorso agli acquisti verdi nella pubblica amministrazione, sono tutti strumenti che oltre a contribuire direttamente alla riduzione della quantità di rifiuti prodotti hanno in sé anche la caratteristica di essere anche strumenti di indirizzo del mercato. (...)
Il rifiuto rappresenta una risorsa che trattata nei modi opportuni, può diventare assai preziosa. In un paese come il nostro (...) ciò che storicamente manca sono le materie prime. Ogni chilo di ferro, di carta, di vetro, di alluminio, di legno che sotterriamo in discarica o che bruciamo deve tendenzialmente essere importato dall'estero poiché non abbiamo significative capacità interne di produzione delle materie prime vergini: paradossalmente gettiamo in discarica le stesse materie prime e anche i rifiuti intesi come materie secondarie che poi compriamo all'estero!
In questo quadro allora il tema del riciclo diviene la chiave di volta per ovviare alla carenza di materie prime da una parte e di sistemi di smaltimento dall'altra. Il processo del riciclo si può sviluppare compiutamente in un sistema industriale se e solo se si verificano alcune condizioni essenziali riconducibili da un lato allo sviluppo, al consolidamento e alla stabilizzazione di processi di raccolta differenziata di rifiuti e del loro trattamento per trasformarli in materia prima secondaria, dall'altro alla progettazione e alla realizzazione di processi industriali capaci di riutilizzare i flussi di rifiuti che da esse arrivano per trasformarli in semilavorati o in prodotti finiti. E' evidente che tra i due sistemi si deve necessariamente instaurare un coordinamento e una integrazione.
La spinta alla raccolta differenziata con la forzatura degli obiettivi temporali avviata con il decreto Ronchi, costituisce senza dubbio una condizione basilare dal punto di vista dell'industria del riciclo, nel senso che consente la creazione di flussi costanti e stabili di materie prime secondarie essenziali affinché le industrie investano nello sviluppo di tecnologie. Altrettanto necessario è poi il concreto sviluppo di un mercato dei prodotti che da esso generano. (...) Purché naturalmente sia alta la qualità del materiale iniziale e quindi la qualità del materiale raccolto è quindi indubbiamente importante al pari o più della quantità; non basta solo raccogliere tanto, bisogna raccogliere bene anche se tale concetto fa ancora fatica a farsi strada. (...) Lo strumento che può aiutare a caratterizzare a pieno i vari flussi di rifiuto è indubbiamente l'analisi merceologica del rifiuto. (...)
L'utilizzo di sistemi basati sull'analisi merceologica permette quindi di raccogliere informazioni che limitando l'analisi al solo valore percentuale di raccolta differenziata andrebbero perse. Da tali analisi emerge in genere con una certa evidenza che i sistemi di raccolta "porta a porta" garantiscono, oltre ad elevate percentuali di raccolta (e quindi già un ottimo risultato quantitativo) anche un buona qualità dei materiali da avviare a recupero. (...) La raccolta differenziata è lo strumento essenziale per garantire un sistema di gestione funzionale al modello che ha come obiettivo di arrivare a ridurre al minimo i rifiuti da smaltire, ma non è di per se stessa il sistema di gestione. Anche spingendo la raccolta differenziata al limite al 100% dei rifiuti prodotti è comunque necessario prevedere attività impiantistiche di trattamento e di smaltimento a valle del sistema di raccolta. In effetti in linea di principio nulla impedirebbe che la raccolta differenziata arrivi a separare in flussi distinti, anche se non tutti riciclabili, il 100% dei rifiuti.
Ma è bene tenere presente - se l'obiettivo finale è la prevenzione dall'inquinamento e la tutela dell'ambiente - che il recupero di materie prime dai rifiuti si traduce in "inquinamento evitato" nel momento in cui queste stesse materie sono utilizzate, ma è altresì causa di "inquinamento indotto" da parte delle stesse operazioni di raccolte differenziate e degli impianti in cui il recupero avviene. E' intuitivo che l'inquinamento evitato cresca linearmente con i quantitativi di materiali avviati effettivamente a riciclo di materia; ma diversamente vanno le cose per l'inquinamento indotto, perché lo stesso crescerà esponenzialmente quando si supera una percentuale ottimale di raccolte differenziate che varia a seconda delle tipologie di materiali, ottenendo materiali via via più difficili da trattare e riciclabili con maggiore difficoltà tecnica. Spingere la raccolta differenziata oltre questa percentuale diventa perciò progressivamente meno vantaggioso dal punto di vista ambientale ed economico. Anche alcune strategie nei sistemi di raccolta possono contribuire alla riduzione dei rifiuti prodotti e al tempo stesso a far aumentare la quota di materiale riciclato, in particolare il ricorso all'auto-compostaggio della frazione organica e alle incentivazioni tariffarie.
Un altro elemento che può interferire fortemente sulla possibilità di diminuire la quantità di rifiuti prodotti è rappresentato dall'approccio ancora eccessivamente presente in Italia della gestione attraverso lo smaltimento. Con la disponibilità di discariche a costi relativamente bassi - se non addirittura irrisori in certi casi - resa possibile anche dall'ampio ricorso all'illegalità, è senza dubbio assai ridotta la motivazione a diminuire le quantità di rifiuti. Ma lo sarebbe altrettanto se lo smaltimento in discarica venisse sostituito dall'incenerimento con percentuali pressoché analoghe all'attuale smaltimento in discarica.
L'obiettivo "rifiuti zero" non è raggiungibile quindi con la sola raccolta differenziata e sarà tecnicamente e operativamente possibile solo se si interviene in maniera determinante sul consumo di materia prima per la fabbricazione delle merci a favore di materiale derivante da riciclo e se si modifica l'attuale modello dei consumi. In altre parole è necessario ridurre il carico dell'economia nei confronti della biosfera e ciò non significa ridurre uno specifico tipo di risorse per un determinato bene di consumo, ma il complesso delle risorse che alimenta il nostro attuale sistema produttivo. Finche la crescita economica sarà strettamente collegata al consumo di risorse, lo sviluppo non potrà essere sostenibile nel lungo termine. Le cause della crisi ecologica sono dunque profondamente radicate nella moderna società industriale.
Il libro Pianeta Rifiuti, a cura di Lucia venturi, edito da Le Balze, costa 12 euro e si può ordinare a Legambiente (Tel 06 862681) oppure acquistare on line collegandosi a: <a href="http://www.legambiente.com/bazar/scheda.php?id=409" target="_blank">http://www.legambiente.com/bazar/scheda.php?id=409</a>