Botta e risposta con Luigi Bobbio sulla gestione dei conflitti
Pubblichiamo le lettere giunte in redazione dopo la giornata "Dall'università per una Torino sostenibile"
22 May, 2006
Dopo la giornata all'Università di Torino, è giunta alla redazione di "Eco dalle città", una lettera che continua la riflessione su uno temi dibattuti 16 maggio scorso: la maniera di gestire i conflitti nei processi decisionali.
Carlo Proietti scrive:
In "Dall'università per una Torino più sostenibile", si cita il prof. Luigi Bobbio che "ha concentrato l’attenzione sul modo di gestire i conflitti nei processi decisionali ....".
Da medico del lavoro (di professione) e ambientalista (dilettante) mi sembra che - per quanto riguarda l'ambiente- occorra guardare ai "conflitti nei processi decisionali" in una diversa prospettiva.
Dico questo non solo perché è ancora vivo il ricordo dell'esperienza di "Non rifiutarti di scegliere" relativa all'allocazione del termovalorizzatore della provincia di Torino. Tale esperienza, al di là delle buone intenzioni, ha avuto esiti negativi, anche perché trasformava una (contestabile) soluzione in un problema: "Dove collochiamo l'inceneritore?". Più correttamente si doveva discutere del problema di rifiuti: "Come affrontiamo il problema dei rifiuti alla luce di quanto prevede il decreto Ronchi ed alla luce della situazione ambientale?".
Forse, "pensare globalmente ed agire localmente" oggi significa anche avere coscienza che i problemi ambientali sono "grandi problemi", ma sono generati dalla somma di tantissimi piccoli problemi; la soluzione (non il rimedio) sta quindi in tantissime piccole/grandi azioni, non in "opere grosse".
Ma, mi sembra che l'approccio del professor Bobbio sconti il limite di dare per assodata la bontà del progetto proposto alla popolazione. Di conseguenza sembra che il problema diventi la corretta, e democratica, gestione del conflitto.
Pare essere al stessa prospettiva con cui si parla, di solito con una buona dose di perbenismo scandalizzato, della Sindrome Ninby. L'inquadramento delle "ribellioni" delle popolazioni colpite da grandi opere in una sindrome, è un grave errore. Si inquadra infatti il fenomeno come una patologia, quindi come un'entità da curare. Le cure sono di varia natura; ascolto della popolazione, diluizione dei tempi, compensazioni (..?..), ma il progetto che genera la "ribellione" non è mai messo in discussione.
Se invece inquadriamo Ninby come un sintomo, riusciamo a definire un approccio corretto. I sintomi, infatti, non sono l'oggetto delle cure, ma indirizzano verso una corretta diagnosi della malattia.
Ninby, per sua natura non è un sintomo precoce, ma è la reazione della popolazione all'invasività che il proprio territorio subisce da parte di grandi opere. Ninby è quindi un campanello d'allarme, un feed-back, che ci avvisa che stiamo "tirando troppo la corda" in un territorio provato dalla cementificazione e dall'inquinamento, dove anche aree di scarso valore, assumono grande valore per chi vi abita vicino.
In tal senso la domanda da porsi non è su come gestire i conflitti nei processi decisionali, ma come gestire un territorio in modo ecologiamente e socialmente compatibile.
Eviteremo così di doverci appellare alla Fortuna, per non essere colpiti da Ninby o per non dover dare dimostrazione di un senso di responsabilità, che forse, visceralmente, non vorremmo sentire.
Ringraziando per l'attenzione,
Cordiali saluti
Carlo PROIETTI
Pubblichiamo la risposta di Luigi Bobbio:
Carlo Proietti ha scritto che "la domanda da porsi non è come gestire i conflitti nei processi decisionali, ma come gestire un territorio in modo ecologiamente e socialmente compatibile". Sono totalmente d'accordo con lui. Ma come si fa ad arrivare a gestire il territorio in modo modo ecologiamente e socialmente compatibile? Nella società esistono molti interessi che premono per usi poco compatibili. Spesso questi interessi hanno alle loro spalle qualche buona (e spesso ottima ragione): l'economia, i posti di lavoro, i collegamenti ferrioviari o autostradali ecc. ecc. Le amministrazioni pubbliche sono spesso catturate da questi interessi e tendono quindi a privilegiare le loro ragioni rispetto a quelle di coloro che si battono per una gestione equilibrata del territorio. Che fare allora? Io credo che chiedere l'apertura dei processi decisionali ai portatori (locali, associativi) di queste ragioni, potrebbe essere un buon passo avanti. Non la soluzione definitiva del problema (ma si tratta di un problema che non può avere soluzioni definitive), ma la possibilità di arrivare a decisioni che tengano conto delle ragioni di tutte le parti coinvolte. Oggi invece succede spesso che le ragioni dei più forti prevalgano su quelle dei più deboli..
Anche sulla vicenda dell'inceneritore, concordo con Proietti che il tema della commissione Non Rifiutarti di Scegliere era angusto. Non si trattava di scegliere quale politica per i rifiuti, ma "solo" dove mettere l'inceneritore. E tuttavia non credo che sia stato male cercare di concordare pazientemente con tutte le comunità interessate i criteri per la localizzazione di quell'impianto, che di solito viene imposto dall'alto. La commissione NRDS ha costituito un mini-spazio pubblico dove per un anno e mezzo si sono confrontati argomenti e ragioni in modo aperto e trasparente e alla fine si è concordata una scelta. Non credo che sia poco, anche se si è trattato di una piccola cosa. Quando questo mini-confronto pubblico è stato abbandonato, non è che si sia aperto un confronto pubblico più ampio sui rifiuti, ma la gestione del problema è stata affrontata in modo assai più occulto e ristretto con la conseguenza che la capienza dell'inceneritore (del Gerbido) sarà doppia rispetto a quella era stata prevista allora. Una decisione di questo tipo sarebbe stata impossibile se la commissione NRDS fosse stata ancora in piedi, perché le comunità interessate non avrebbero accettato un sovradimensionamento dell'impianto rispetto a quanto stabilito nel Piano Provinciale.