La fabbrica della plastica perduta
I pasticci della «differenziata»: i Comuni e le aziende impegnate nel ritiro invece di guadagnare spesso ci rimettono - da La Stampa del 26.10.2006
26 October, 2006
<b>Un giorno alla Demap di Beinasco: su 100 tonnellate, 22 non sono riciclabili</b>
I muletti depositano il loro carico sul nastro trasportatore. Appaiono e scompaiono dietro montagnole di bottiglie, sacchetti, cassette, flaconi ormai vuoti di shampoo e detersivi.
Benvenuti alla «Demap» di Beinasco, azienda leader nella selezione degli imballaggi di plastica con un fatturato annuo di 2 milioni e mezzo di euro, uno dei perni del sistema di trattamento rifiuti sul territorio. Basta una breve passeggiata lungo il perimetro dell’impianto per accorgersi che nel materiale in arrivo si trova di tutto e di più. Il problema sta proprio nel surplus di oggetti che con gli imballaggi, e sovente con la plastica, non c’entrano nulla: dal seggiolino per bimbi al paraurti auto, passando per le vaschette del water. Fanno capolino persino i pneumatici usati. Le chiamano «frazioni estranee» e sono il simbolo delle contraddizioni che compromettono l’efficienza della «differenziata», specie per la plastica e per l’organico, riproponendo come soluzione ultima l’interramento in discarica. Vale per la Demap, specializzata negli imballaggi e nei metalli. Vale per le altre aziende del settore che ogni giorno lavorano decine di tonnellate di scarti.
Michele Rizzello, direttore dello stabilimento in cui converge la plastica del Torinese, conferma il problema. Su 100 tonnellate che ogni giorno varcano i cancelli dell’azienda, 22 sono composte da materiale non riciclabile: il 10%, mescolato con altri rifiuti, viene utilizzato come combustibile per inceneritori e cementifici; la quota restante finisce in discarica. Lo scarto è elevato. Quel che è peggio, i Comuni e le aziende della raccolta spesso ci rimettono. Il Corepla, il Consorzio che accerta la «sostenibilità» del materiale in arrivo, riconosce contributi diversi a seconda delle fasce qualità: 262 euro a tonnellata se le impurità raggiungono il 6%; 184 euro se sono comprese fra il 6 e il 20%; zero euro se superano il 20.
Nel peggiore dei casi, significa che la raccolta viene fatta gratis. Ma ci perde anche la Demap, 20 mila tonnellate di rifiuti trattate quest’anno, pagata dal Corepla sulla base del materiale in uscita che il Consorzio piazza sul mercato (con un ricavo di 100-150 euro a tonnellata): le bottiglie, divise per colorazione, diventano imbottiture, tappetini per auto, custodie per cd e cestini per la spesa; i film di nylon si trasformano in sacchi per l’immondizia; dai flaconi si ricavano tubature. «Su 100 tonnellate al giorno, ce ne pagano 70», spiega Rizzello.
Una brutta gatta da pelare, anche se il direttore dello stabilimento precisa che negli ultimi tempi la situazione sta migliorando: «Purtroppo la gente stenta a capire la differenza fra gli imballaggi e il rifiuto tal quale. Anche quelli che sono in buona fede, e ce la mettono tutta per differenziare, spesso ottengono l’effetto opposto». Come se ne esce? Lui azzarda qualche suggerimento: «Probabilmente si deve lavorare sulla comunicazione, ma anche così non basta. Bisognerebbe trovare un meccanismo per incentivare i più virtuosi». E magari cambiare approccio, puntando su raccolte congiunte di materiali diversi. La Demap, su richiesta di alcuni Consorzi, ha già attivato un ciclo di selezione «multimateriale» per isolare dai rifiuti stagno, alluminio e metalli da inviare nelle fonderie.
Ipotesi da valutare per evitare situazioni paradossali. Del resto, il problema è nazionale. Sui 2 milioni di tonnellate l’anno di imballaggi in plastica immessi sul mercato italiano dai produttori, la quota raccolta non supera il 15%. Ci sono aziende di trattamento che per garantire il funzionamento a ciclo continuo degli impianti devono importare la plastica dall’estero. Più chiaro di così...La Demap di Beinasco, azienda leader nella selezione degli imballaggi di plastica